Lo sciopero delle donne, in Islanda
Si terrà martedì, per la parità di retribuzione e contro la violenza di genere: le donne non andranno al lavoro e non aiuteranno in casa, vi aderirà anche la prima ministra
Martedì in Islanda è previsto uno sciopero di un giorno contro il divario di retribuzione tra uomini e donne (il cosiddetto gender pay gap) e le violenze sessuali e di genere. Vi hanno aderito migliaia di donne e di persone di genere non binario e prevede sia un’interruzione del lavoro retribuito che di quello non retribuito, che comprende il lavoro domestico e di cura in ambito familiare, che spesso ricade sulle donne. Vi aderirà anche la prima ministra Katrín Jakobsdóttir, che ha detto di voler «mostrare solidarietà alle donne islandesi».
Lo sciopero di martedì è il risultato di un grosso lavoro politico a cui hanno preso parte più di 30 organizzazioni e ci si aspetta sarà il più grosso sciopero femminile nella storia del paese. Nella capitale, Reykjavik, si svolgerà la manifestazione più grossa e altre si terranno in una decina di altre città.
Secondo il report sul divario di genere che viene stilato ogni anno dal World Economic Forum, negli ultimi 14 anni l’Islanda è sempre stato il paese (tra gli oltre cento analizzati) più vicino al raggiungimento della parità di genere. Le organizzatrici dello sciopero hanno fatto notare però che in alcune professioni il divario di retribuzione tra uomini e donne raggiunge ancora il 21 per cento, e più di una donna su tre ha avuto esperienza di violenze di genere nella propria vita.
Riguardo al divario di retribuzione tra uomini e donne, in Islanda c’è una legge dal 2017 che impone alle società e alle aziende di certificare che lo stipendio di uomini e donne sia uguale a parità di mansioni lavorative. Le organizzatrici dello sciopero chiedono però che vengano resi pubblici gli stipendi nei settori dove le lavoratrici sono la maggioranza, come quello assistenziale e quello delle pulizie: secondo i dati, questi stipendi sarebbero significativamente inferiori a quelli di altri settori comparabili e tra i più bassi nel mercato del lavoro, cosa che contribuirebbe a mantenere le donne in una condizione di subalternità economica rispetto agli uomini.
Al discorso sulle discriminazioni economiche si lega quello sulle violenze sessuali e di genere. Drífa Snædal, una delle organizzatrici, ha detto al Guardian che «la violenza contro le donne e il lavoro sottopagato sono due facce della stessa medaglia e hanno effetto l’una sull’altra».
In Islanda ci sono stati vari scioperi femminili negli ultimi anni ma l’ultimo sciopero generale delle donne durato un giorno intero risale al 1975. Allora circa il 90 per cento delle donne nel paese smise di lavorare per quello che venne chiamato kvennafrí (giorno libero delle donne), che diede la spinta all’approvazione di alcune sostanziali riforme. Cinque anni dopo, nel 1980, Vigdís Finnbogadóttir divenne la prima presidente islandese oltre che la prima donna a essere democraticamente eletta come capo di stato nel mondo.
On October 24, 1975, 90% of the women in Iceland staged a strike for equal rights and pay. They ceased working, cooking, cleaning, and tending to their children, effectively bringing the nation to a standstill. The men faced significant challenges. Supermarkets quickly sold out… pic.twitter.com/yjc0yuPvAa
— Historic Vids (@historyinmemes) September 16, 2023
«Si parla dell’Islanda come di un paradiso della parità di genere» ha detto Freyja Steingrímsdóttir, tra le organizzatrici dello sciopero e portavoce del BSRB, il più grande sindacato dei lavoratori pubblici: «dobbiamo assicurarci di essere all’altezza di queste aspettative». Lo slogan dello sciopero di martedì è infatti Kallarðu þetta jafnrétti? (“Tu questa la chiami parità?”). Steingrímsdóttir ha anche spiegato che lo sciopero coinvolge donne e persone di genere non binario perché «stiamo tutte lottando contro lo stesso sistema, siamo tutte sotto l’influenza del patriarcato».