Il Museo di storia naturale di New York non sa cosa fare con i suoi resti umani
Nella sua collezione ce ne sono ancora circa 12mila acquisiti tramite vie non proprio legali e spesso eticamente discutibili
A ottobre il Museo americano di storia naturale di New York ha detto che toglierà dalle esposizioni tutti i resti umani e cambierà il modo in cui li gestisce, con l’obiettivo di restituirne il più possibile ai discendenti o alle comunità di cui facevano parte. La decisione è stata presa dal nuovo presidente del museo, Sean Decatur, che è la prima persona afroamericana a ricoprire questo ruolo. Decatur ha spiegato che il motivo di questa operazione è che la maggior parte dei resti della collezione è stata acquisita senza il consenso dei defunti o dei loro discendenti e che sono stati utilizzati per provare delle teorie scientifiche razziste oggi screditate.
Non è un caso isolato: negli ultimi anni le nuove sensibilità e una crescente mobilitazione riguardo a questi temi hanno portato i musei che conservano ed espongono resti umani a ragionare sulle implicazioni etiche che questo comporta.
Il Museo americano di storia naturale conserva circa 12mila resti umani, che spaziano da scheletri interi a strumenti e gioielli realizzati con ossa umane acquisiti a partire dall’Ottocento fino agli anni Quaranta del Novecento. Tra quelli esposti che verranno presto rimossi ci sono ad esempio uno strumento musicale fatto di ossa umane, uno scheletro proveniente dalla Mongolia che ha più di mille anni e un manufatto tibetano fatto anche di ossa. Tuttavia, i gruppi di resti di cui si sta più discutendo sono conservati in magazzino e sono tre.
Il primo è un gruppo di resti di più di 2mila persone native americane che avrebbero già dovuto essere riconsegnati ai loro discendenti, secondo una legge federale approvata nel 1990 che regola la restituzione dei resti delle persone native americane conservati nei musei o in altre istituzioni. Negli ultimi anni il museo ha restituito i resti di circa mille persone native americane, ma è stato criticato per il tempo che ci sta mettendo a portare a termine il lavoro. Decatur ha detto che parte della strategia del museo è quella di assumere più persone che se ne occupino, dato che al momento sono solo tre. Il Museo di New York non è l’unico che deve ancora terminare questo processo. Secondo Associated Press, nel 2022 erano circa 870mila i resti e i manufatti dei nativi americani ancora in possesso di università, musei e altre istituzioni negli Stati Uniti.
Un secondo gruppo di resti riguarda gli scheletri di cinque persone afroamericane che sono stati dissotterrati nel 1903 durante la costruzione del quartiere Inwood nel nord di Manhattan. Il cimitero risaliva probabilmente all’epoca coloniale ed era riservato alle persone costrette in schiavitù. Una foto dell’epoca ripubblicata dal New York Times mostra gli scheletri estratti dal terreno disposti a piramide dagli operai che li avevano trovati. In merito Decatur ha detto che l’utilizzo dei resti di queste persone è in linea con la «disumanizzazione dei corpi neri attraverso la schiavitù».
La discussione su questi resti era emersa recentemente poiché alcuni storici locali avevano iniziato a fare ricerche sull’area e sulla storia delle persone che erano sepolte in quel cimitero, ritrovando i nomi di cinque di loro nei registri del museo. Al momento non esistono linee guida per la restituzione dei resti di persone afroamericane e il Congresso statunitense ha approvato una legge che protegge le loro sepolture solo l’anno scorso. I musei che hanno affrontato la questione recentemente hanno applicato la legge federale che riguarda i resti delle persone native americane: nel 2023 il Penn Museum di Filadelfia ha ricevuto ad esempio l’approvazione di un tribunale per seppellire i teschi di venti persone, molte delle quali erano afroamericane schiavizzate.
L’ultimo gruppo è conosciuto come la “collezione medica” e comprende i resti di circa 400 persone che abitavano e morirono a New York negli anni Quaranta e i cui corpi non reclamati vennero messi dallo stato a disposizione delle scuole di medicina come materiale didattico per la dissezione, appartenuti per lo più a persone povere ed emarginate. Susan Lederer, docente di storia della medicina e bioetica della facoltà di medicina dell’Università del Wisconsin, ha spiegato ad Associated Press che la necessità di avere più cadaveri era data dall’incremento delle scuole di medicina nell’Ottocento, ma «il fatto che si ritenesse accettabile consegnare alcuni corpi ma non altri riflette ipotesi di lunga data sulle differenze tra la classe media e la classe operaia o il sottoproletariato».
