Vincerà Javier Milei in Argentina?
Si vota domenica e l'imprevedibile leader di estrema destra è il favorito: vuole “mandare a casa” tutti i partiti tradizionali
Fino a solo un anno fa in Argentina era diffusa la convinzione che la coalizione di centrodestra Juntos por el Cambio sarebbe tornata a governare alle elezioni in programma domenica 22 ottobre: le discussioni all’interno della coalizione si concentravano per lo più sul definire chi sarebbe stato il candidato presidente. Il paese, governato dal centrosinistra dal 2019, attraversava l’ennesima e profonda crisi economica, il presidente Alberto Fernandez era largamente impopolare, la sua vicepresidente Cristina Kirchner, riferimento dell’area progressista e peronista, era alle prese con un processo per corruzione che nel dicembre 2022 l’avrebbe portata a una condanna a sei anni di prigione. Nella politica nazionale era già comparso l’economista ultraliberista e di estrema destra Javier Milei, che però era considerato un candidato poco credibile e con un seguito limitato fuori da Buenos Aires, la capitale.
Oggi tutti i sondaggi collocano Patricia Bullrich, vincitrice delle primarie del centrodestra di agosto, al terzo posto nelle intenzioni di voto: negli ultimi giorni di campagna elettorale Bullrich ha provato una difficile rimonta per cercare di centrare almeno il ballottaggio. Nel frattempo la crisi economica argentina è continuata, aggravandosi ulteriormente. Il centrosinistra non ha risolto i propri problemi e ha scelto come candidato alla presidenza Sergio Massa, le cui scelte da ministro dell’Economia si sono rivelate piuttosto inefficaci.
Il radicale cambio di prospettiva per il centrodestra è dipeso quasi del tutto dall’ascesa dirompente dei consensi per Javier Milei. Il candidato populista di estrema destra e il partito da lui fondato, La Libertad Avanza, hanno vinto le primarie, considerate una specie di grande sondaggio nazionale prima delle elezioni presidenziali. Ad agosto ha ottenuto un sorprendente 30 per cento dei voti con messaggi contro la “casta” con lo slogan “Se ne vadano tutti”, presentando proposte come il taglio indiscriminato della spesa pubblica e l’abbandono della moneta locale (il pesos) in favore del dollaro.
Oggi, dopo una campagna elettorale teatrale e sopra le righe, in cui è apparso spesso con una motosega (a simboleggiare i tagli alle spese pubbliche) è accreditato anche di qualche punto in più. Nonostante nella storia recente dell’Argentina i sondaggi non siano sempre stati troppo affidabili, sembra molto probabile che Milei arriverà al ballottaggio: lui si dice convinto di poter vincere già al primo turno.
Le elezioni presidenziali prevedono il voto obbligatorio (pena una multa) e l’elezione diretta a presidente del candidato che abbia ottenuto almeno il 45 per cento delle preferenze, o il 40 per cento con 10 punti di vantaggio sul secondo. Al momento né Massa, accreditato di una percentuale fra il 25 e il 28, né Bullrich sembrano poter arrivare al 30 per cento: uno scenario in cui l’economista “anti-establishment” arrivi al 40 cento dei voti al primo turno, ottenendo subito la presidenza, è considerato improbabile ma non impossibile.
La crescita di Milei è frutto di capacità comunicative e campagne sui social tanto spregiudicate quanto efficaci, di una crisi economica quasi perenne dopo il fallimento del 2001, quando il governo annunciò la propria incapacità di ripagare i debiti con l’estero e di restituire ai risparmiatori i soldi investiti in titoli di stato. Milei ha anche sfruttato un panorama politico piuttosto bloccato, in cui ha avuto gioco facile nel presentarsi come unica novità e possibile soluzione.
Negli ultimi vent’anni la politica argentina si è sviluppata tutta sull’asse di una contrapposizione fra kirchnerismo e anti-kirchnerismo.
Il kirchnerismo è la corrente politica di centrosinistra che fa riferimento all’ex presidente Nestor Kirchner (morto nel 2010) e a sua moglie ed erede politica Cristina: dal 2003 ha espresso quattro degli ultimi cinque presidenti. La destra si è quasi sempre definita per opposizione, in una riedizione dello storico antagonismo fra peronisti e antiperonisti (in questo caso le figure centrali furono quelle di Juan Domingo Perón e della moglie Evita, nel dopoguerra e negli anni ’50). Questa contrapposizione non ha portato pressoché nessun risultato nella stabilizzazione di un’economia sempre vicina al collasso ed è stata accompagnata da numerosi e ricorrenti scandali legati alla corruzione, su entrambi i fronti.
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Milei è stato capace di intercettare l’esasperazione di una buona fetta dell’elettorato, soprattutto quello più giovane e delle classi sociali più povere: oggi in Argentina 4 persone su 10 vivono sotto la soglia della povertà.
Milei è un personaggio molto atipico, inizialmente conosciuto soprattutto per le sue stranezze: raccontò di parlare telepaticamente con uno dei suoi cinque cani, considerati come figli; si fece conoscere con alcune ospitate televisive in cui si vestiva da supereroe o distruggeva modellini della Banca Centrale con una mazza; fu protagonista di un fortunato tour nei teatri. Da quando è in politica, fanno notizia soprattutto le sue tesi estreme su ogni argomento e i violenti attacchi verbali, con insulti e urla, che riserva praticamente a tutti: avversari politici, economisti, giornalisti e persino il Papa.
