Cosa sono gli “aiuti umanitari”
Se ne sta parlando molto per la situazione nella Striscia di Gaza: nel diritto internazionale non esiste una definizione precisa, ma ci sono alcuni obblighi che i paesi devono rispettare
Nell’ultima settimana gli sforzi diplomatici di vari paesi occidentali e dell’ONU si sono concentrati nelle trattative per fare entrare alcuni camion di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, che Israele ha circondato con un “assedio totale” e che sta bombardando in maniera molto intensa da più di due settimane, dopo gli attacchi del 7 ottobre compiuti da Hamas in territorio israeliano.
Da qualche giorno le trattative si sono sbloccate e il governo israeliano, che controlla i confini della Striscia, sta lasciando passare circa una ventina di camion al giorno. I camion entrati e quelli in attesa di entrare al confine fra l’Egitto e la Striscia sono carichi di beni di prima necessità: acqua, medicine, coperte, assorbenti, cibo non deperibile. Ma i cosiddetti “aiuti umanitari” possono prendere forme diverse a seconda del paese che li invia, della circostanza in cui vengono spediti, di cosa serve al paese che li riceve.
Anche per queste ragioni nei trattati internazionali non esiste una definizione condivisa di “aiuto umanitario”. In maniera un po’ controintuitiva, però, esistono diversi obblighi. La Quarta Convenzione di Ginevra, che insieme alle altre tre convenzioni forma la base del diritto internazionale umanitario, all’articolo 23 prevede per esempio che in caso di guerra fra due stati «ciascuna parte accorderà il libero passaggio per qualsiasi invio di medicamenti e di materiale sanitario, come pure per gli oggetti necessari alle funzioni religiose, destinati unicamente alla popolazione civile».
Col tempo le norme del diritto internazionale ma anche quelle del diritto consuetudinario, cioè quello che deriva da pratiche tenute e seguite da gran parte dei paesi e che vengono considerate vincolanti, si sono evolute per coprire anche aiuti che non siano soltanto «materiale sanitario» e «oggetti necessari alle funzioni religiose». Il ministero degli Esteri tedesco definisce aiuto umanitario ciò che «aiuta le persone che sono in grande difficoltà per via di una crisi, un conflitto o un disastro naturale, e non possono superare da sole queste difficoltà».
Nella storia antica e moderna ci sono stati diversi episodi occasionali di aiuti forniti a popolazioni civili che ne avevano bisogno, ma uno degli esempi più citati nella storia contemporanea avvenne nel 1963 in Macedonia del Nord (che allora si chiamava ancora Macedonia). Il 26 luglio un terremoto di magnitudo 6.1 colpì la sua capitale Skopje. Il terremoto causò almeno un migliaio di morti e distrusse buona parte della città. Allora la Macedonia faceva parte della Jugoslavia, uno dei pochi paesi che aveva radicati rapporti sia con l’Occidente sia con l’Unione Sovietica: nei giorni successivi al terremoto moltissimi paesi inviarono tonnellate di aiuti e centinaia di uomini per scavare fra le macerie, e anche negli anni successivi aiutarono il governo locale nella ricostruzione della città.
Negli anni successivi i paesi occidentali resero più strutturale la loro capacità di inviare aiuti umanitari a paesi in difficoltà, usandola anche come strumento di soft power per la propria politica estera (per soft power s’intende la capacità di ottenere rilevanza e influenza senza usare la forza o la minaccia della forza). Nel 1961 gli Stati Uniti crearono la USAID, l’agenzia governativa che si occupa sia di fornire aiuti umanitari in situazioni di emergenza a paesi stranieri, sia di gestire fondi più strutturali, quelli per la cosiddetta cooperazione internazionale. La Commissione Europea, l’organo che nell’Unione Europea detiene il potere esecutivo, ha un commissario di nomina politica alla Gestione delle crisi, lo sloveno Janez Lenarčič.
In anni recenti è accaduto sempre più spesso che alcuni paesi rifiutassero aiuti del genere, anche per ragioni politiche. Sulla rivista online Affari Internazionali Andrea De Guttry ed Emanuele Sommario della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa hanno citato il caso della giunta militare del Myanmar, che nel maggio del 2008 dopo che un fortissimo ciclone aveva causato almeno 70mila morti nel paese «si rifiutò per giorni di accogliere qualsiasi proposta di aiuto, in parte per una questione di orgoglio nazionale, in parte perché la catastrofe aveva colpito soprattutto un territorio abitato da oppositori politici».
Pochi mesi fa anche il Marocco, dopo un terremoto che causò almeno 2.900 morti, si era rifiutato di accettare alcuni aiuti umanitari offerti da paesi europei. Il governo marocchino si era giustificato dicendo in sostanza che nel paese sarebbero arrivati troppi aiuti e che sarebbe stato complesso coordinarli tutti: alcuni analisti sostengono che il rifiuto fosse legato a una questione di immagine che la monarchia e il governo marocchino stavano cercando di costruire, sempre più autonoma e indipendente dall’Occidente.
In Siria invece dopo il terremoto di magnitudo 7.8 del 5 febbraio 2023, quello che ha causato almeno 50mila morti in Turchia, il regime di Bashar al Assad aveva auspicato l’arrivo di aiuti umanitari. Diversi paesi occidentali però avevano preferito non inviarli: Assad è noto per gestire in maniera impropria gli aiuti che già in condizioni normali raggiungono la Siria, e c’erano estesi timori che gli aiuti non sarebbero mai arrivati a destinazione, anche perché la zona colpita, il nord-ovest del paese, è controllata in parte da ribelli che si oppongono al regime.
In generale esistono varie regole del diritto consuetudinario che vincolano gli stati a lasciar passare gli aiuti umanitari in caso di una particolare emergenza: il comitato internazionale di Croce Rossa per esempio ha codificato queste consuetudini in una regola che prevede che «le parti in conflitto debbano permettere e facilitare il rapido passaggio senza ostacoli di aiuti umanitari per i civili che ne hanno bisogno».
Queste regole si applicano anche nel caso di potenze occupanti: cioè anche a Israele nei confronti della Striscia di Gaza, secondo una interpretazione accettata anche in sede ONU. L’articolo 59 della Quarta Convenzione di Ginevra prevede che «allorché la popolazione di un territorio occupato o una parte della stessa fosse insufficientemente approvvigionata, la potenza occupante accetterà le azioni di soccorso organizzate a favore di detta popolazione e le faciliterà nella piena misura dei suoi mezzi. Queste azioni […] consisteranno specialmente in invii di viveri, medicinali ed effetti di vestiario. Tutti gli stati contraenti dovranno autorizzare il libero passaggio di questi invii e garantirne la protezione».
Lo Statuto di Roma, il trattato internazionale istitutivo della Corte penale internazionale (ICC), cioè il principale tribunale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, fa un passo oltre: sostiene infatti che in caso di conflitto armato «affamare intenzionalmente, come metodo di guerra, i civili privandoli dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza, compreso il fatto di impedire volontariamente l’invio dei soccorsi previsti dalle Convenzioni di Ginevra» rappresenta un crimine di guerra.