Che storia ha “Lucha y Siesta”
È un polo culturale e un centro antiviolenza molto conosciuto a Roma, ma la regione vuole chiuderlo per ristrutturare l'immobile che lo ospita e riassegnarne la gestione
Martedì la giunta regionale del Lazio presieduta da Francesco Rocca, eletto con il centrodestra, ha deciso di chiudere la Casa delle Donne “Lucha y Siesta”, un centro antiviolenza e polo culturale attivo da 15 anni nel quartiere Tuscolano di Roma. La regione ha revocato la convenzione approvata nel 2021 dalla giunta precedente, quella di Nicola Zingaretti del Partito Democratico che assegnava formalmente all’associazione l’uso degli spazi in via Lucio Sestio 10, da cui l’associazione prende il nome (lucha significa “lotta” in spagnolo, e siesta “riposo” con riferimento alla protezione offerta dalla Casa delle Donne).
Ora invece l’edificio dovrà essere ristrutturato e sarà poi aperto un bando pubblico per riassegnarne la gestione, a cui anche l’associazione Lucha y Siesta potrà partecipare. Le attiviste hanno criticato la decisione e per ora si rifiutano di liberare l’immobile: «Noi da qui non ce ne andiamo di certo e pretendiamo che il governatore ci convochi», hanno detto.
Spesso il nome Lucha y Siesta viene identificato solo con la casa occupata, ma l’associazione svolge molte altre attività a Roma legate al contrasto della violenza di genere: per esempio gestisce per conto del comune due centri antiviolenza, e un altro all’Università Roma Tre per conto dell’ente regionale per il diritto allo studio.
La struttura di via Lucio Sestio ha una lunga storia e oggi è un punto di riferimento nel panorama femminista romano e nel contrasto alla violenza di genere. Le attività cominciarono nel 2008, quando un gruppo di donne in difficoltà occupò l’immobile dismesso ma di proprietà dell’azienda dei trasporti comunale, l’ATAC. L’associazione Lucha y Siesta nacque ufficialmente qualche anno dopo e iniziò a organizzare corsi, spettacoli, presentazioni e attività formative nello stabile, che nel tempo è diventato un polo culturale, un centro antiviolenza e una casa di accoglienza per donne e minori in difficoltà.
L’edificio è degli anni Venti, usato in origine come stazione per i tram dell’ATAC. È composto da una palazzina a due piani, con un grande giardino e altri spazi dove ora ci sono la segreteria e lo sportello antiviolenza. La struttura offre anche 14 posti letto per donne in difficoltà ed eventuali loro figli minorenni, non gestiti direttamente da Lucha y Siesta ma da un comitato locale.
A causa dei moltissimi debiti accumulati dall’ATAC, nel 2019 l’immobile venne messo all’asta per circa 2 milioni di euro. Da quel momento si è parlato più volte di sgomberare gli spazi occupati dal centro antiviolenza di via Lucio Sestio, cosa che poi non è mai avvenuta. Nel febbraio del 2020 la giunta comunale della sindaca Virginia Raggi (Movimento 5 Stelle) ordinò di staccare le utenze di luce e acqua alla Casa, ma la decisione fu annullata dopo molto proteste da parte delle attiviste e di altri sostenitori e sostenitrici del centro.
Nel 2021 la Regione Lazio si aggiudicò l’immobile vincendo un’asta da 2,4 milioni di euro. Il presidente Zingaretti celebrò l’acquisizione dell’edificio scrivendo su X (al tempo Twitter): «Abbiamo salvato Lucha y Siesta».
Nell’ottobre del 2022 la giunta regionale di Zingaretti assegnò formalmente la gestione dell’immobile a Lucha y Siesta per permetterle di continuare le sue attività, ma la delibera non è mai stata ratificata né dalle volontarie del centro né dal nuovo presidente regionale Rocca, entrato in carica nel marzo del 2023: «Ci troviamo in un limbo», dice l’attivista di Lucha y Siesta Viola Paolinelli. Negli ultimi mesi le attiviste hanno chiesto più volte alle istituzioni di riconoscere in via ufficiale le attività della Casa, senza successo. Anche per questo oggi i 14 posti letto della casa di via Lucio Sestio non rientrano nella rete ufficiale delle case rifugio gestite dal comune di Roma.
Nel 2022 il comune, in collaborazione con enti senza scopo di lucro, gestiva 20 centri antiviolenza tra cui tre “case rifugio”, ossia centri attrezzati anche per fornire un alloggio gratuito alle donne in difficoltà e ai loro eventuali figli minorenni. Le tre case rifugio offrivano in totale 65 posti letto, insufficienti per rispondere alla domanda in città, dove vivono quasi 3 milioni di persone. Nel 2022 su 179 nuove richieste di ospitalità nelle case rifugio solo 22 – il 12 per cento del totale – sono state accolte, e 97 sono state rifiutate per mancanza di posti (come detto, i dati non includono i posti disponibili nella casa di via Lucio Sestio).
La scarsa presenza di centri antiviolenza non è una peculiarità di Roma. Secondo l’ultimo rapporto della rete europea di associazioni contro la violenza sulle donne (WAVE, Women against violence) nel 2021 in Italia erano attive 272 case rifugio, per un totale di 2.421 posti letti, il 59 per cento in meno di quanto previsto dalle linee guida della Convenzione di Istanbul per prevenire e contrastare la violenza sulle donne, ratificata dall’Italia nel 2013.
La chiusura della Casa delle Donne Lucha y Siesta rischia quindi di peggiorare una situazione già problematica. Paolinelli dice che in questi mesi le attiviste non hanno ricevuto alcuna comunicazione dalla regione, e che hanno saputo dello sgombero insieme a tutti gli altri. Secondo Paolinelli, salvare la casa rifugio è una questione che va oltre Lucha y Siesta: «È una battaglia che riguarda tutta la cittadinanza, e se viene persa saranno a rischio anche tantissime altre associazioni che lavorano nel contrasto della violenza di genere».
La regione ha detto che l’immobile deve essere ristrutturato perché oggi molti ambienti non rispettano le norme igieniche o sanitarie. In seguito verrà indetto un nuovo bando pubblico per assegnarne la gestione, a cui Lucha y Siesta potrà partecipare al pari di qualunque altra associazione interessata. Secondo Paolinelli però i tempi rischiano di allungarsi: «Capire quanto tempo ci vorrà per la ristrutturazione ci preoccupa molto» dice. «Il nostro timore è che questa mossa sia stata fatta per chiudere o almeno frenare le potenzialità di un luogo come questo».
Negli ultimi giorni varie associazioni, cittadini e realtà civiche hanno mostrato solidarietà a Lucha y Siesta e organizzato manifestazioni per chiedere che il centro non venga chiuso, ma che anzi ne venga riconosciuto il valore e l’importanza per la città.