Cosa c’è nella Striscia di Gaza oltre a Gaza
Diverse altre città e cittadine, tutte piuttosto povere e isolate, verso le quali stanno arrivando i palestinesi in fuga dal nord
La Striscia di Gaza, il territorio palestinese che Israele sta bombardando da giorni per ritorsione contro l’enorme attacco subito sabato dal gruppo radicale Hamas, prende il nome della sua città più grande e popolata, Gaza. Ma all’interno del territorio della Striscia esistono diverse altre città, più piccole e meno urbanizzate, soprattutto nella sua zona centrale e meridionale.
È verso questi territori che da venerdì si stanno spostando decine di migliaia di palestinesi. Venerdì infatti l’esercito israeliano ha ordinato ai civili palestinesi di evacuare la città di Gaza e il nord della Striscia, dove si pensa che si trovino gran parte degli uffici e delle basi militari di Hamas. L’ordine dell’esercito israeliano lascia pensare che nei prossimi giorni Gaza sarà al centro di una grossa operazione militare dell’esercito israeliano.
Non esiste una stima precisa di quante persone abitino a Gaza: le stime più basse indicano che siano almeno 500mila. Obbligarle a trasferirsi in poco tempo verso zone che non sono attrezzate per accoglierle creerà moltissimi problemi a persone che già oggi vivono in una regione fra le più povere e isolate al mondo.
La Striscia di Gaza ha un clima semiarido e quasi desertico: confina a sudovest con la penisola del Sinai, un territorio quasi del tutto disabitato per via delle sue condizioni desertiche e inospitali. Anche nella Striscia la vita è piuttosto complicata, principalmente per via dell’embargo imposto da Israele nel 2007 per ragioni di sicurezza. C’è un problema cronico di approvvigionamento di acqua, e la rete di infrastrutture è molto fragile: le strade sono sconnesse, la rete elettrica funziona a intermittenza, il carburante scarseggia sempre.
Nella città di Gaza uno dei problemi più pressanti riguarda la densità urbana: ci abitano più di 9mila persone per chilometro quadrato (per fare un confronto a Milano e a Roma ce ne sono poco più di 2mila). Nelle altre città i problemi sono altri, soprattutto le minori possibilità economiche.
La più grande città della Striscia dopo Gaza è Khan Younis, che ha circa 400mila abitanti. È situata nel sud della Striscia, a circa 10 chilometri dal confine con l’Egitto. Nata come città a vocazione commerciale fra le città del nord e l’Egitto, ancora oggi ospita un importante mercato beduino il mercoledì e il giovedì, ma per i suoi abitanti non offre molto di più. La sua economia si basa soprattutto sull’agricoltura, che però è sempre più minacciata dai cambiamenti climatici: circa il 38 per cento del territorio cittadino è occupato da campi e serre. Non ci sono industrie o aziende di rilievo. Il suo tasso di disoccupazione è vicino al 50 per cento.
In condizioni normali viene considerata una città che l’esercito israeliano bombarda meno di frequente rispetto a Gaza: in questi giorni però è stata più volte presa di mira.
A metà strada fra Khan Younis e la città di Gaza c’è la città costiera di Deir al Balah. Un tempo era famosa per l’abbondanza delle sue piantagioni di datteri (il suo nome in arabo significa “monastero dei datteri”) e per il suo mare pescoso. Le piante da dattero esistono ancora, ma non sono coltivate intensivamente, e l’industria locale della pesca ha subìto moltissime restrizioni da parte delle autorità israeliane. Deir al Balah ha il più alto tasso di disoccupazione di tutta la Palestina, pari al 54,8 per cento.
In città sono presenti varie strutture dell’UNRWA, l’agenzia ONU che si occupa dei rifugiati palestinesi e delle loro famiglie, fra cui otto scuole. In queste ore proprio a Deir al Balah si stanno rifugiando moltissime persone che stanno scappando da Gaza: verosimilmente scelgono Deir al Balah per la sua relativa vicinanza alla capitale e per la presenza di varie strutture dell’UNRWA, che di solito vengono ritenuti luoghi piuttosto sicuri in cui rifugiarsi dai bombardamenti israeliani.
Associated Press ha scritto che negli ultimi due giorni migliaia di persone si sono rifugiate in una delle scuole dell’UNRWA a Deir al Balah, che di fatto si è trasformata in un rifugio. «Sono venuta qui con i miei figli. Dormiamo sul pavimento, non abbiamo né vestiti né un materasso. Voglio tornare a casa, anche se verrà distrutta», ha raccontato una donna di 63 anni scappata da Beit Hanoun, nella periferia nord della città di Gaza.
Sia Khan Younis sia Deir al Balah oltre ai normali quartieri ospitano enormi aree di campi profughi, dove le persone vivono in condizioni ancora più precarie. Molti sono nati in seguito alla sconfitta dei palestinesi nella guerra del 1948, e da allora si sono allargati senza mai strutturarsi. Dentro ai campi profughi si vive in casette fatiscenti, spesso senza accesso ai servizi essenziali e a cure mediche.
La quarta e ultima città della Striscia è Rafah, in cui vivono circa 150mila abitanti. Rafah in realtà è una città divisa in due, più o meno a metà: una parte si trova in territorio palestinese, l’altra in territorio egiziano. Le due metà vennero divise nel 1982 in seguito a un accordo fra Egitto e Israele (che cedette il controllo della frontiera ai palestinesi in seguito agli accordi di Oslo).
Da allora l’economia della città si basa in gran parte sulla frontiera regolare con l’Egitto, l’unica frontiera di terra della Striscia che non confina con Israele, e su quella irregolare: si stima che sotto la città esistano moltissimi tunnel sotterranei con cui Hamas controlla un discreto viavai di merci e persone.
Se fosse aperta, la frontiera di Rafah potrebbe permettere alle persone che scappano dalla città di Gaza di rifugiarsi in Egitto. Le autorità egiziane però l’hanno chiusa all’inizio della settimana, dopo l’inizio dei bombardamenti israeliani sulla Striscia, temendo che un ingente flusso di persone cercasse di entrare in territorio egiziano. Al momento l’Egitto ha fatto sapere che non intende riaprire la frontiera, almeno a breve.
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