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  • Martedì 17 ottobre 2023

La grande contraddizione del gioco d’azzardo in Italia

Un milione e mezzo di persone ne è dipendente e lo stato lo considera un problema, ma ha anche tutto l'interesse a incentivarlo

(Jan Woitas/dpa-Zentralbild/dpa)
(Jan Woitas/dpa-Zentralbild/dpa)

Nei giorni scorsi è diventato di dominio pubblico il caso di alcuni calciatori italiani – tra cui due della Nazionale, Sandro Tonali e Nicolò Zaniolo – sospettati di aver scommesso sulle partite di calcio nonostante gli sia vietato per regolamento. Il calciatore da cui è partito il caso, Nicolò Fagioli, di 22 anni, ha confessato di aver effettivamente fatto scommesse sportive su piattaforme online illegali e nel raccontare la vicenda alcuni giornali hanno collegato il suo presunto reato a un possibile problema di dipendenza dal gioco d’azzardo o, come si diceva una volta, ludopatia.

Quando si parla di gioco d’azzardo ci si riferisce a tipi di giochi diversi tra loro ma accomunati dal fatto di prevedere una puntata in denaro e di dipendere interamente o in una certa misura dal caso: si va dalle slot machine alle scommesse sportive, dal SuperEnalotto al Bingo. Per molti versi quella causata dal gioco d’azzardo è una dipendenza paragonabile a quella dalle droghe o dall’alcol, anche se se ne parla molto meno. In Italia ne soffre, secondo i dati del 2018 dell’Istituto Superiore di Sanità, un milione e mezzo di persone, cioè più di due persone ogni cento. La stragrande maggioranza di queste non è in carico ad alcun tipo di servizio e costituiscono un problema di salute pubblica non indifferente per lo stato, che però ha tutto l’interesse a non limitare il gioco d’azzardo visto che ne detiene il monopolio e tassandolo guadagna diversi miliardi ogni anno. Anche per questo, anzi, in Italia il gioco d’azzardo è facilmente accessibile e molto pubblicizzato, e nel 2022 ha raggiunto cifre enormi.

“Ludopatia” è considerato da chi se ne occupa un termine superato per descrivere quella che viene più propriamente definita dipendenza, o disturbo, da gioco d’azzardo. Si ritiene infatti che sia un termine «che implica che il problema sia il gioco [dal latino ludus, gioco, ndr] quando in realtà è il disturbo, visto che si può benissimo giocare d’azzardo senza avere problemi», spiega Claudia Mortali, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità che si occupa di questo tipo di dipendenza.

«Spesso quando c’è un caso mediatico come quello di questi giorni, oltre alla parola ludopatia, ricorre un’altra parola, “vizio”, che invece non è solo impropria ma è inaccettabile. Anche se non possiamo sapere quale sia la diagnosi dei calciatori coinvolti nel caso di questi giorni, è importante tenere a mente che la dipendenza non ha nulla a che fare col vizio: è una condizione patologica che va curata» dice Mortali.

In Italia nel 2018 il 36,4 per cento della popolazione maggiorenne, poco più di 20 milioni di persone, aveva dichiarato di aver giocato d’azzardo almeno una volta nei 12 mesi precedenti. Sono un milione e mezzo quelli considerati dalle statistiche “giocatori problematici”. Di questi solo poche migliaia sono in carico ai Serd (i Servizi per le dipendenze): l’Istituto Superiore di Sanità dice che tra il gennaio 2014 e l’agosto 2015 erano circa 17mila (non ci sono dati più aggiornati, ma non ci sono motivi per pensare siano aumentati considerevolmente). Il numero verde istituito nel 2017 per questo tipo di disturbo ha ricevuto negli ultimi anni tra le 2mila e le 3mila chiamate all’anno.

Secondo Mortali questo scarso accesso ai servizi di assistenza si spiega in diversi modi: uno è che la dipendenza da gioco d’azzardo è stata inserita nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) solo dal 2017 e molte persone non sanno che possono essere curate gratuitamente. C’è poi la questione dello stigma: storicamente i Serd erano strutture pensate per la tossicodipendenza (e infatti si chiamavano Sert con la “t”) e molti non vogliono essere associati a questa condizione. Un altro problema è che spesso sono i familiari a chiedere aiuto prima ancora dei giocatori, la cui consapevolezza però è fondamentale per avviare una presa in carico.

