In Israele si discute della questione degli ostaggi
A parole tutti sono d'accordo nel provare a liberarli: ma non ci si intende sul come, e su quanta priorità debbano avere
Mentre l’esercito israeliano continua a bombardare la Striscia di Gaza e a prepararsi per una probabile invasione di terra, buona parte del dibattito pubblico in Israele è incentrata sulle persone prese in ostaggio dal gruppo radicale Hamas durante gli attacchi del 7 ottobre in territorio israeliano, che da allora sono tenute nella Striscia di Gaza. Secondo l’esercito israeliano gli ostaggi sarebbero 222 (la stima è stata aggiornata lunedì).
Domenica sera un gruppo di familiari degli ostaggi ha incontrato il presidente israeliano Isaac Herzog nella sua residenza ufficiale, mentre fuori si teneva una manifestazione di solidarietà verso le persone catturate. Lo stesso giorno si sono tenute manifestazioni simili anche in diverse città europee, fra cui Londra, Berlino e Ginevra.
Le famiglie che hanno incontrato Herzog hanno chiesto a Israele di negoziare con Hamas per il rilascio degli ostaggi. Venerdì sera Hamas aveva liberato due di loro, due donne israelo-statunitensi, e altre due donne sono state liberate lunedì sera. Ma non è chiaro che tipo di trattative siano in corso, o se esistano. Il governo guidato da Benjamin Netanyahu non ha spiegato pubblicamente quale strategia intenda seguire.
Più in generale sembra che il governo israeliano abbia priorità diverse e in conflitto fra loro. Da giorni sostiene che l’obiettivo dei bombardamenti e di una eventuale invasione di terra sia quello di «smantellare» Hamas, e in effetti gli attacchi nella Striscia sono di un’intensità che non si era mai vista. I bombardamenti stanno però mettendo in pericolo la sicurezza degli ostaggi, alcuni dei quali feriti o in condizioni di salute precarie.
Nella storia israeliana poi non era mai capitato che un gruppo radicale palestinese riuscisse a ottenere un numero così grande di ostaggi, e quindi ad avere uno strumento di ricatto così enorme nei confronti di Israele. «Questa situazione non ha precedenti», ha raccontato ad Associated Press Gershon Baskin, un attivista israeliano per i diritti civili che per anni fu coinvolto nelle trattative per liberare Gilad Shalit, il soldato israeliano rapito da Hamas e tenuto prigioniero fra il 2006 e 2011. Shalit venne liberato dopo lunghe trattative e in cambio di circa un migliaio di detenuti palestinesi: fra loro c’era anche Yahya Sinwar, un importante leader di Hamas che dal 2017 è diventato il leader di fatto della Striscia di Gaza.
Finora in casi simili Israele aveva dovuto gestire situazioni molto meno complesse, seppure estremamente delicate. Tre anni dopo il caso di Shalit mise in piedi una enorme operazione di sicurezza per cercare tre ragazzi israeliani rapiti da Hamas il 12 giugno 2014 mentre stavano facendo un’escursione. I ragazzi furono trovati morti due settimane dopo. Dai loro corpi si capì che erano stati uccisi.
Israele allora arrestò decine di funzionari e dirigenti di Hamas, che per ritorsione nella prima settimana di luglio lanciò decine di razzi contro il territorio israeliano. L’opinione pubblica israeliana fu così scossa dall’uccisione dei ragazzi e dal prolungato lancio di razzi che il governo, guidato anche allora da Benjamin Netanyahu, ricevette enormi pressioni per attaccare Hamas. L’8 luglio 2014 l’esercito israeliano invase la Striscia di Gaza in quella che rimane la più grande operazione via terra compiuta dall’esercito israeliano negli ultimi anni. Nei bombardamenti e nell’invasione di terra furono uccisi almeno duemila palestinesi.
La situazione in cui Israele si trova oggi, però, non ha alcun precedente anche solo paragonabile. Non era mai successo che Israele subisse un attacco di terra come quello del 7 ottobre, in cui sono stati uccisi almeno 1.400 israeliani, e non era mai successo che dovesse trattare per la liberazione di un numero così grande di ostaggi.
Anche per questo nel dibattito israeliano negli ultimi giorni sono state avanzate proposte molto diverse fra loro.
Gideon Levy, uno dei più noti commentatori della sinistra israeliana, ha proposto sul quotidiano Haaretz di chiedere ad Hamas di rilasciare tutti gli ostaggi, e di offrire in cambio la liberazione di «gran parte, se non tutti» i detenuti palestinesi che si trovano nelle carceri israeliane (all’inizio dell’estate erano circa 4.500). I palestinesi che finiscono nelle carceri israeliane sono detenuti per ragioni che Israele definisce di «sicurezza», quelli che compiono reati comuni invece vengono detenuti nelle carceri palestinesi. «Le vite degli ostaggi sono a rischio, e va fatto ogni sforzo per salvarle», ha scritto Levy, che ha proposto anche di interrompere i preparativi dell’esercito per una eventuale invasione di terra. «Chiunque voglia assistere al rilascio di tutti gli ostaggi – chi non lo vorrebbe? – deve combattere con tutte le proprie forze per opporsi a un’invasione di terra della Striscia di Gaza».
Diversi esperti concordano nel fatto che una invasione di terra renderebbe molto più complessa la liberazione degli ostaggi, e metterebbe a rischio la loro sicurezza.