Gran parte del suo discorso politico si basa su una proposta economica che a suo dire «metterebbe fine all’inflazione», arrivata a settembre al 138 per cento su base annua, e alla debolezza del peso, che ha perso il 20 per cento del suo valore nei confronti del dollaro solo da inizio ottobre. Oggi un dollaro viene scambiato sul mercato parallelo (ma tollerato) per 1000 pesos: un anno fa ne bastavano 250 circa. Milei promette di rendere effettiva la dollarizzazione, ossia l’abbandono della moneta nazionale a favore del dollaro (in realtà una misura complessa e considerata da molti per lo più irrealizzabile) e sostiene di voler «bruciare la Banca Centrale argentina», simbolo degli errori nella gestione economica e finanziaria del paese.
Un’altra risposta semplice a un problema complesso – di grande presa sui suoi sostenitori – sono i tagli indiscriminati soprattutto alla spesa pubblica e ai costi della politica: secondo il programma elettorale, riguarderebbero anche i ministeri, che Milei vorrebbe ridurre a otto. Le altre proposte sono quelle tipiche dell’estrema destra, dalla difesa della libertà di portare armi alla netta contrarietà all’aborto e alle diagnosi prenatali (è invece favorevole alla vendita degli organi, considerati una «risorsa economica» a cui qualcuno può essere costretto ad accedere). È animato da un viscerale anticomunismo ed è revisionista sui numeri dei morti e dei desaparecidos, cioè le persone arrestate durante la dittatura di cui poi non si è saputo più nulla. Ha scelto come candidata vicepresidente Victoria Villarruel, figlia, nipote e cugina di militari e con idee se possibile ancora più radicali e revisioniste sul periodo autoritario dell’Argentina.
È difficile ipotizzare fin da ora le conseguenze che potrebbe avere sull’Argentina una eventuale vittoria di Milei: ci sarebbe certamente un passo indietro sul tema dei diritti civili.
Gli altri due candidati principali, Massa e Bullrich, stanno impostando la campagna proprio in opposizione a Milei, definendo «pericolosa» una sua eventuale vittoria.
Massa si sta proponendo come unica alternativa possibile all’estrema destra, cercando di non parlare troppo degli ultimi 14 mesi in cui è stato a capo di un super-ministero economico che aveva l’obiettivo dichiarato di far uscire l’Argentina dalla crisi, peraltro frutto di una situazione consolidata e di un debito del paese con l’estero che continua a crescere. Avvocato, ex leader del Frente Renovador (partito peronista di centro), Massa si era già candidato alle elezioni presidenziali del 2015, prendendo poco più del 20 per cento dei voti e finendo terzo. In passato era stato critico con Cristina Kirchner e oggi rappresenta l’ala più pragmatica della coalizione di centrosinistra: ha promesso politiche più attente ai mercati e tagli delle spese, ma con riguardo verso gli effetti sulla popolazione. Sono cose però che non è riuscito ad attuare da ministro, nonostante gli ampi poteri.
Patricia Bullrich sta cercando invece di presentarsi come una candidata di rottura verso il passato, ma in termini più responsabili, prevedibili e meno eccessivi rispetto a Milei. La sua campagna elettorale è stata condizionata dalla forte competizione nelle primarie della sua coalizione, in cui ha sconfitto Horacio Larreta, capo uscente del governo della città di Buenos Aires (una figura che è qualcosa di più di un sindaco, anche per le dimensioni della capitale, nella cui area metropolitana vivono 15 milioni di persone). La contrapposizione tra Bullrich e Larreta ha creato qualche problema nella coalizione di centrodestra, che ci ha messo un po’ di tempo a ricompattarsi attorno alla candidata vincitrice: due mesi dopo le primarie, però, Bullrich ha annunciato che Larreta sarebbe stato capo del suo gabinetto, se lei sarà eletta presidente.
Bullrich ha idee piuttosto di destra ed era sostenuta dall’ex presidente Mauricio Macri, figura centrale nel centrodestra argentino negli ultimi anni: nel 2015 Macri vinse le elezioni presidenziali, riportando i conservatori al governo dopo 16 anni. Sembrava la fine del kirchnerismo, ma la sua presidenza fu contraddistinta da scandali e dai soliti problemi economici: nel 2019 divenne il primo presidente argentino e sudamericano a non centrare una rielezione e a non arrivare nemmeno al secondo turno.
Gli altri candidati, ma con gradimenti inferiori al 5 per cento, sono il governatore di Cordoba Juan Schiaretti, peronista di centrodestra, e la leader della sinistra Myriam Bregman.
Con le elezioni presidenziali si terranno anche quelle per rinnovare la metà della Camera (130 seggi) e un terzo del Senato (24). In entrambi i rami del parlamento, anche vincendo le presidenziali, il partito di Milei non avrà la maggioranza, cosa che potrebbe rendere complesso far approvare le sue riforme. Si voterà anche per la presidenza di otto province, fra cui quella di Buenos Aires, dove sono iscritti quasi il 40 per cento degli elettori argentini. Il ballottaggio per le presidenziali, se necessario, si terrà il 19 novembre, il nuovo presidente entrerà in carica il 10 dicembre.
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