Circolano molte notizie false sugli attacchi di Hamas e Israele
E le piattaforme social faticano a rimuoverle tutte o a dare il giusto contesto per capire cosa è reale
Dal giorno degli attacchi di Hamas contro Israele e della risposta dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza una grande quantità di notizie false, con fotografie e video spacciati per veri, è circolata su alcuni dei social network più grandi e utilizzati come Facebook, Instagram, TikTok e Twitter. Le società che li gestiscono hanno detto di essersi impegnate da subito per intensificare le attività di controllo, ma a distanza di una decina di giorni continuano a esserci molti contenuti fasulli, che in alcuni casi ricevono grandi attenzioni e vengono dati per veri.
Soprattutto su Twitter e TikTok sono stati diffusi video che descrivevano attacchi da parte di Hamas o Israele, ma che in realtà mostravano immagini di vecchi scontri e non sempre legati a Israele e ai territori palestinesi. Un video molto condiviso mostrava per esempio un attacco condotto da alcuni miliziani in Siria nel 2020 e non uno degli assalti da parte di Hamas di sabato 7 ottobre.
Un altro video visto nel complesso da almeno due milioni di persone su X (Twitter) era descritto come una messa in scena da parte di Israele per mostrare la morte di un ragazzino, mentre era in realtà lo spezzone del corto cinematografico Empty Place sulla situazione palestinese. Il video era stato pubblicato su TikTok, dove era stato rimosso con relativa rapidità, ma aveva continuato a circolare a lungo su X.
Ed è stato proprio su X che si è concentrata la maggiore quantità di notizie e contenuti fasulli nelle prime ore dopo gli attacchi da parte di Hamas. Un post con centinaia di migliaia di condivisioni sosteneva di mostrare un video della cattura di un alto ufficiale dell’esercito israeliano da parte dei miliziani di Hamas. In realtà il video era stato pubblicato qualche giorno prima dalle forze di sicurezza dell’Azerbaigian per mostrare l’arresto di uno dei leader del Nagorno-Karabakh.
Il 9 ottobre era stato molto ripreso un video su X che secondo la sua descrizione mostrava il bombardamento da parte di Israele della chiesa ortodossa cristiana di San Porfirio a Gaza, con la sua conseguente distruzione. Poche ore dopo le autorità della stessa chiesa avevano pubblicato un messaggio su Facebook per smentire la notizia e confermare che la chiesa non era stata colpita da alcun bombardamento. Successive indagini svolte dal sito Bellingcat avevano permesso di identificare il punto corretto del bombardamento a più di quattro chilometri di distanza dalla chiesa.
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Notizie false di questo tipo vengono diffuse soprattutto per fomentare una parte, specialmente in contesti molto polarizzanti come la questione israelo-palestinese, confidando nelle attività sui social network delle persone che poi riprendono quelle notizie, quasi sempre in buona fede e che contribuiscono alla loro diffusione. In alcuni casi possono essere facilmente smentite, ma non sempre la smentita riceve la stessa attenzione e se non intervengono le piattaforme una certa notizia falsa continua a essere ripresa e vista da milioni di persone.
Non è un fenomeno nuovo specialmente nei contesti di guerra, come era già diventato evidente nell’ultimo anno e mezzo dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ma secondo alcuni osservatori nei giorni degli attacchi tra Hamas e Israele ha raggiunto nuove dimensioni.
Sabato 7 ottobre in poche ore sono state pubblicate centinaia di video diversi provenienti soprattutto dai kibbutz assaltati dai miliziani di Hamas, rendendo difficile il controllo sulla loro autenticità da parte delle piattaforme. Alcuni di quei video sono stati rimossi molto velocemente perché troppo crudi ed espliciti, mentre altri sono rimasti online nonostante mostrassero scene altrettanto violente. Tra video bloccati e rimossi si è creata una grande confusione che si è riflessa sugli utenti dei social network e sulla possibilità di distinguere i contenuti autentici da quelli fasulli.
Vari osservatori hanno segnalato che le piattaforme hanno fallito nel mettere ordine soprattutto a causa della forte riduzione del loro personale, attuata nell’ultimo anno per ridurre i costi e che ha interessato soprattutto le loro divisioni incaricate di fare moderazione dei contenuti. Meta, la società che controlla Facebook e Instagram, ha licenziato in pochi mesi migliaia di persone, confidando di poter compensare con sistemi automatizzati per moderare i contenuti. X ha fatto altrettanto, soprattutto dopo l’acquisizione da parte di Elon Musk nell’autunno del 2022, riducendo al minimo la quantità di persone incaricate di fare moderazione. Gli effetti della minore moderazione si erano già visti nei mesi scorsi, ma sono diventati ancora più evidenti dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas.
