Piombino vuole l’acciaieria che il Friuli Venezia Giulia ha rifiutato
È il secondo tentativo del gruppo ucraino Metinvest, quello dell'Azovstal, dopo aver provato a costruirla in provincia di Udine
La scorsa settimana Gianpietro Benedetti, il presidente del gruppo Danieli, una multinazionale italiana che produce impianti per la siderurgia, ha annunciato di voler costruire una nuova acciaieria a Piombino, in Toscana. Vuole farlo in collaborazione con il gruppo ucraino Metinvest, lo stesso che controllava l’acciaieria Azovstal distrutta dai russi a Mariupol, in Ucraina. Benedetti ha parlato con un certo spirito di rivalsa perché a Piombino l’accoglienza delle autorità è stata positiva, il contrario rispetto alla tenace opposizione ricevuta fino a poco tempo fa in Friuli Venezia Giulia, quando una prima versione del progetto prevedeva la costruzione dell’acciaieria a San Giorgio di Nogaro.
«A Piombino sanno per esperienza cosa vuol dire avere una fabbrica di questo genere: l’accoglienza è stata ottima», ha detto Benedetti, che tra l’altro è presidente della Confindustria di Udine.
Metinvest è una delle più importanti aziende siderurgiche in Europa. Ha diverse acciaierie in Ucraina e impianti in Bulgaria, Regno Unito, Stati Uniti e Italia, dove gestisce due impianti: Trametal, a San Giorgio di Nogaro, e Ferriera Valsider, in provincia di Verona. L’acciaio prodotto dalle acciaierie di Metinvest è stato utilizzato per la costruzione del ponte San Giorgio di Genova, che ha sostituito il ponte Morandi crollato nel 2018.
Nel 2021 Metinvest ha raggiunto un fatturato di 18 miliardi di euro, l’anno successivo l’invasione russa ne ha limitato la produzione e gli affari. Da tempo Metinvest collabora con il gruppo friulano Danieli specializzato nella costruzione di forni elettrici per la produzione di acciaio cosiddetto “verde”, cioè ottenuto da un processo che prevede l’idrogeno come fonte di energia. Nelle diverse aziende del gruppo italiano lavorano circa 10mila persone.
Lo scorso anno Metinvest e Danieli presentarono insieme un progetto per costruire un nuovo polo siderurgico a San Giorgio di Nogaro, in provincia di Udine, un comune che ha accesso al mare Adriatico grazie a un canale che sfocia nella laguna di Marano, tra Lignano e Grado. L’investimento complessivo era di oltre 2 miliardi di euro. Secondo le previsioni, la nuova acciaieria sarebbe stata costruita su una superficie di quasi un chilometro quadrato e avrebbe prodotto ogni anno 2,4 milioni di tonnellate di coils, cioè bobine di acciaio, con la possibilità di aumentare la produzione fino a 4 milioni di coils all’anno, la stessa quantità prodotta dall’ex ILVA di Taranto.
Nel giugno del 2022 la Regione Friuli Venezia Giulia, governata dal centrodestra, finanziò uno studio delle università di Udine e Trieste sulla compatibilità ambientale della nuova acciaieria. Metinvest e Danieli, infatti, spiegarono che l’unico modo per rendere sostenibile il progetto era collegare l’impianto direttamente a una banchina attrezzata per far arrivare navi merci con una portata di almeno 20mila tonnellate. Fu proposto di dragare un canale di accesso al porto, chiamato Aussa-Corno, scavando il fondale per raggiungere una profondità di 12 metri contro gli attuali 7,5. La Regione promise 10 milioni di euro per la bonifica di un sito industriale dismesso e altri 80 milioni per i lavori al porto.
Negli ultimi mesi diverse associazioni ambientaliste e comitati locali si sono opposti al progetto per via delle conseguenze ambientali sulla laguna di Marano, molto simile per conformazione a quella di Venezia e per questo inserita nella rete di salvaguardia ambientale chiamata Natura 2000.
Da anni le associazioni sollecitano interventi per la tutela degli animali che abitano nella laguna e nelle zone umide. Secondo le associazioni, il dragaggio del canale e il passaggio di grandi navi avrebbero compromesso la biodiversità, mentre la costruzione dello stabilimento avrebbe danneggiato l’ambiente e il paesaggio. Contro l’acciaieria si è esposta anche Assomarinas, l’associazione italiana dei porti turistici, preoccupata delle possibili conseguenze negative per il turismo della laguna e della costa adriatica.
Nel marzo del 2023 il gruppo Danieli ha comprato una pagina pubblicitaria su tutti i giornali per convincere gli abitanti del Friuli Venezia Giulia della bontà del progetto. Danieli ha assicurato che l’impianto avrebbe fatto aumentare il PIL del Friuli Venezia Giulia dell’8%, con un impatto ambientale «leggerissimo» grazie all’utilizzo di una tecnologia molto avanzata.
In quell’occasione è intervenuto il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, dicendo che la proposta era ferma a uno «stato embrionale», uno dei primi segnali di incertezza della Regione. Poi sono arrivate le opposizioni dei comuni: Marano Lagunare, il primo a prendere posizione contro l’acciaieria, San Giorgio di Nogaro e infine Grado, con mozioni approvate all’unanimità. Lo scorso giugno circa 400 persone hanno partecipato a una manifestazione organizzata dai comitati contrari al polo siderurgico, che hanno avviato una raccolta firme a cui hanno aderito circa 25mila persone.
