Che fine ha fatto il 5G
Il più moderno standard per le telecomunicazioni mobili esiste da diversi anni ma non si è mai affermato, anche perché alla maggior parte di noi non serve davvero
Questo mese l’azienda di telecomunicazioni finlandese Nokia ha annunciato il licenziamento di circa 14mila persone, il 16% dei suoi dipendenti attuali. La decisione, secondo l’agenzia Bloomberg, è stata presentata come un «reset» aziendale necessario a «ridurre i costi e aumentare l’efficienza operativa» in un momento particolarmente difficile per il mercato. Nel terzo trimestre dell’anno in corso Nokia ha infatti registrato un calo delle vendite del 15% rispetto all’anno precedente, dovuto soprattutto a una scarsa domanda per le connessioni di tipo 5G. Un dato simile è stato registrato da un’altra azienda del settore, la svedese Ericsson.
Il termine 5G indica la quinta generazione dello standard per le telecomunicazioni dei dispositivi mobili, progettato per offrire velocità di download molto alte (fino a 10 gigabit al secondo) rispetto alla generazione precedente, chiamata 4G e ancora in uso nella maggior parte degli smartphone venduti oggi. Lo standard era stato inizialmente presentato nel 2016, e negli ultimi anni molti operatori telefonici hanno cominciato a proporre piani d’abbonamento e servizi in grado di sfruttarlo.
Nonostante i molti investimenti fatti in questa tecnologia, però, finora il 5G ha deluso le aspettative. Lo scorso gennaio Joanna Stern, giornalista esperta di tecnologia del Wall Street Journal, aveva raccontato la propria esperienza con la copertura 5G di Verizon, un operatore statunitense, spiegando di averla disattivata tornando a usare quella 4G LTE Advanced (una versione aggiornata del 4G tradizionale) e di non essersi «accorta di alcuna differenza guardando Netflix, TikTok, navigando o mandando mail». L’impressione di Stern è che la velocità della tecnologia di tipo 4G sia sufficiente per l’utilizzo quotidiano dell’utente medio: «Non c’è bisogno di un idrante per spegnere una candela», ha concluso.
Tra i paesi che più hanno investito sul 5G c’è la Corea del Sud, che nel 2019 aveva introdotto il primo servizio nazionale di questo tipo, con una copertura da 896 megabit al secondo, una velocità sei volte superiore a quella del 4G sudcoreano. Le reazioni del pubblico erano state però tiepide, anche perché, come ha scritto il Wall Street Journal, queste prestazioni possono essere raggiunte solo in alcuni casi. Lo scorso agosto, l’antitrust sudcoreano aveva multato i tre principali operatori del paese perché avevano esagerato i dati sulle velocità del 5G. Tra i fattori che hanno limitato l’adozione della tecnologia nel paese ci sarebbero anche scelte tecniche da parte degli operatori locali e la mancanza di dispositivi in grado di connettersi a queste reti.
Secondo la società di analisi Omdia, infatti, nel 2022, in tutto il mondo solo il 31% degli operatori telefonici offriva il 5G. Nello stesso anno, inoltre, gli utenti 5G erano aumentati di 446 milioni a fronte dei 592 milioni in più raggiunti dalla tecnologia 4G. Questo dato conferma la longevità di una tecnologia presentata ormai tredici anni fa, che continua a convincere i consumatori e rallenta l’adozione delle nuove soluzioni.
Anche in Italia la diffusione dello standard ha incontrato molti ostacoli, per quanto di origine diversa rispetto al caso sudcoreano. Nel novembre del 2021 il governo presieduto da Mario Draghi aveva approvato il “Piano Italia 5G”, definito allora il «primo Piano di investimenti pubblici, con una dotazione di 2,02 miliardi di euro, approvato a sostegno dello sviluppo del mercato mobile» del paese. Il piano è parte della Strategia italiana per la Banda Ultra Larga ed è legato agli obiettivi del PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza con cui il governo intende spendere i finanziamenti europei del bando Next Generation EU.
Secondo il primo Rapporto sullo Stato del Decennio digitale, pubblicato dalla Commissione europea, la copertura 5G italiana arriverebbe all’81% della popolazione, pur fermandosi solo al 51% nelle aree rurali. La disparità tra questi due dati è dovuta alla disposizione delle antenne per il 5G, che tendono a coprire perlopiù i capoluoghi e i principali centri: in questo modo si raggiunge la maggior parte della popolazione ma si lasciano sguarnite molte aree montuose o meno popolose.
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Nel 2022 il governo ha bandito una gara per la copertura 5G delle aree «a fallimento di mercato» (dette così perché in condizione di libero mercato nessun operatore avrebbe modo di allocarvi beni o servizi in modo efficiente), ma è andata deserta a causa delle sue condizioni, ritenute svantaggiose e insostenibili dagli operatori. Il bando conteneva infatti una clausola sul cosiddetto obbligo di accesso: l’operatore che avrebbe vinto il bando, dopo aver investito e lavorato alla copertura delle nuove aree, avrebbe poi dovuto rendere disponibile la rete a tutti gli altri operatori. Condizioni svantaggiose a parte, però, il sito Agenda Digitale ha notato un altro problema ben più strutturale: «Si sarebbe trattato di investire oltre 97 milioni di euro su una scommessa: che in quelle aree sarebbero arrivati servizi in grado di remunerare tali investimenti. I servizi, però, sono per la verità ancora in divenire anche nei Paesi (e nelle aree) con la più alta diffusione di copertura 5G, come la Cina».
