Il voto negli Stati Uniti per il nuovo speaker della Camera
Il candidato è Jim Jordan, che fa parte della minoranza estremista dei Repubblicani: non è stato eletto al primo giro, però
Due settimane dopo il voto di sfiducia che ha rimosso Kevin McCarthy dal ruolo di speaker della Camera degli Stati Uniti, martedì sera il Partito Repubblicano ha cominciato le votazioni per eleggere il suo successore. Il principale candidato è Jim Jordan, 59 anni, deputato dell’Ohio, espressione della componente più estrema del partito, nonché uno fra i più fedeli collaboratori di Donald Trump.
Jordan per essere eletto avrà bisogno di 217 voti, da trovare tutti all’interno del suo partito: i voti contrari dei Democratici sono scontati e sicuri. Alla prima votazione, Jordan non ha ottenuto una maggioranza perché 20 Repubblicani non l’hanno votato. Tra loro ci sono soprattutto i cosiddetti “Biden-district Republicans”, ovvero quei parlamentari Repubblicani che alle elezioni di metà mandato nel 2022 sono stati eletti in distretti che nel 2020 avevano votato per il Democratico Joe Biden alla presidenza del paese, e che quindi sono particolarmente interessati a mostrarsi come moderati o centristi per essere rieletti alla prossima tornata elettorale.
Il processo di voto per lo speaker – di fatto un presidente della Camera, ma con un ruolo molto operativo – potrebbe andare per le lunghe: a gennaio c’erano voluti 15 turni prima che McCarthy fosse eletto. La seconda votazione è stata posticipata alle 11 del mattino di mercoledì (le 17 italiane) per permettere ai suoi sostenitori di cercare di convincere un maggior numero di parlamentari.
La rimozione di McCarthy dal ruolo di speaker ha reso ancora più evidente la profonda crisi di identità dei Repubblicani, che negli anni si sono spostati su posizioni sempre più estreme e la cui linea politica viene spesso decisa da una minoranza ancora più radicale e agguerrita. Per la sfiducia a McCarthy sono bastati i voti di otto deputati (a cui si sono aggiunti quelli dei Democratici). L’elezione di Jordan sarebbe un’altra vittoria per la componente estremista del partito.
– Leggi anche: La crisi d’identità dei Repubblicani americani
Jim Jordan è deputato dal 2006 per il 4° distretto dell’Ohio, collegio in cui vincono i Repubblicani ininterrottamente dal 1939. Nel 2015 fondò l’House Freedom Caucus, gruppo che raccoglie alcuni degli esponenti Repubblicani più conservatori. L’ex speaker della Camera e collega di partito John Boehner lo definì un «terrorista legislativo», per sottolinearne le posizioni particolarmente radicali. Dal 2016 diventò uno dei più fedeli alleati di Donald Trump, fece parte del suo collegio difensivo durante il primo impeachment e successivamente ebbe un ruolo non marginale nel tentativo di mettere in discussione l’esito del voto delle presidenziali del 2020.
Si è rifiutato di collaborare con la Commissione d’inchiesta sull’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021, rispondendo solo dopo un’ingiunzione ufficiale. Da gennaio è presidente della Commissione giustizia della Camera, posizione che gli ha permesso di avviare alcune indagini nei confronti del presidente Joe Biden.
Le sue posizioni politiche sono fortemente reazionarie su praticamente qualsiasi tema, dall’aborto ai diritti delle persone LGBTQ+, dal diritto di portare armi agli effetti del cambiamento climatico. In politica estera la componente del partito che come Jordan fa riferimento al motto «America First» si è mostrata più volte poco convinta della necessità di continuare a sostenere militarmente ed economicamente l’Ucraina.
Queste e altre posizioni lo rendono espressione di una minoranza persino fra i Repubblicani, partito in generale sempre meno moderato. È stato fra i promotori della rimozione di McCarthy (presentata dal deputato Matt Gaetz) e poi fra gli oppositori di una sua sostituzione con Steve Scalise, il primo candidato al ruolo di speaker che aveva rinunciato venerdì di fronte all’impossibilità di mettere d’accordo il partito.
Per questo una parte consistente dei Repubblicani era inizialmente intenzionata a non appoggiare la sua candidatura, anche per non premiare le manovre della minoranza della destra più estrema. Lo staff di Jordan e i suoi sostenitori all’interno del partito hanno però svolto negli ultimi giorni una campagna di pressione molto risoluta e a quanto pare efficace. Contando sul fatto che la votazione alla Camera avverrà in modo palese e non con scrutinio segreto, hanno individuato i deputati contrari alla sua candidatura e hanno mobilitato la base del partito contro di loro.
Amy Kremer, un’attivista politica a capo del gruppo Women for America First e organizzatrice di alcune delle manifestazioni che hanno preceduto l’assalto al Congresso del 6 gennaio, ha pubblicato online una lista di dodici deputati contrari all’elezione di Jordan, indicando il numero di telefono dei loro uffici e invitando i propri follower a chiamarli per chiedere conto della decisione. Altre pressioni, secondo fonti citate dal Washington Post, sarebbero arrivate ad alcuni deputati da Sean Hannity, amico di Jordan e conduttore fra i più popolari e discussi della tv di destra Fox News. Nei quattro giorni passati fra l’annuncio della candidatura di Jordan e il voto molti deputati contrari o incerti sarebbero stati convinti anche dal timore di ritrovarsi contro le televisioni e l’agguerrita base della destra estrema del partito.
Alcuni influenti deputati, come Mike D. Rogers dell’Alabama, hanno cambiato idea su Jordan dopo essersi espressi in modo netto contro una sua elezione, giustificando la scelta con colloqui privati in cui avrebbero ricevuto rassicurazioni. Altri hanno detto di essere orientati a eleggerlo unicamente per permettere al Congresso di funzionare e legiferare (finché lo speaker è vacante, l’attività è di fatto sospesa). Solo una decina di deputati continua a dire di essere contraria alla sua elezione, un numero che in teoria potrebbe essere sufficiente per impedire l’elezione di Jordan: per essere eletto avrà bisogno di 217 voti, i Repubblicani hanno 222 deputati.