Dalla seconda metà del Novecento a questo scopo vengono usati solo i corpi di persone che prima di morire hanno dichiarato di voler donare il proprio corpo alla scienza. Tuttavia, nonostante al tempo fosse legale usare questi corpi per la ricerca, secondo diversi esperti la legge di New York non permetteva il loro trasferimento negli archivi dei musei e non è chiaro in che modo quattro scuole di medicina di prestigiose università come la Columbia University finirono per donarli al Museo.
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Secondo il Museo americano di storia naturale la presenza di tutti questi resti nella loro collezione è data dal fatto che a capo del dipartimento di antropologia c’era al tempo l’antropologo Harry L. Shapiro, che voleva creare una collezione di riferimento che potesse aiutare a documentare eventuali cambiamenti scheletrici e disparità anatomiche nei secoli. Shapiro è un famoso esperto di evoluzione, ma la sua figura oggi è considerata molto controversa per le sue teorie sulle differenze razziali e l’attenzione all’eugenetica, la teoria molto diffusa all’inizio del Novecento che sosteneva l’idea di migliorare la specie umana attraverso la procreazione di individui che avessero determinate caratteristiche a discapito di altri gruppi considerati inferiori.
In una lettera indirizzata allo staff del suo museo Sean Decatur ha affrontato questo tema scrivendo che «le collezioni di resti umani sono state rese possibili da estremi squilibri di potere» e utilizzate per «portare avanti programmi scientifici profondamente sbagliati e radicati nella supremazia bianca, ovvero l’identificazione di differenze fisiche che potessero rafforzare i modelli di gerarchia razziale».
Al momento i nomi delle persone i cui resti appartengono a questi tre gruppi non sono stati resi pubblici, ma il museo ha detto che inizierà presto un processo per determinare se esistano dei discendenti a cui riconsegnarli o se poterli riseppellire o conservare in modo etico. Ashley Hammond, l’attuale coordinatrice del dipartimento di antropologia del museo, ha spiegato al New York Times che potrebbe essere utile conservare alcuni resti della “collezione medica” per scopi di ricerca.
I resti umani vengono studiati in moltissimi ambiti, fra cui quelli dello studio dell’evoluzione umana e della genetica, delle malattie e delle usanze e pratiche funerarie del passato. Negli Stati Uniti ad esempio si è appena conclusa la ricerca del Museo di storia naturale di Cleveland sui resti di 81 persone morte durante l’epidemia di influenza spagnola del 1918. Dal confronto con altre persone morte prima dell’epidemia è emerso che le ossa dei malati erano più fragili e quindi che la malattia aveva conseguenze letali principalmente per i malati cronici. Secondo Hammond la presa di coscienza in merito all’utilizzo etico di questi resti è un problema di inadeguatezza storica che ora deve essere risolto.
Secondo diversi esperti l’esposizione di alcuni resti umani al pubblico a scopo educativo è comunque da considerarsi positiva. L’International Council of Museums (ICOM) li ha recentemente classificati come “materiali culturalmente sensibili”, dato che potrebbero urtare la sensibilità dei visitatori evocando vicende legate alla loro identità, come nel caso delle persone afroamericane o native americane. Nel suo codice etico, l’ICOM ha incluso delle indicazioni su come questi resti debbano essere esposti e contestualizzati. Ad affrontare la questione in questo modo in Italia è stato in particolare il Museo Egizio di Torino, considerato il secondo museo più importante al mondo dopo quello del Cairo fra quelli dedicati alla civiltà egizia.
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Una decisione univoca su come gestire tutta la collezione di resti del Museo di New York non è stata ancora presa tranne quella di ritirare tutti i resti umani esposti, compresi gli oggetti composti in parte da essi. Secondo Decatur, nessuno di questi resti è «così essenziale per gli obiettivi e la narrazione della mostra da controbilanciare i dilemmi etici che la loro esposizione presenta».
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