A Ferragosto il governo ha tentato di rendere la procedura più veloce e tutelarla dall’opposizione degli enti locali. Nel decreto-legge 104 del 2023 è stato inserito un articolo, il 13, per consentire la nomina di un commissario per i progetti industriali dal valore superiore al miliardo di euro, un provvedimento fatto su misura per costruire questa acciaieria. L’emendamento è stato proposto da Luca Ciriani, ministro per i rapporti con il Parlamento, di Fratelli d’Italia, ma nei giorni successivi è stato assai criticato dalla Lega del Friuli Venezia Giulia.
Sono bastate due settimane per bloccare definitivamente il progetto. Il primo settembre l’assessore regionale alle Attività produttive e Turismo, Sergio Emidio Bini, ha detto che in seguito ad approfondimenti e vista la complessità della proposta «è emerso come sia opportuno prediligere altre tipologie di investimento, in un’ottica di maggiore compatibilità con il territorio interessato, anche tenuto conto delle osservazioni e valutazioni manifestate dai Comuni dell’area».
Metinvest e Danieli quindi hanno rivolto la proposta a Piombino, in provincia di Livorno. La città toscana si è sviluppata intorno a un enorme polo siderurgico di quasi 12 chilometri quadrati, oggi in parte dismesso. Negli anni Ottanta, il periodo di massima espansione economica, quasi 10mila persone lavoravano nell’altoforno per la produzione di tondini di acciaio per il cemento armato e binari per le ferrovie.
Dopo la privatizzazione della siderurgia italiana, voluta dal governo nel 1993, seguirono anni di lotte sindacali e una grave crisi industriale con licenziamenti e lunghi periodi di cassa integrazione. Nei cinque anni tra il 2005 e il 2010 una quota dell’acciaieria di Piombino passò dal gruppo Lucchini ai russi di Severstal, ma la situazione non migliorò, anzi, le acciaierie vennero commissariate: nel 2014 l’altoforno fu spento e da allora non è mai più stato acceso.
Negli anni successivi l’impianto passò prima al gruppo algerino Cevital e in seguito a quello indiano Jindal, l’attuale proprietario. Tutti questi passaggi furono accompagnati da tentativi di riqualificazione e rilancio, mai finanziati. Oggi i dipendenti delle acciaierie di Piombino sono poco meno di 1.500. La cassa integrazione va avanti da quasi 10 anni: è stata rinnovata a settembre, pagata dalla Regione Toscana, e scade il prossimo 7 gennaio.
La scorsa settimana il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha incontrato il sindaco di Piombino Francesco Ferrari per annunciare la proposta di Metinvest e Danieli. L’idea è di costruire la stessa acciaieria prevista in origine a San Giorgio di Nogaro in un’area di un chilometro quadrato dell’attuale polo industriale. Si stima che l’impianto darà lavoro a circa 700 persone.
Piombino si è mostrata più incline rispetto a Udine, almeno per ora, perché la produzione dell’acciaio è parte della storia della città: le acciaierie hanno dato lavoro a decine di migliaia di persone e assicurato un certo benessere alla maggior parte delle famiglie di Piombino. “Fumo=pane” è una delle frasi che in passato ricorrevano per giustificare il profondo impatto ambientale della fabbrica. Anche se negli ultimi anni la sensibilità in città è cambiata, come dimostra anche l’estesa mobilitazione contro l’installazione in porto di un rigassificatore, la proposta di Metinvest e Danieli è considerata un’opportunità.
– Leggi anche: Piombino non è una città come le altre per costruire un rigassificatore
Tra le altre cose l’investimento ucraino è stato annunciato negli stessi giorni in cui l’attuale proprietà dell’acciaieria, Jindal, ha comunicato di voler riprendere gli investimenti promessi nel piano industriale del 2018 e mai portati avanti, come la costruzione di un nuovo forno elettrico. I sindacati lo ritengono comunque uno sviluppo poco probabile.
Non ci sono ancora stati incontri con i sindacati FIOM, FIM e UILM, che ufficialmente non conoscono la proposta di Metinvest e Danieli, anche se nei giorni scorsi hanno diffuso una nota da cui emerge un orientamento favorevole al progetto. «È il momento delle scelte coraggiose, è il momento di riportare il lavoro a Piombino», hanno scritto. «Deve essere altrettanto chiaro che questo territorio non può perdere ulteriori opportunità: pensiamo non sia giusto sopravvivere con il sussidio della cassa integrazione dei 1500 operai dello stabilimento».
La presenza di Jindal è però una complicazione. Gestisce in concessione il polo siderurgico di Piombino, quindi significa che è proprietaria degli impianti, mentre la maggior parte dei terreni è di proprietà dello Stato. La costruzione di una nuova acciaieria dovrebbe essere autorizzata dal governo con una revisione della concessione attuale, che metterà a disposizione una parte dell’area industriale. «Bisogna che il rilascio o i rinnovi delle concessioni siano subordinati ad investimenti certi, ecocompatibili e alle garanzie occupazionali», ha detto il segretario generale della FIOM Toscana, Massimo Braccini. Il timore dei sindacati è che si ripeta quanto avvenuto un anno fa, quando un’altra grande azienda siderurgica, Arvedi, si interessò all’acquisto dell’acciaieria di Piombino salvo poi tirarsi indietro.