Ricreare gli abbracci nei videogiochi è difficilissimo
Come anche i baci, ed è per questo che se ne vedete di fatti bene è perché lo sviluppatore ha deciso di spendere un patrimonio
Interpretando i personaggi dei videogiochi si compiono spesso azioni che normalmente non si farebbero, come sparare a degli alieni, scappare da un treno che sta per cadere in un dirupo o passeggiare all’esterno di una stazione spaziale. Il grado di tolleranza che abbiamo verso la riproposizione di queste attività nei videogiochi è molto alto perché sono azioni che tendenzialmente non conosciamo, per cui tendiamo a fidarci di quello che lo sviluppatore ha realizzato per noi.
Le cose però cambiano quando i videogiochi mostrano azioni e gesti estremamente comuni, come aprire una porta o due personaggi che si abbracciano. Tutte le interazioni intime tra personaggi sono molto complicate da ricreare e richiedono talmente tanto tempo per essere realizzate che il più delle volte semplicemente vengono ignorate, oppure inserite tramite alcuni stratagemmi, come allontanare molto l’inquadratura o lavorando sulla profondità di campo, cioè sfocandole. Se in un videogioco si vede una scena intima come un bacio o un abbraccio ben realizzata, è perché il team di sviluppo ha deciso che quell’elemento fosse particolarmente importante per raccontare la storia, e che quindi valesse la pena investirci tempo e soldi.
Questa decisione l’ha presa per esempio Guerrilla Games, lo studio di proprietà di Sony che ha sviluppato la serie Horizon, un gioco di avventura ambientato in un futuro lontano nel quale l’umanità è sopravvissuta a stento a una catastrofe che lei stessa ha provocato. La protagonista della serie si chiama Aloy, una cacciatrice impegnata nella più classica delle missioni per salvare un mondo popolato da enormi creature meccaniche che ricordano molto i dinosauri. La tribù di Aloy l’ha marginalizzata sin dall’infanzia perché orfana, il che ha avuto inevitabilmente un grande impatto su come lei si relaziona con gli altri personaggi presenti nel gioco. Sin dal 2017, anno in cui è stato pubblicato Horizon Zero Dawn, Aloy è stata un esempio di come si potessero creare personaggi che non fossero necessariamente stereotipati, che avessero una crescita emotiva credibile lungo il corso della vicenda e che stabilissero relazioni personali utili ad arricchire il personaggio piuttosto che essere solo funzionali alla storia.
Lo scorso aprile Guerrilla Games ha pubblicato Burning Shores, l’espansione del secondo capitolo della serie, il cui lancio è stato accompagnato da un trailer che si è fatto subito notare proprio per la presenza di un abbraccio particolarmente ben riuscito. «Quell’abbraccio al minuto 0:45», ha scritto Xalavier Nelson Jr., direttore dello studio Strange Scaffold, «è un virtuosismo tecnico di cui non avete idea», aggiungendo anche che un abbraccio di quel tipo è capace da solo di incidere da 1 a 8 milioni di dollari in più sul budget della produzione.
Richard Oud, direttore delle animazioni di Guerrilla Games, ha spiegato in un’intervista al sito IGN perché le scene che mostrano momenti di intimità sono estremamente costose e complicate da realizzare. La creazione dei personaggi in questo tipo di videogiochi viene realizzata attraverso una tecnica chiamata “motion capture”, che consiste nel vestire gli attori con speciali tute piene di sensori posizionati sui punti anatomici come mani, piedi, giunture e volto, che riprese da telecamere di precisione permettono di ricreare i movimenti in un ambiente virtuale. La virtualizzazione dei movimenti degli attori diventa quindi lo scheletro intorno al quale sviluppatori e artisti creano il personaggio, vestendolo ad esempio con gli abiti e le armature che si vedono poi nel videogioco finito. Quando due attori si abbracciano, baciano o stanno comunque molto vicini, il sistema non riesce più a riconoscere questi sensori, che devono essere quindi tracciati a mano dagli sviluppatori. Questo procedimento è estremamente lungo e complesso da eseguire, e talvolta viene affidato a studi esterni che si occupano solo di preparare le acquisizioni del motion capture per gli animatori.
Superato questo problema c’è però quello legato all’aspetto finale del personaggio. Le tute per il motion capture sono estremamente aderenti e di fatto creano l’animazione virtuale di un personaggio come se questo fosse nudo. «Prendete l’armatura di Aloy per esempio: tutti i pezzi che la compongono non sono tenuti in considerazione dal motion capture», spiega Oud, «serve comunque che qualcuno dica al sistema che ogni pezzo dell’armatura esiste, e che debba interagire con qualcuno sia al suo interno che al suo esterno».