Preoccupata dalla quantità di notizie false diffuse online, mercoledì 11 ottobre la Commissione europea ha annunciato di avere avviato accertamenti nei confronti di X, accusata di non fare abbastanza nella moderazione dei contenuti, al punto da violare potenzialmente i nuovi regolamenti europei per il contrasto alla diffusione di notizie false. Linda Yaccarino, la CEO di X, ha risposto sostenendo che in questi giorni X ha rimosso «decine di migliaia» di post.
Oltre ai social network le notizie false sono diffuse anche sulle principali applicazioni per scambiarsi messaggi come WhatsApp e Telegram, dove le comunicazioni sono riservate (e spesso criptate) ed è quindi molto difficile farsi un’idea della dimensione del problema. Queste app permettono di creare canali con centinaia o migliaia di iscritti, che ricevono e possono scambiarsi contenuti non verificati.
La scorsa settimana un messaggio vocale su WhatsApp era stato diffuso su centinaia di chat di gruppo tra utenti israeliani e segnalava l’avvio di una «battaglia come non ne abbiamo mai vissute prima». Il messaggio proseguiva avvisando sul rischio di rimanere senza cibo e acqua o connessione a internet per una settimana. Molti dopo avere sentito il messaggio erano andati a fare provviste al supermercato, al punto da spingere l’esercito a chiarire che quel messaggio vocale era un falso.
Istituzioni e alcuni gruppi, spesso di volontari, lavorano per controllare i post che ricevono maggiori attenzioni e che potrebbero contenere notizie e immagini false. L’iniziativa israeliana FakeReporter ha circa 2.500 persone che collaborano nel fare ricerche sui contenuti online, segnalando alle piattaforme quelli che diffondono falsità. Lo facevano già prima degli attacchi in Israele e dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza, ma i loro responsabili hanno detto che solo negli ultimi giorni alcuni responsabili di Meta si sono messi in contatto con loro per valutare la situazione.
Cyabra, una società che ha sede in Israele e che si occupa di analisi sui social network, ha detto a BBC News di avere identificato almeno 40mila account fasulli su X e TikTok utilizzati per diffondere notizie false e dare loro grande visibilità, attraverso un alto numero di condivisioni.
Negli ultimi giorni c’è stata un’ulteriore evoluzione a causa dei pesanti bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, accompagnati da quello che l’esercito israeliano ha definito un «assedio totale» che ha comportato il blocco delle forniture di energia elettrica, carburante, cibo e acqua. In molte aree soprattutto di Gaza è impossibile comunicare con gli smartphone, non solo perché è difficile ricaricarli, ma anche perché sono stati danneggiati i ripetitori per la rete cellulare e perché non c’è energia elettrica per mantenerli attivi. Ottenere notizie è diventato di conseguenza ancora più difficile e c’è chi sfrutta la carenza di informazioni per diffondere notizie false su Gaza, ancora più difficili da smentire.
Come non cascarci
Una cosa che leggiamo non sempre è vera solo perché è scritta da qualche parte, né tantomeno perché l’ha condivisa qualcuno che conosciamo, per esempio su una chat di WhatsApp. Al tempo stesso diffidare non significa diventare paranoici e pensare che allora tutti mentano o vogliano ingannarci: ci sono siti, media o autori che lavorano con attenzione e che verificano le fonti, specificando quando questo lavoro non è proprio possibile.
Informarsi utilizzando siti di notizie o account sui social network che si seguono già da tempo, in modo da sapere come si comportano, può essere un buon punto di partenza. Per gli account che non si conoscono è importante verificare che cosa avevano pubblicato in passato e su quali argomenti, nonché da quanto sono online. Spesso gli account fasulli vengono creati appositamente per diffondere falsità ed esistono quindi da pochi giorni: se un account è online dal 7 ottobre, il giorno in cui ci sono stati i primi attacchi, è opportuno farsi venire qualche dubbio in più.
Quando si riceve un tweet, un messaggio o una notizia di forte impatto (magari perché contiene foto e video) al punto da spingere a mostrarlo immediatamente a qualcun altro, è importante pensare che quello potrebbe essere un primo indicatore di una notizia costruita per ottenere quell’effetto. Non è sempre così, naturalmente, ma per capirlo meglio la prima cosa da fare è fermarsi e farsi qualche domanda non solo su chi l’ha mandata, ma anche sul modo in cui sia arrivata online. Spesso è sufficiente una ricerca su Google o sullo stesso social network dove è comparso quel contenuto per trovare fonti affidabili che ne parlano e magari lo smentiscono.