«Al numero verde chiamano tante persone che non sanno come fare con i propri cari rimasti senza soldi, che li vanno a chiedere in prestito a loro dicendo che devono pagare le bollette ma poi con quei soldi tornano a giocare», spiega Mortali. «Una delle principali distorsioni cognitive dei dipendenti da gioco d’azzardo è che sono convinti che prima o poi vinceranno, perciò anche quando perdono ritornano a giocare convinti di recuperare il denaro perso, cosa che però non succede praticamente mai».

Del caso uscito in questi giorni ha colpito tra le altre cose la giovane età dei calciatori coinvolti, tutti poco più che ventenni. In Italia per i minori il gioco d’azzardo è sempre vietato ma non è raro che riescano a praticarlo online sulle piattaforme illegali o anche nei punti fisici autorizzati, dove spesso c’è poco controllo. «Tra i giovani il livello di problematicità è significativo», spiega Mortali, «le persone fino ai 24 o 25 anni non hanno completamente sviluppate le aree del cervello che controllano gli impulsi e questo aggrava il rischio. Inoltre nei minori, o nel caso di giovani sportivi come i calciatori che già hanno una predisposizione alla competitività, la disponibilità economica di cui possono non dare conto è un fattore associato al rischio». 

Secondo i dati più recenti il gioco d’azzardo più diffuso in Italia è il “gratta e vinci”, cui seguono il Lotto e il SuperEnalotto, e al terzo posto le scommesse sportive. I luoghi dove si gioca di più sono le tabaccherie e i bar, a cui seguono le ricevitorie, le sale scommesse, le sale Bingo, le sale di videolottery. Con la pandemia poi molti giocatori si sono spostati sulle piattaforme online, prima meno frequentate.

Nel 2022 la somma di denaro puntata complessivamente dalla popolazione italiana nel gioco d’azzardo – la cosiddetta raccolta – è stata senza precedenti e con una differenza molto grossa rispetto agli anni prima. L’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli (ADM) stima sia stata di 136 miliardi, più della spesa sanitaria pubblica dell’intero paese. Per avere un’idea, nel 2019 e nel 2021 (l’anno prima e l’anno dopo il 2020, quando per via della pandemia i luoghi destinati al gioco d’azzardo erano rimasti chiusi per almeno 5 mesi) era stata rispettivamente di 110 e 111 miliardi di euro. Nel 2022 l’incremento rispetto all’anno precedente è stato del 22 per cento.

Naturalmente non tutti quei 136 miliardi vanno allo stato, visto che molti tornano ai giocatori sotto forma di vincite, e che parte è trattenuta dalle società che gestiscono i giochi. In quell’anno le vincite sono state 116 miliardi di euro circa: la differenza, 20 miliardi, è quindi la cifra che i giocatori italiani hanno perso nel 2022. Il gioco d’azzardo d’altronde si basa sul presupposto che i soldi vinti dalle persone siano sempre complessivamente meno di quelli puntati e che, come si dice, il banco vinca sempre.

Mortali spiega che la dipendenza da gioco d’azzardo colpisce indistintamente persone con disponibilità economiche grandi e piccole, motivo per cui quantificare le perdite del singolo ha poco senso se si parla di salute pubblica: «un pensionato che prende 500 euro al mese e li perde tutti giocando è un problema tanto quanto una persona più ricca che perde ogni mese migliaia di euro».

Tolti i soldi destinati alle vincite, una parte dei soldi della raccolta va alla filiera che gestisce il gioco d’azzardo su concessione statale. Quello che avanza sono le tasse trattenute dallo stato: nel 2022 hanno raggiunto 11,2 miliardi, poco più di quelli del 2019.

L’ADM interpreta l’aumento della raccolta del 2022 come un dato positivo, segno del fatto che le azioni di contrasto al gioco d’azzardo illegale funzionano e che i soldi si spostano da lì alla filiera del gioco d’azzardo legale. Il contrasto alla criminalità organizzata che si arricchisce col gioco d’azzardo è da sempre uno dei motivi – oltre naturalmente al guadagno per lo stato – per cui attorno alla metà degli anni Novanta in Italia si è cominciato a concedere sempre più autorizzazioni a sempre più esercizi.

«Anziché ridimensionare l’accesso al gioco d’azzardo sono state fatte politiche per incentivarlo pensando che sarebbe servito a limitare l’azzardo illegale, ma questo non è mai stato dimostrato da nessuno», sostengono Claudio Forleo e Giulia Migneco, dell’associazione Avviso Pubblico che si occupa di prevenzione e contrasto a mafie e corruzione, e che nel 2023 hanno pubblicato un libro dedicato al tema: La pandemia da azzardo. Nel 2021 le stime della Direzione nazionale antimafia dicevano che il valore del gioco d’azzardo illegale era pari a un quinto di quello legale, cioè comunque superiore ai 20 miliardi di euro all’anno.

