L’altra volta in cui Israele fu attaccata con piccoli mezzi volanti
Nel 1987 un miliziano del Fronte di Liberazione Popolare della Palestina partì dal Libano e finì per uccidere sei soldati israeliani
Uno degli aspetti più ripresi nelle prime fasi dell’attacco di Hamas contro le comunità israeliane vicine alla Striscia di Gaza, compiuto sabato 7 ottobre, è stato l’uso da parte dei miliziani di parapendii a motore, impiegati per tentare di superare la barriera che divide Israele dalla Striscia. Non è chiaro quanti miliziani abbiano fatto ricorso ai parapendii a motore, e quindi non si sa dire con certezza quanto questa tecnica sia stata efficace. Alcuni testimoni sopravvissuti al massacro compiuto da Hamas al festival musicale vicino al kibbutz di Re’im hanno però confermato che alcuni miliziani che hanno preso parte all’attacco erano arrivati effettivamente sul posto coi parapendii.
Hamas aveva mostrato l’uso di questi parapendii in almeno un video che raccontava gli addestramenti dei propri miliziani. Sono mezzi piuttosto economici, ma che possono coprire distanze fino a 50 chilometri, restando difficili da intercettare. Ma l’impiego di velivoli simili non è una novità assoluta: nel 1987 due militanti del Fronte di Liberazione Popolare della Palestina (PFLP) partirono dal Libano su deltaplani a motore per attaccare una base militare israeliana. Uno riuscì ad atterrare, uccise sei soldati e ne ferì otto.
Il 25 novembre del 1987 due velivoli di questo tipo partirono da una località rimasta sconosciuta del sud del Libano. Uno ebbe problemi in volo, atterrò in una zona di territorio libanese che l’esercito israeliano utilizzava come “cuscinetto di sicurezza”: alcuni soldati israeliani uccisero il pilota poco dopo. L’altro deltaplano invece riuscì a coprire una distanza di circa cinque chilometri: quando superò il confine, i soldati di guardia sentirono il rumore. Volando a bassa quota non era stato segnalato dai radar; un elicottero armato fu mandato comunque a verificare la situazione, ma non lo trovò.
Il pilota atterrò in un campo di cardi a nord di Kiryat Shemona. Era armato con un fucile kalashnikov, una pistola e delle bombe a mano: dovette percorrere non più di 50 metri per arrivare alla strada che portava alla base militare. Qui incontrò un’auto con due soldati: ne uccise uno e ferì l’altra, poi proseguì verso la base, distante poco più di un centinaio di metri. Quando lo vide arrivare, il soldato di guardia all’ingresso scappò invece di provare a fermarlo: in seguito fu condannato a tre anni di prigione da una corte marziale.
Il miliziano del PFLP poté quindi entrare e cominciò a sparare e lanciare bombe a mano contro le tende in cui dormivano i soldati. Ne uccise altri cinque e ne ferì sette prima di essere ucciso a sua volta.
Fu il più grave attacco subìto da Israele in quasi 10 anni (nel 1978 11 palestinesi uccisero 37 cittadini israeliani) ed ebbe una grande rilevanza: il Fronte Popolare lo rivendicò e Yasser Arafat, allora leader dell’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina) lo lodò: «Dimostra che nessuna barriera o ostacolo può fermare un guerrigliero che ha deciso di diventare un martire».
Il superamento delle barriere con mezzi volanti è un’idea ricorrente dei vari gruppi che hanno provato nei decenni ad attaccare lo stato d’Israele. Hamas negli ultimi anni ha lanciato due differenti campagne di questo tipo. Una nel 2018 utilizzava aquiloni infuocati, che superavano il confine grazie ai venti provenienti dal mar Mediterraneo e poi provocavano incendi in territorio israeliano, soprattutto nelle zone agricole. La seconda, del 2021, sfruttava le stesse correnti e impiegava normali palloncini gonfiabili pieni di elio e annodati tra loro a gruppi e con un pezzo di stoffa impregnato di materiale infiammabile a cui veniva dato fuoco.