Le enormi difficoltà negli ospedali di Gaza
Oltre a curare moltissime persone ferite, sono diventati anche rifugi per chi fugge dai bombardamenti, ma mancano risorse ed energia elettrica
Da giorni la striscia di Gaza, un territorio di circa 360 chilometri quadrati abitato da 2,3 milioni di persone, viene intensamente bombardato dall’esercito israeliano come risposta agli attacchi compiuti dai miliziani di Hamas a partire da sabato 7 ottobre. Lunedì le autorità israeliane hanno tagliato le forniture d’acqua, energia elettrica, cibo e carburante che provengono da Israele, privando sostanzialmente la popolazione di quasi ogni risorsa: a Gaza manca praticamente tutto, dal cibo all’acqua per bere o lavarsi, e finora secondo Hamas oltre 1.400 persone sono state uccise nei bombardamenti, mentre migliaia di altre hanno perso la casa e sono ferite (al momento queste stime non possono essere confermate in maniera indipendente).
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La situazione negli ospedali, che stanno facendo affidamento sui propri generatori per produrre energia elettrica dato che l’unica centrale della zona è rimasta senza carburante, è particolarmente difficile. Oltre a dover curare un flusso di persone molto superiore alla media, gli ospedali stanno infatti diventando anche rifugi per le persone che cercano di proteggere sé stesse e le proprie famiglie dai bombardamenti. Muhammad Abu Salima, direttore dell’ospedale più grande della città di Gaza – quello di al Shifa – giovedì ha detto al New York Times che nella struttura ci sono ben più delle 500 persone che può ospitare, e che l’ospedale ha carburante a sufficienza per alimentare i propri generatori per un massimo di altri quattro giorni.
Fabrizio Carboni, direttore della sezione del Comitato internazionale della croce rossa che si occupa dei paesi mediorientali, ha ricordato che se dovesse venire a mancare l’elettricità negli ospedali «verrebbero messi a rischio i neonati che si trovano nelle incubatrici e i pazienti anziani che hanno bisogno di macchinari per l’ossigeno. Si interromperebbero inoltre le dialisi renali e non sarebbe più possibile eseguire radiografie. Senza elettricità, gli ospedali rischiano di trasformarsi in obitori».
Samar Abu Elouf e Hiba Yazbek, i giornalisti del New York Times che hanno visitato al Shifa, descrivono una situazione molto caotica e difficile, in cui il personale dell’ospedale cura i feriti – tra cui molti bambini – nei corridoi, a pochi metri da persone che si sono rifugiate lì. Molti di loro, fino a pochi giorni fa, abitavano le villette e i grattacieli del quartiere Rimal, uno dei più ricchi di Gaza, che però ora è particolarmente preso di mira dai bombardamenti perché l’esercito israeliano sostiene che molti finanziamenti di Hamas provengano da quell’area.
«Famiglie, amici e soccorritori continuano ad affluire all’ospedale con persone ferite. Alcuni trasportano bambini, altri trasportano adulti su barelle. Le persone insanguinate, in attesa di cure, si siedono o giacciono sul pavimento piastrellato dell’ospedale, mentre gli operatori sanitari corrono attraverso i reparti per aiutare i pazienti che necessitano di cure più urgenti», raccontano. «E ci si aspetta che ne continueranno ad arrivare altri».
Anche l’Organizzazione mondiale per la sanità ha pubblicato una nota in merito, sottolineando che «mentre i feriti e le vittime continuano ad aumentare a causa degli attacchi aerei in corso sulla Striscia di Gaza, la grave carenza di forniture mediche sta aggravando la crisi, limitando la capacità di risposta degli ospedali già sovraccarichi di curare i malati e i feriti». L’istituzione chiede che venga permesso l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza, in modo da portare servizi sanitari, forniture mediche, cibo, acqua pulita, carburante e prodotti non alimentari.
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