La dinamica che regola le interazioni fisiche tra i personaggi, che sono solitamente chiamate “collisioni”, va poi integrata anche con altri elementi che compongono il personaggio stesso, come i capelli. Per rendere il movimento dei capelli di Aloy credibile gli sviluppatori li hanno divisi in una serie di “tubi” che possono interagire tra loro, così da restituire l’idea del volume e di qualcosa che si muova in un modo coerente. In condizioni normali però questi “tubi” possono solo interagire tra di loro, e non con elementi esterni. Oud dice che nel caso degli abbracci hanno dovuto creare un “collisore mobile” (un elemento cioè creato solo per poter far capire ai capelli di doversi spostare) che imitasse il movimento di un braccio intorno al collo, così che i tubi che compongono la struttura base dei capelli di Aloy sapessero che dovevano spostarsi per far spazio al braccio.
In generale, la produzione di videogiochi (esattamente come il cinema) è sempre stata caratterizzata dalla ricerca di sistemi e “trucchi” per far sembrare vero qualcosa che vero non è. Uno degli esempi più recenti è come gli sviluppatori di Starfield hanno realizzato nel loro gioco la pioggia. Starfield è un’avventura a tema spaziale sviluppata da Bethesda, uno degli studi interni di Microsoft. È un gioco che viene definito “Tripla A”, cioè una produzione con un budget enorme (fino a centinaia di milioni di dollari) e che nelle intenzione dell’editore, soprattutto se si tratta di un gioco in esclusiva come in questo caso, serve a mostrare le qualità del proprio sistema rispetto a quello dei concorrenti.
In Starfield, quando piove, non piove in tutto il mondo di gioco, ma solo in un’area circoscritta intorno al giocatore. «Sia che tu utilizzi la visuale in prima o quella in terza persona, la pioggia sembra reale. Ma se passi alla modalità foto e allontani lo zoom vedrai che la pioggia è in realtà come un piccolo sistema di particelle di circa 3×3 metri, che sta solo sopra il tuo personaggio» ha scritto in un’intervista a Polygon Karl Schecht, un artista di ambienti tridimensionali che ha spiegato come tutto in un videogioco sia un complicato compromesso tra il voler ricreare nella maniera più realistica possibile qualcosa, come per esempio la pioggia o la neve, e fare in modo che la console o il computer che lo devono far funzionare non ne siano troppo appesantiti.
Nonostante inserire certe meccaniche o animazioni non sia essenziale per la riuscita di un gioco e abbia un impatto concreto sul costo finale, diversi sviluppatori scelgono comunque di creare questi elementi per rendere semplicemente l’esperienza il più verosimile possibile. Gli esempi di questi dettagli sono tanti: nel remake di Call of Duty: Modern Warfare c’è un pallone che si sgonfia in maniera credibile se gli si spara, in Control ogni tanto si incontrano pavimenti appena lavati con ancora i segni dello spazzolone, mentre in The Last of Us Parte II a un certo punto la protagonista si toglie la maglietta con un’animazione così ben realizzata da risultare perfettamente credibile. Investire tempo e conseguentemente soldi in questi dettagli per molti sviluppatori non è solo un esercizio di stile, ma un modo per far sentire il giocatore ancora più coinvolto in quello che sta facendo.
There's a scene in The Last of Us 2 where a character just…takes a shirt off, over their head, without any clipping, and it's probably the most technically impressive thing I've ever seen in a game?? Like have you ever seen a character do this in a game before? pic.twitter.com/v4AvYe0JGz
— Dan Hindes (@dhindes) June 19, 2020
Anche Oud è convinto che certi elementi, indipendentemente da quanto costi realizzarli, vadano comunque inseriti, soprattutto se si ritiene che possano aggiungere qualcosa nella costruzione della storia o dei personaggi. Con Horizon Guerrilla Games voleva raccontare anche la storia personale di Aloy, che come la storia di tutti è fatta di relazioni umane e contatto fisico. «Se rinunciassimo a quegli abbracci, o in generale ai momenti di intimità», conclude Oud, «la storia semplicemente non sarebbe compiuta. Così dobbiamo trovare una soluzione tecnica per riuscire a realizzare tutte queste cose e contemporaneamente assicurarci che il giocatore sia connesso emotivamente con il personaggio, e che il tutto risulti così naturale che il giocatore non debba stare troppo a pensarci».