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Nonostante anni di promozione e investimenti, la tecnologia 5G viene ancora ritenuta superflua, poco affidabile o troppo costosa da molti. Le applicazioni concrete dello standard sembrano interessare casi specifici – come la copertura di luoghi molto affollati – e anche l’analisi di Omdia sembra confermare che il 5G è sempre stato più appropriato per le imprese e gli usi industriali che per l’utente medio. Il sito The Verge ha notato come il 5G sia di fatto scomparso dai programmi di eventi come CES, la più importante fiera dell’elettronica del Nord America, che negli anni precedenti aveva puntato molto su questa tecnologia. Nell’edizione del 2019, ad esempio, l’amministratore delegato di Verizon parlò del futuro del 5G e di come sarebbe stato applicato a settori come le macchine auto-guidanti, la realtà aumentata e la chirurgia da remoto.
A proposito di quest’ultima, negli ultimi anni sono circolate molte notizie sull’apporto del 5G al settore medico. Tra queste, un video in cui una banana viene spellata da un braccio robotico controllato da un chirurgo che si trova dall’altra parte del mondo, grazie alla potenza del 5G. La banana, si legge in molti post diventati virali, si trovava a Los Angeles, mentre il chirurgo a Londra. Pochi mesi fa il sito The Verge ha smentito la notizia intervistando lo stesso chirurgo che aveva praticato l’intervento, il dottor Kais Rona, che ha confermato di non aver usato il 5G, anche perché «l’intervento è stato fatto a Los Angeles. La banana era a Los Angeles».
Il 5G è effettivamente pensato per offrire un migliore servizio nei luoghi molto affollati, come gli stadi e le arene, che hanno investito molto sulla tecnologia. Secondo Ericsson, queste strutture registrano una crescita anno su anno del 67% dell’utilizzo dei dati mobilii, che sta comportando anche cambiamenti sociali notevoli. Lo si è visto nel corso dell’ultimo tour di Taylor Swift, il cui pubblico ha preso l’abitudine di trasmettere in streaming lo show su TikTok e Instagram, cosa resa possibile proprio dal potenziamento della rete degli stadi.
A rendere problematica l’adozione di massa del 5G non sono state solo questioni infrastrutturali, tecnologiche e scelte politiche, ma anche la circolazione di teorie del complotto che, specie a partire dal 2020, hanno tentato di dare la colpa della diffusione del Covid-19 proprio al 5G. Alcune bufale pubblicate sui social network sostenevano ad esempio che le frequenze utilizzate dal 5G potessero reagire con i microchip che – secondo un’altra teoria del complotto – sarebbero stati presenti nei vaccini contro il Covid. A causa di queste fake news, come ha ricostruito Leonardo Bianchi sul sito Valigia Blu, tra la fine dell’inverno e la primavera del 2020 si sono verificati attacchi ad antenne telefoniche in molti paesi, tra cui Stati Uniti, Paesi Bassi, Belgio, Svezia, Finlandia, Francia e Italia. Nell’aprile del 2020, in provincia di Caserta, un attacco simile portò all’incendio di alcune antenne 3G e 4G, provocando disagi per migliaia di persone. Le polemiche sul 5G non hanno riguardato solo la pandemia: secondo altri cospirazionisti, lo standard di telecomunicazioni sarebbe parte di una maxi-operazione di sorveglianza di massa da parte dei governi; quanto alle frequenze utilizzate dal 5G, molte fake news le ritenevano dannose per l’ambiente, gli umani e gli uccelli.
A queste preoccupazioni infondate si sono aggiunti timori ben più concreti riguardo ai rapporti tra aziende cinesi come Huawei e ZTE, produttrici di infrastrutture per il 5G, e il governo della Cina. In particolare, molti osservatori temevano che queste infrastrutture tecnologiche fossero dotate di backdoor (letteralmente «porta sul retro») che avrebbero garantito l’accesso ai dati raccolti dalle antenne al governo cinese. I sospetti furono corroborati da una serie di report e indagini governative sui rapporti tra Huawei e il governo cinese. Nel 2019 il governo statunitense impose una serie di dure sanzioni nei confronti di Huawei con l’obiettivo di impedirle l’accesso alle risorse più avanzate per produrre tecnologia per il 5G, in particolare alcuni tipi di semiconduttori. Contemporaneamente, molti paesi, tra cui l’Italia, hanno interrotto i rapporti commerciali con l’azienda (nel 2020 il governo bloccò un accordo tra Fastweb e Huawei).
Lo scorso agosto Huawei ha però presentato un nuovo modello di smartphone, Mate 60 Pro, che contiene un chip, chiamato Kirin 9000S, in grado di connettersi con il 5G. Il modello, insomma, sembra contenere un componente che Huawei non dovrebbe avere, e che nessuna azienda cinese dovrebbe essere in grado di sviluppare. La notizia ha spinto il Segretario nazionale per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan ad annunciare un’indagine per capire se la Cina abbia aggirato le sanzioni oppure trovato un modo alternativo di produrre chip di questo tipo. Secondo Reuters, il componente è stato realizzato da Huawei Technologies in collaborazione con il produttore di chip cinese Semiconductor Manufacturing International Corp (SMIC).