L’Iran vuole combattere Israele senza combatterlo
Attraverso quello che chiama l'«asse della resistenza», fatto dalle milizie filo-iraniane nemiche sia di Israele che degli Stati Uniti
Giovedì notte gli Stati Uniti hanno bombardato due basi militari nella zona orientale della Siria che, secondo l’intelligence americana, sarebbero usate da gruppi armati sostenuti dall’Iran. Nei giorni scorsi questi gruppi avevano organizzato attacchi e lanci di razzi e droni contro le basi americane presenti in Iraq e in Siria, senza fare morti ma provocando più di 20 feriti. Questi attacchi da parte di milizie vicine all’Iran si sono moltiplicati nelle ultime settimane, sia contro Israele sia contro le infrastrutture militari degli Stati Uniti, al punto che da giorni si parla di un possibile ampliamento del fronte della guerra. Antony Blinken, il segretario di Stato americano, ha detto che «c’è la possibilità di un’escalation». «Non vogliamo che si sviluppi un secondo o un terzo fronte», ha aggiunto.
Il ruolo dell’Iran nella guerra in corso tra Israele e Hamas è una questione molto discussa e importante. L’Iran sostiene, arma e in parte controlla una serie di milizie e di gruppi armati in numerosi paesi in tutto il Medio Oriente, tra cui Libano, Siria, Iraq e Yemen: tra queste milizie c’è anche Hamas. Il regime iraniano definisce questo insieme di milizie fedeli come il «fronte della resistenza», o l’«asse della resistenza», dove la resistenza è nei confronti di Israele e degli Stati Uniti, i due storici nemici dell’Iran. Dal giorno dell’attacco di Hamas, tutti questi gruppi hanno aumentato le proprie attività, e hanno organizzato piccoli attacchi o assalti nei confronti di strutture militari israeliane o statunitensi.
Gli scontri principali in questi giorni sono stati al confine tra Israele e il Libano, dove opera il gruppo armato sciita Hezbollah. Ci sono stati bombardamenti reciproci e piccole incursioni dei miliziani, che sono state respinte dall’esercito israeliano. In tutto sono stati uccisi nei giorni scorsi più di venti membri di Hezbollah, e Israele ha annunciato l’evacuazione dei civili nelle comunità più a ridosso del confine. Israele è stato attaccato con lanci di razzi anche dalla Siria, dove opera sempre Hezbollah, e ha risposto bombardando in più di un’occasione gli aeroporti di Damasco e Aleppo.
Anche gli Houthi, un gruppo sciita che controlla buona parte dello Yemen compresa la capitale Sanaa, hanno lanciato missili balistici a medio raggio e droni contro Israele: sono stati tutti intercettati dalla marina statunitense, che ha nella zona navi capaci di opporsi ad attacchi aerei.
Ci sono poi stati attacchi contro le infrastrutture militari statunitensi, quelli a cui ha risposto l’aviazione americana giovedì. Gli Stati Uniti hanno circa 2.500 soldati in Iraq e circa 900 in Siria, nell’ambito delle operazioni antiterrorismo contro lo Stato Islamico. Negli ultimi 10 giorni le forze americane hanno visto un enorme aumento degli attacchi nei loro confronti (almeno 19, ha fatto sapere il dipartimento della Difesa), rivendicati da varie milizie sciite che operano nel paese, e che secondo gli Stati Uniti fanno tutte parte della cosiddetta «asse della resistenza» iraniana.
Come ha detto il ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir Abdollahian, lo scopo di questi attacchi è dimostrare che l’Iran e i suoi alleati sono pronti a «espandere i fronti di guerra» contro Israele. «Il fronte della resistenza è capace di condurre una guerra di lungo periodo contro il nemico», cioè Israele.
Quella del ministro non è una dichiarazione di guerra, ma una minaccia. Molti analisti, anzi, ritengono piuttosto che potrebbe essere un bluff: cioè ritengono che l’Iran voglia mostrarsi minaccioso e dare l’impressione di essere capace di mobilitare un’ampia rete di alleati e di gruppi armati in tutto il Medio Oriente contro Israele e gli Stati Uniti, ma non è detto che sia davvero pronto a entrare in uno scontro armato diretto.
Per cercare di capire questa dinamica, e quale potrebbe essere il ruolo dell’Iran nella guerra tra Israele e Hamas, bisogna anzitutto capire il rapporto che c’è tra l’Iran e la costellazione di milizie che arma e sostiene, e come l’«asse della resistenza» sia stato usato negli anni dal regime iraniano per perseguire i propri obiettivi in tutta la regione.
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I “proxy”
Dal punto di vista storico, l’Iran non partecipa direttamente a una guerra da 35 anni, da quando cioè si concluse la lunga guerra con l’Iraq che durò dal 1980 al 1988. Ma in realtà da decenni, e con maggiore intensità negli ultimi anni, ha avuto un ruolo in moltissimi conflitti in tutto il Medio Oriente: nelle guerre in Siria e in Yemen, nei conflitti numerosi tra Israele e il Libano (l’ultima risalente al 2006), e nella guerra in Iraq contro lo Stato Islamico.
