Il salario minimo è l’unica cosa che mette in difficoltà il governo
La maggioranza allunga ancora i tempi, non potendo darla vinta all'opposizione né dirsi troppo contraria alla proposta
Martedì la Camera ha votato per il ritorno in commissione Lavoro della proposta di legge sull’introduzione del salario minimo. Con questa decisione, la maggioranza di destra ha deciso di rallentare notevolmente il processo di analisi del provvedimento, senza tuttavia bocciarlo in maniera definitiva. Il ritorno in commissione costituisce semmai una sorta di passo indietro nella procedura ordinaria, visto che i testi dei provvedimenti arrivano in aula dopo essere già stati discussi ed eventualmente votati nelle commissioni parlamentari. Le commissioni sono infatti delle suddivisioni dell’assemblea degli eletti specializzate in diversi ambiti (affari costituzionali, bilancio, finanze, esteri, eccetera), e in cui i vari partiti sono rappresentati in proporzione al loro numero di parlamentari.
Mercoledì Walter Rizzetto, deputato di Fratelli d’Italia e presidente della commissione Lavoro, ha parlato alla Camera spiegando che il rinvio della proposta di legge si è reso necessario «per svolgere un’ulteriore fase istruttoria». La commissione Lavoro è competente in materia, e il rinvio è stato approvato dall’aula con 21 voti di scarto, dunque con un margine inferiore a quello di cui potenzialmente gode la maggioranza alla Camera, di oltre 70 voti. Subito dopo la fine della seduta le opposizioni hanno chiesto che la commissione Lavoro “calendarizzasse” subito la proposta di legge, cioè decidesse subito una data precisa in cui discuterla, proprio per evitare tempi troppo lunghi e dare priorità all’analisi del testo. Rizzetto ha respinto la richiesta. A quel punto le opposizioni hanno abbandonato i lavori della commissione per protesta.
L’effetto più scontato del rinvio è un significativo allungamento dei tempi nell’analisi della proposta di legge che potrebbe eventualmente portare all’introduzione di un salario minimo, come chiedono le opposizioni.
D’altronde, non è la prima volta che il governo di Giorgia Meloni decide di affrontare la questione rimandandola. Stando solo agli sviluppi più recenti, il 3 agosto scorso la Camera aveva votato una sospensiva di due mesi per volere della maggioranza, rinviando di fatto di almeno 60 giorni la discussione sulla proposta di legge avanzata in maniera compatta dalle opposizioni (con l’esclusione di Italia Viva di Matteo Renzi). L’11 agosto, poi, Meloni aveva ricevuto i leader dei partiti di opposizione che chiedevano l’introduzione del salario minimo a Palazzo Chigi, sede della presidenza del Consiglio, e in quell’occasione aveva annunciato di voler affidare al CNEL (il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro presieduto da Renato Brunetta) il compito di presentare nel giro di due mesi un rapporto sul salario minimo. In pratica il CNEL avrebbe dovuto suggerire al governo e al parlamento una valutazione indicando la soluzione migliore.
Il CNEL è un ente a cui la Costituzione assegna un ruolo di consulenza a supporto delle camere e del governo sulle materie economiche e sociali. Il 12 ottobre scorso ha pubblicato un documento in cui, in estrema sintesi, spiega perché non è il salario minimo la soluzione migliore contro il lavoro povero. Per il CNEL sarebbe più utile rafforzare la contrattazione collettiva, cioè il ruolo dei sindacati nel definire con le associazioni dei datori di lavoro i parametri di riferimento per i contratti da applicare a quanti più lavoratori possibili nei vari settori. Proprio in ragione di quel documento è avvenuto il rinvio della proposta di legge in commissione Lavoro, per poterlo cioè analizzare e approfondire nel dettaglio.
Al di là delle procedure parlamentari emerge nel complesso una certa tendenza da parte del governo e della maggioranza: non voler approvare la proposta delle opposizioni e allo stesso tempo neppure mostrarsi come risolutamente contrari all’idea del salario minimo. In questa difficile ricerca di compromesso la soluzione sembra essere prendere tempo.
La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, fin dall’inizio del suo mandato ha scelto principalmente questo tema per mettere pressione al governo. A marzo scorso, durante il primo confronto alla Camera con Meloni da leader del PD, ha presentato un’interrogazione appunto sul salario minimo. Meloni in quell’occasione ha detto che «il governo non è convinto che la soluzione sia la fissazione di un salario minimo legale», ma comunque ha assicurato di avere l’intenzione di affrontare il problema del lavoro povero. Quello che sta succedendo in queste ore alla Camera è l’evoluzione di quel dibattito politico, che ha visto nel frattempo le opposizioni trovare un’intesa sulla proposta di legge da presentare al parlamento e avviare insieme anche una raccolta di firme durante l’estate.
Secondo i leader del centrosinistra anche il fatto che mercoledì il rinvio sia passato con soli 21 voti di scarto sarebbe sintomo della difficoltà della maggioranza su questo. «La nostra è una proposta popolare, e con questa proposta siamo entrati anche nelle case di chi ha votato centrodestra» ha detto Schlein mercoledì. «Abbiamo raccolto già 500mila firme e quelle firme sono anche di tanti elettori del centrodestra», ha detto al Tg1 il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, insistendo sullo stesso aspetto. Negli scorsi mesi i sondaggi di diversi istituti statistici avevano mostrato come la maggior parte degli elettori della destra fosse in realtà favorevole alla proposta del salario minimo. Per esempio secondo un sondaggio di YouTrend per SkyTg24 pubblicato a luglio, il 71 per cento di chi vota per Fratelli d’Italia darebbe un giudizio positivo all’introduzione del salario minimo.