«Pausa umanitaria» o «pause umanitarie»?
La discussione nell'Unione Europea su come chiedere delle interruzioni nei combattimenti tra Hamas e Israele va avanti da giorni e riflette posizioni politiche distanti tra loro
Alla riunione di giovedì del Consiglio Europeo i principali capi di stato e di governo dell’Unione Europea dovrebbero rendere pubblico un comunicato unitario in cui, secondo numerose indiscrezioni pubblicate dai media, saranno chieste «pause umanitarie» negli scontri tra Israele e Hamas e nei lanci di missili e razzi tra le due parti. Le pause dovrebbero permettere di far entrare nuovi aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, dove da più di due settimane Israele impone un «assedio totale» che impedisce l’arrivo di cibo, medicine, carburante ed energia (negli ultimi giorni sono entrati dei convogli di aiuti umanitari dal varco di Rafah, l’unico passaggio che collega l’Egitto alla Striscia, considerati però insufficienti per le esigenze della popolazione).
Il comunicato non è ancora definitivo ma le discussioni sul suo contenuto vanno avanti da giorni, e mostrano le grosse divisioni che si sono create nell’Unione su come reagire alla nuova guerra tra Israele e Hamas. Per giorni, nei negoziati preparatori, ci sono state discussioni intense sulla terminologia da adottare, e quello che sembra essere il compromesso raggiunto, cioè parlare di «pause umanitarie» al plurale, è il frutto di trattative estremamente macchinose.
Secondo vari media, uno degli elementi principali della discussione ha riguardato la differenza tra chiedere una «pausa umanitaria» (al singolare) e delle «pause umanitarie» (al plurale). Alcuni paesi più vicini alle posizioni di Israele ritenevano che una «pausa» (al singolare) avrebbe potuto essere percepita come una richiesta di cessate il fuoco, cioè come una richiesta di interrompere i combattimenti in maniera definitiva, anziché temporanea. Questo avrebbe indebolito il messaggio di sostegno a Israele e al suo diritto di difendersi dopo l’attacco di Hamas.
Alcuni giorni fa, anche i ministri degli Esteri dell’Unione avevano cercato di trovare un accordo su un comunicato che invocasse una «pausa umanitaria» (al singolare), ma non c’erano riusciti.
Parlare di «pause umanitarie» al plurale, invece, implicherebbe uno slittamento di significato, perché non richiederebbe più a Israele di interrompere in blocco i bombardamenti per consentire l’arrivo di aiuti alla popolazione civile della Striscia di Gaza, ma aprirebbe a interruzioni brevi, magari localizzate ad alcune aree e non generalizzate a tutta la Striscia.
Tra i paesi europei più vicini a Israele, e sostenitori delle «pause» al plurale, ci sono la Germania, l’Austria e la Repubblica Ceca. Un diplomatico europeo che ha chiesto di rimanere anonimo ha spiegato alla BBC che «una pausa implica che entrambe le parti si fermino e basta, mentre pause è temporaneo. Sono piccoli intervalli da poche ore, per far arrivare gli aiuti». Il timore, tra le altre cose, è che una pausa troppo lunga nei bombardamenti israeliani potrebbe consentire a Hamas di riorganizzarsi e riprendere le forze.
Altri paesi europei, come Spagna, Irlanda e Portogallo, sono invece un po’ più esigenti con Israele e più insistenti sulla necessità di fare arrivare aiuti umanitari alla popolazione palestinese. Mercoledì Pedro Sánchez, il primo ministro spagnolo, ha chiesto che a Gaza si organizzi un «cessate il fuoco umanitario» (termine che di fatto non è nemmeno stato preso in considerazione dalla diplomazia europea).
Le divisioni tra i membri dell’Unione sulla guerra tra Israele e Hamas vanno avanti dall’inizio del conflitto. Nelle scorse settimane, tra le altre cose, alcuni diplomatici e membri delle istituzioni europee avevano accusato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, di aver adottato un atteggiamento troppo favorevole a Israele. Al contrario il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, aveva detto molto apertamente che la decisione di Israele di imporre un «assedio totale» sulla Striscia di Gaza, tagliando acqua, elettricità e rifornimenti, non era «in linea con la legge internazionale».