L’opinione più diffusa è che Hamas stia tenendo gli ostaggi nella rete di tunnel che ha costruito sotto la Striscia di Gaza, e che di solito usa per contrabbandare armi e merci dall’Egitto. La rete è così estesa che nell’esercito israeliano viene chiamata informalmente “la metropolitana”. Non essendo visibile dall’esterno, si pensa che i tunnel siano un posto più sicuro rispetto a qualsiasi edificio in superficie, esposto ai bombardamenti dell’esercito israeliano. In giorni come questi i tunnel possono servire sia per nascondere i leader di Hamas sia per tenere gli ostaggi.
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L’intelligence israeliana ha fatto sapere di avere raccolto alcune informazioni sulla rete di tunnel: è probabile però che siano piuttosto limitate. Nel caso di una invasione di terra la conoscenza della rete di tunnel darebbe ai miliziani di Hamas un vantaggio enorme, che per esempio potrebbe permettere loro di spostare rapidamente gli ostaggi o addirittura di farli arrivare in Egitto. Inoltre «esiste sempre il rischio che i sequestratori possano decidere di ucciderli, in un attacco di rabbia o mentre sono sul punto di essere scoperti e soccorsi», ha fatto notare Frank Gardner, giornalista di BBC che si occupa di difesa e sicurezza.
Una persona che sta seguendo la questione degli ostaggi e ha voluto rimanere anonima ha detto al New York Times che Hamas ha avvertito che una invasione di terra da parte di Israele renderebbe la liberazione di ulteriori ostaggi molto meno probabile.
Non è chiaro quanto la posizione di Levy rifletta quella degli israeliani: anzi, ci sono diversi segnali che possa essere minoritaria. Un sondaggio realizzato fra 18 e 19 ottobre dal quotidiano israeliano Maariv stima che il 65 per cento degli israeliani appoggi una eventuale decisione di invadere via terra la Striscia di Gaza dopo gli attacchi del 7 ottobre.
«La gente è determinata a spazzare via Hamas», ha detto al Washington Post Michael Milshtein, responsabile del Palestinian Studies Forum all’università di Tel Aviv. Milshtein sostiene che la liberazione dei due ostaggi avvenuta venerdì «abbia forse aperto un’opportunità» per il rilascio di più ostaggi, ma che l’opinione pubblica abbia priorità diverse: «non credo che questo cambierà i piani o le politiche del governo», dice Milshtein.
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Anche fra le famiglie e gli amici degli ostaggi sembra ci siano opinioni contrastanti sull’approccio da tenere. Le famiglie che domenica hanno incontrato Herzog hanno chiesto al governo di intensificare gli sforzi diplomatici e i negoziati. Eppure pochi giorni prima la principale associazione che rappresenta familiari e amici degli ostaggi, Bring Them Home Now (“riportateli a casa, subito”), aveva pubblicato un comunicato molto aggressivo nei confronti di una delle rare concessioni fatte negli ultimi giorni dall’esercito israeliano, cioè l’ingresso di alcuni camion di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza.
«La decisione di permettere l’ingresso di aiuti umanitari agli assassini di Gaza ha causato grande rabbia fra le nostre famiglie», si legge nel comunicato. «Vi ricordiamo che bambini, neonati, donne, soldati, uomini e anziani – alcuni dei quali hanno gravi problemi di salute, o sono feriti – sono tenuti prigionieri sotto terra come animali, in condizioni disumane. E il governo di Israele manda a questi assassini medicine e dolcetti» (l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito «una goccia nell’oceano» gli aiuti arrivati nella Striscia rispetto a quelli che sarebbero necessari).
Anche dal governo israeliano sono arrivate posizioni apparentemente contrastanti. Netanyahu continua a ripetere che la liberazione degli ostaggi rimane una delle priorità del governo, ma al momento non ha preso impegni precisi su tempistiche o modalità. Qualche giorno fa però l’influente ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha auspicato che l’esercito «colpisca duro Hamas, senza badare troppo agli ostaggi».
Fra le poche decisioni concrete prese finora il governo ha nominato un responsabile per coordinare gli sforzi per liberare gli ostaggi, l’ex generale dell’esercito Gal Hirsch.
La sua nomina è stata molto criticata: Hirsch è noto soprattutto per essere un leale sostenitore di Netanyahu e per essere stato incriminato in un grosso caso di evasione fiscale nel 2021. Quando tempo prima il suo nome emerse come possibile nuovo capo della polizia, diversi commentatori israeliani lo ritennero inadatto e senza l’esperienza necessaria per ricoprire l’incarico. Anche oggi ci sono critiche simili. «Sembra che il governo non abbia scelto la persona più qualificata per questo incarico, e che i parametri richiesti fossero invece la lealtà al primo ministro e alla sua famiglia», ha detto al Guardian Ruth Halperin-Kaddari, che insegna all’università di Tel Aviv ed è una delle più note esperte e attiviste israeliane per i diritti delle donne.
Il quotidiano Haaretz è stato ancora più esplicito. In un editoriale pubblicato domenica e intitolato «vai a casa, Gal Hirsch!», si legge che «la sua nomina è un segnale del fatto che Netanyahu non ha alcuna seria intenzione di lavorare per liberare gli ostaggi». L’editoriale non è firmato ed è quindi espressione della linea del giornale.
Hirsch finora non ha fornito molti dettagli sulla strategia del governo, nemmeno alle famiglie degli ostaggi. In un incontro di qualche giorno fa ha detto loro che «ci vorrà tempo» per risolvere la questione: nel frattempo, «avete il nostro numero di telefono».