L’Australia ha votato contro l’aumento della rappresentanza degli aborigeni
Al referendum di sabato più della metà degli aventi diritto si è opposta alla riforma costituzionale promossa dal governo Laburista
Al referendum per aumentare la rappresentanza degli aborigeni nelle istituzioni nazionali australiane hanno vinto i No. Il referendum, che si è tenuto sabato, serviva per decidere se aggiungere un capitolo alla Costituzione che prevedesse il riconoscimento formale dei popoli indigeni del paese, e che introducesse un organo consultivo con il potere di fornire pareri non vincolanti al governo e al parlamento federali sulle leggi riguardanti le comunità indigene. I voti non sono ancora stati scrutinati completamente ma secondo le proiezioni di ABC, la rete radiotelevisiva australiana, i No sono stati il 57,35 per cento a livello nazionale.
Il riconoscimento costituzionale delle popolazioni indigene era sostenuto a larga maggioranza, ma l’introduzione dell’organo consultivo, la Aboriginal and Torres Strait Islander Voice o più semplicemente Voice to Parliament, era molto più dibattuta e negli ultimi mesi ha perso consensi. Il governo laburista di Anthony Albanese, primo ministro dal 2022, considerava il successo del referendum sulla Voice centrale per il proprio programma. Dopo che il risultato del referendum è diventato chiaro, Albanese ha riconosciuto la sconfitta e ha detto che sebbene non sia ciò in cui sperava lo «rispetterà».
Gli indigeni australiani, a cui più propriamente si riferiva il quesito del referendum, sono i discendenti dei primi abitanti dell’Australia, arrivati in Oceania oltre 50mila anni fa, e appartengono a molte popolazioni diverse per lingua e cultura. Il termine “indigeni” è usato in Australia per indicare gli aborigeni australiani e gli abitanti delle isole dello stretto di Torres, un arcipelago a Nord dell’Australia abitato da gruppi che sono riconosciuti come culturalmente distinti dalle popolazioni aborigene del continente, e a cui di solito ci si riferisce separatamente.
Dall’inizio della colonizzazione europea nel 1788 persero il controllo su gran parte delle terre che occupavano e subirono violenze e politiche discriminatorie, fra cui l’allontanamento forzato di migliaia di bambini aborigeni e di discendenza mista dalle loro famiglie di origine per affidarli a istituzioni statali o ecclesiastiche, fra l’inizio del Novecento e gli anni Settanta. Gli aborigeni sono circa 700mila persone e rappresentano il 3 per cento della popolazione australiana.
Negli ultimi anni vari governi hanno provato a migliorare le condizioni di vita delle persone indigene: nonostante numerosi provvedimenti e sussidi le persone aborigene e dello stretto di Torres hanno infatti un’aspettativa di vita di circa dieci anni inferiore agli altri australiani, un alto livello di diffusione di malattie croniche (dovute soprattutto al fumo e all’alcol), di suicidi e di incarcerazione, un basso livello di scolarizzazione e di accesso ai servizi sanitari di base. Oggi la maggioranza di loro vive in povertà e si mantiene grazie ai sussidi statali, e gli episodi di razzismo e discriminazione sono frequenti. Per questo molti attivisti sostengono che i provvedimenti dello Stato siano stati finora essenzialmente simbolici e che non siano state prese le misure necessarie ad assicurare un miglioramento della qualità della vita.
La Voice to Parliament era stata proposta per cercare di risolvere gli storici problemi delle comunità indigene. Chi l’ha osteggiata lo ha fatto per varie motivazioni: la paura che la riforma enfatizzasse le distinzioni razziali, la sfiducia verso un ulteriore organo del governo federale (con la proposta alternativa di istituire vari organi locali anziché uno nella capitale), e la preferenza per un intervento istituito per legge, e non con un referendum costituzionale, e che quindi potrebbe essere modificato più facilmente qualora si rivelasse disfunzionale. Anche tra le comunità indigene c’erano persone contrarie, sebbene la posizione principale fosse favorevole.
Il leader dell’opposizione Peter Dutton, capo del Partito Liberale d’Australia e persona che ha guidato la campagna del No al referendum, ha commentato l’esito del voto dicendo: «La cosa che importa adesso è che questo risultato non ci divida come popolo. Ciò che importa è che accettiamo tutti il risultato nello spirito che anima la nostra democrazia».