Negli ultimi trent’anni l’accesso al gioco d’azzardo in Italia è aumentato moltissimo. Fino ai primi anni Novanta chi voleva giocare d’azzardo aveva poche possibilità di farlo: era costretto «a compiere lunghi tragitti per recarsi in uno dei quattro casinò presenti sul territorio italiano – Sanremo, Venezia, Saint-Vincent e Campione d’Italia, exclave italiana in territorio svizzero –, oppure attendere l’unica estrazione settimanale del Lotto, giocare la schedina domenicale per centrare il 13 al Totocalcio, cimentarsi con le corse dei cavalli attraverso il Totip», scrivono Forleo e Migneco nel loro libro. Nel 2015 le slot machine in Italia erano invece 420mila, una ogni 142 abitanti e le estrazioni del Lotto erano passate da una a settimana a una ogni 10 minuti. Nel 2018 la legge di stabilità ha ridotto il numero delle slot machine di un terzo, ma rimangono comunque molte rispetto alla media degli altri paesi europei.

– Leggi anche: La fabbrica dei soldi, il podcast del Post sull’assurda storia del fallimento del casinò di Campione

Nel 2018 inoltre è stata introdotta una legge che vieta la pubblicità agli esercenti del gioco d’azzardo (così come avviene per le sigarette) ma che nel caso delle scommesse sportive viene sistematicamente aggirata da giornali, siti, influencer e programmi televisivi. Formalmente infatti non fanno pubblicità diretta: danno notizie e aggiornano sui risultati sportivi, ma contengono nel nome un riferimento nemmeno troppo implicito ad altri siti di scommesse online.

DAZN, il network che trasmette le partite di calcio della Serie A, ha una sua piattaforma di scommesse e lo stesso vale per la Gazzetta dello Sport. Sia prima dell’inizio delle partite che nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo, poi, vengono mandati in onda contenuti in cui si confrontano le quote dei risultati tra i vari siti di scommesse. Questi contenuti sono ammissibili perché secondo le linee guida dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) non sono considerate pubblicità, bensì segmenti in cui vengono date semplici informazioni.

Secondo Forleo e Migneco «lo Stato si è posto come obiettivo quello di vedere aumentare il gettito da azzardo mettendo in secondo piano ogni possibile ricaduta sociale causata dall’eccessivo consumo». Nel loro libro citano le entrate del gioco d’azzardo del 2018, pari allo 0,6 per cento del PIL, «una cifra almeno tre volte superiore a ogni altro paese europeo preso in considerazione» e cioè Francia, Germania, Spagna e Regno Unito.

Negli ultimi anni in Italia si è tentato in vari modi di fare leggi per regolamentare ulteriormente il settore del gioco d’azzardo, principalmente riducendone e limitandone l’accesso: l’ultimo tentativo risale all’inizio del 2022, ma col cambio della maggioranza di governo a settembre i lavori in questo senso sono stati interrotti.

«Un aspetto molto preoccupante di quella proposta di legge era la compartecipazione degli enti locali alle entrate del gioco d’azzardo: questo incentiverebbe i comuni a far giocare i cittadini anziché prevenire la dipendenza», spiega Migneco. «Per i comuni incentivare il gioco d’azzardo diventerebbe un modo per avere un’entrata in più, che alle amministrazioni locali fa sempre comodo, ma non solo: sarebbe anche un modo per i politici locali di guadagnare voti dal mondo imprenditoriale dei tabaccai e dai gestori di sale giochi».

Secondo Migneco una cosa che andrebbe fatta per prevenire la dipendenza da gioco d’azzardo non è tornare al proibizionismo totale, ma ridimensionare il settore anziché moltiplicarlo. Un modo per farlo è per esempio quello di limitare gli orari di apertura dei posti che lo offrono, cosa che peraltro hanno fatto con successo molti comuni negli ultimi anni, «e garantire una maggiore trasparenza sui dati che riguardano il settore», aggiunge: «visto che da due anni a questa parte l’ADM ha reso più difficile la consultazione e invece è esattamente quello che serve per capire come intervenire».

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Dove chiedere aiuto
Se tu o qualcuno che conosci ha bisogno di aiuto per problemi legati al gioco d’azzardo, puoi chiamare il Telefono Verde dedicato 800 558822, attivo dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 16.