Lo ha fatto utilizzando quelli che in inglese vengono chiamati “proxy”, parola che tradotta significa qualcosa tipo “delegato” ma che in gergo implica il fatto che per anni l’Iran ha sostenuto, addestrato e armato gruppi armati in vari paesi della regione, con l’obiettivo di raggiungere i propri obiettivi politici e militari all’estero senza doversi impegnare direttamente. È questo l’«asse della resistenza»: un gruppo di milizie presenti in vari paesi che operano per conto dell’Iran, o i cui interessi sono in qualche modo allineati a quelli dell’Iran.
L’ideatore e il maggior fautore della strategia dell’asse della resistenza fu Qassem Suleimani, un potentissimo generale iraniano ucciso dagli Stati Uniti nel 2020 a Baghdad (in Iraq) in un omicidio mirato. Suleimani capì che l’Iran era troppo debole e isolato per poter condurre una politica estera aggressiva in Medio Oriente, ma che avrebbe potuto sostenere e armare milizie esterne per ottenere risultati comunque importanti.
La più celebre e importante delle milizie che fanno parte dell’«asse della resistenza» è Hezbollah, che è il più grande esercito non statale del mondo.
Hezbollah si formò come milizia sciita negli anni Ottanta, durante la seconda invasione del Libano da parte di Israele: fu immediatamente sostenuta, armata e addestrata dall’Iran, che ne fece, di fatto, il suo braccio armato all’estero. Nel 1985 Hezbollah giurò fedeltà alla Guida Suprema iraniana, la principale figura politica e religiosa dell’Iran, e nel tempo assunse anche un ruolo fondamentale nella politica libanese. Oggi vari esponenti di Hezbollah fanno parte del parlamento libanese e hanno avuto ruoli nel governo per decenni. Il gruppo inoltre controlla militarmente ampie parti del Libano.
Uno studio del 2020 ha stimato che Hezbollah abbia 20 mila miliziani attivi e altrettante riserve, e un arsenale simile a quello di un esercito convenzionale: piccoli carri armati, droni, missili e razzi.
Nell’ultimo decennio Hezbollah è stato inviato a combattere nella guerra civile in Siria al fianco del dittatore Bashar al Assad, e questo ha creato un vincolo molto forte tra Assad e l’Iran. Inoltre Hezbollah e altre milizie sciite addestrate localmente hanno partecipato alla guerra contro lo Stato Islamico a partire dal 2014, cosa che ha consentito all’Iran di aumentare la propria influenza anche sul governo iracheno.
L’Iran ha partecipato con le stesse modalità alla guerra in Yemen, dove ha finanziato e armato gli Houthi, un gruppo militare che oggi domina buona parte del paese, compresa la capitale Sanaa. Da tempo inoltre l’Iran ha un rapporto piuttosto stretto con Hamas, e ci sono state voci non confermate sul fatto che l’Iran e i gruppi armati affiliati, come Hezbollah, si siano coordinati con Hamas per l’organizzazione del massacro di civili israeliani del 7 ottobre.
Il rapporto dell’Iran con tutti questi gruppi però è estremamente vario e complicato: ci sono numerose differenze sul livello di controllo e vicinanza che il regime iraniano esercita nei confronti delle milizie che finanzia e sostiene. Con Hezbollah il rapporto è storicamente solido, ma si ritiene che la leadership del gruppo militare abbia comunque un buon grado di indipendenza nei confronti del governo iraniano.
Il rapporto con Hamas, invece, è molto più complicato, anche per via del fatto che Hamas è un gruppo sunnita mentre l’Iran è governato da un regime sciita: quello dei sunniti e quello degli sciiti sono i principali rami dottrinali dell’islam, che sono da secoli in conflitto. Anche per questo di recente un dirigente di Hamas ha detto all’Economist che quello con l’Iran è un «matrimonio di convenienza».
In questo contesto, molti analisti ritengono che l’Iran e Israele combattano da anni una specie di “guerra ombra”, in cui l’Iran usa le milizie fedeli per cercare di accerchiare Israele e per mettere pressione militare sul paese, mentre Israele contrasta l’Iran a livello diplomatico (nelle organizzazioni internazionali), economico (sostenendo per esempio le sanzioni) e anche militare (compiendo omicidi mirati spesso con dei droni armati e colpendo infrastrutture legate al programma nucleare iraniano o al trasferimento di armi alle milizie filo-iraniane).
Il secondo e il terzo fronte
Il fatto che i membri dell’«asse della resistenza» abbiano aumentato nelle ultime settimane i propri attacchi contro Israele e gli Stati Uniti, e che nel frattempo la leadership iraniana abbia cominciato a usare una retorica sempre più minacciosa nei confronti di Israele, non implica necessariamente che l’Iran sia davvero pronto a entrare in guerra, né a sacrificare i suoi “proxy” più importanti, come Hezbollah, in un conflitto che rischia di diventare estremamente pericoloso.
I rischi per l’Iran sono due: il primo riguarda la stabilità interna dell’Iran, e il rischio che un suo impegno in una guerra all’estero possa provocare proteste e rivolte all’interno del paese. Negli scorsi anni ci sono state numerose manifestazioni che avevano tra i loro obiettivi anche l’eccessivo impegno dell’Iran all’estero, a discapito dell’economia interna e del miglioramento delle condizioni di vita.
Il secondo rischio riguarda il fatto che una guerra con Israele potrebbe eliminare, o indebolire eccessivamente, l’«asse della resistenza». Se soprattutto Hezbollah subisse grosse perdite in caso di guerra, la strategia dell’Iran di usare dei “proxy” per aumentare la propria influenza in Medio Oriente rischierebbe di essere compromessa.