A Gaza le persone stanno bevendo acqua salata
Nonostante gli annunci di Israele l'acqua potabile continua a mancare, in un posto dove già di solito è molto scarsa
Nella Striscia di Gaza l’accesso all’acqua potabile è estremamente limitato da circa dieci giorni, cioè da quando Israele ha interrotto la fornitura di acqua come parte della ritorsione per gli attacchi di Hamas del 7 ottobre. In tempi di pace circa un terzo dell’acqua consumata nella Striscia arriva da condutture che partono da Israele. Domenica Israele aveva annunciato di avere riattivato le forniture d’acqua, ma lunedì un portavoce del ministero dell’Interno della Striscia, espresso da Hamas, ha detto che l’acqua non era davvero tornata a scorrere.
Anche una riapertura limitata dell’acquedotto non risolverebbe il problema dell’approvvigionamento dell’acqua nella Striscia, già estremamente problematico anche prima dei pesanti bombardamenti avviati sabato scorso da Israele, che finora hanno causato almeno 2.800 morti e decine di migliaia di profughi e sfollati.
Lunedì sera Reuters ha scritto che diversi abitanti della Striscia in cerca di acqua hanno scavato dei pozzi vicino alle spiagge per cercare di raggiungere l’unica falda acquifera della zona. Altri si riforniscono dai pozzi già esistenti che attingono alla stessa falda, che però è pesantemente contaminata dall’acqua di mare e dagli scarichi delle fognature. Di fatto le persone si sono ridotte a bere acqua salata. Sempre lunedì sera la giornalista Bel Trew del quotidiano britannico Independent ha scritto che secondo un funzionario dell’ONU diversi abitanti della Striscia stanno bevendo direttamente l’acqua di mare.
Il Times of Israel spiega che in tempi di pace circa un terzo dell’acqua consumata nella Striscia arriva da condutture che partono dal territorio israeliano. Il resto dell’acqua necessaria in teoria dovrebbe essere ricavata dagli impianti di desalinizzazione che trattano l’acqua da una falda acquifera sotterranea che si estende dal nord dell’Egitto fino alle coste israeliane.
Già di norma però l’acqua della falda all’altezza di Gaza è pesantemente inquinata. A causa della scarsa manutenzione – in parte causata dall’embargo di Israele sulla Striscia – l’acqua della falda però è stata quasi del tutto contaminata dalle sostanze penetrate dalle fognature. Secondo una stima del 2020 della ong israeliana B’Tselem, il 96,2 per cento dell’acqua proveniente dalla falda acquifera di Gaza non è potabile, nonostante passi dagli impianti di desalinizzazione.
I tre principali impianti di desalinizzazione, poi, hanno smesso di funzionare quando Israele ha tagliato la fornitura di energia elettrica alla Striscia, ormai una settimana fa. Oggi quindi i residenti di Gaza hanno a disposizione quasi soltanto acqua salata e inquinata. Molti nelle ore successive agli attacchi di Hamas avevano fatto scorte di acqua e cibo, prevedendo giorni di ingenti bombardamenti di Israele: ma a distanza di dieci giorni quelle scorte stanno finendo.
Reuters scrive che da anni, per supplire alla cronica assenza di acqua, nella Striscia di Gaza sono stati usati vari metodi: sono state aperte centrali illegali di desalinizzazione, spesso alimentate a energia solare, e sono spuntati distributori privati di acqua potabile, reperita con mezzi illegali. Secondo uno studio del 2021 pubblicato dalla rivista Future Cities and Environment, il 79 per cento delle centrali di desalinizzazione nella Striscia di Gaza non ha una licenza regolare.
Nei giorni scorsi il governo degli Stati Uniti aveva fatto pressione perché Israele tornasse a fornire acqua nelle condutture che partono dal territorio israeliano e arrivano nella Striscia. Diversi esperti considerano l’interruzione della fornitura di acqua decisa da Israele una forma di punizione collettiva per gli attacchi compiuti da Hamas.
Domenica mattina gli Stati Uniti avevano annunciato che Israele sarebbe tornata a rifornire acqua, ma soltanto nel sud della Striscia: un modo, probabilmente, per spingere le persone che ancora si trovano a nord, cioè nell’area della città di Gaza, a spostarsi verso sud come chiesto venerdì dall’esercito israeliano. L’acqua però pare non sia tornata, nonostante un funzionario del governo israeliano abbia detto a Reuters che Israele aveva riattivato le forniture e che l’acqua stava arrivando attraverso un acquedotto a Khan Yunis (la città dove negli ultimi due giorni sono arrivate decine di migliaia di profughi dal nord).
Nel frattempo lunedì l’agenzia ONU per i profughi palestinesi, l’UNRWA, ha detto che nelle sue scuole – diventate dei rifugi per decine di migliaia di profughi – non ha più a disposizione acqua potabile.