L’Egitto aveva avvertito Israele che ci sarebbe stato un attacco di Hamas?
Ci sono conferme che gli avrebbe detto che stava per succedere «qualcosa di grosso», ma c'è ancora molto da capire
Negli ultimi giorni in Israele ci sono state grosse polemiche dopo che alcuni giornali israeliani e internazionali avevano scritto che nei giorni precedenti all’attacco di Hamas l’Egitto avrebbe avvisato il governo israeliano che il gruppo radicale della Striscia di Gaza stava preparando «qualcosa di insolito, un’operazione terribile».
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Il governo israeliano ha smentito di aver ricevuto un avvertimento specifico da parte dell’Egitto, ma martedì la notizia è stata confermata anche dall’intelligence statunitense. Michael McCaul, il presidente della commissione Affari esteri della Camera statunitense che riceve aggiornamenti diretti dalle agenzie d’intelligence americane, ha detto ai giornalisti che «sappiamo che l’Egitto aveva avvertito Israele tre giorni prima che un evento del genere sarebbe potuto accadere… Non voglio entrare troppo nel merito di questioni riservate, ma un avvertimento fu dato. La domanda è a che livello».
I primi a parlare del fatto che l’Egitto avesse avvertito Israele che qualcosa stava succedendo nella Striscia di Gaza erano stati lunedì Associated Press e alcuni giornali israeliani. Associated Press aveva parlato con un funzionario dell’intelligence egiziana che ha chiesto di rimanere anonimo e secondo cui gli egiziani avevano parlato più volte con le loro controparti israeliane per avvertirle che stava per succedere «qualcosa di grosso». «Li abbiamo avvertiti che la situazione stava per esplodere, che sarebbe successo molto presto e che sarebbe stata una cosa grossa. Ma [gli israeliani] hanno sottovalutato questi avvertimenti».
Sempre lunedì il quotidiano israeliano Times of Israel aveva confermato le informazioni di Associated Press e aveva aggiunto che il primo ministro Benjamin Netanyahu in persona era stato avvertito dall’intelligence egiziana, anche se non ci sono notizie chiare su quando questo sarebbe avvenuto. Il ministro dell’Intelligence dell’Egitto, il generale Abbas Kamel, avrebbe chiamato personalmente Netanyahu per dirgli che a Gaza si stava preparando «qualcosa di insolito, un’operazione terribile».
Netanyahu ha smentito piuttosto duramente di aver ricevuto un avvertimento di persona, e più in generale che Israele fosse stato avvertito di un attacco imminente. In un comunicato pubblicato dall’ufficio del primo ministro si legge: «Nessun messaggio di avviso è arrivato dall’Egitto e il primo ministro non ha parlato né incontrato il capo dell’intelligence [egiziano] dai tempi dell’insediamento del governo. Non l’ha fatto né direttamente né indirettamente».
Ma un paio di giorni dopo, mercoledì, è arrivata anche la conferma statunitense di Michael McCaul, che ha rafforzato l’idea che un qualche tipo di avvertimento egiziano fosse arrivato a Israele.
Bisogna però muoversi con un po’ di prudenza, perché sono ancora tante le cose che non sappiamo.
Anzitutto, è plausibile che l’Egitto avesse informazioni di intelligence sulla Striscia di Gaza e fosse disposto a condividerle con Israele. L’Egitto è uno dei pochi paesi del mondo ad avere rapporti piuttosto stretti sia con Israele sia con Hamas. Collabora con Israele nei settori dell’intelligence e della sicurezza, tanto che le agenzie di sicurezza dei due paesi lavorano insieme nella gestione dei valichi di frontiera con la Striscia di Gaza. Le intelligence dei due paesi hanno anche un rapporto di relativa fiducia.
Al tempo stesso, l’Egitto mantiene relazioni con Hamas, sebbene più circospette. Tra le altre cose consente al gruppo radicale di mantenere aperto un proprio ufficio al Cairo, che viene però monitorato con molta attenzione: Hamas, oltre a essere un gruppo armato estremista (considerato terroristico da Stati Uniti e Unione Europea, tra gli altri), ha anche una leadership politica che molto spesso vive fuori dalla Striscia di Gaza, e ha uffici più o meno pubblici in vari paesi arabi come l’Egitto, il Qatar e il Libano. Per questa sua condizione, da tempo l’Egitto ha un ruolo di mediazione tra Israele e Hamas, e nei conflitti degli anni scorsi aveva spesso negoziato per la riduzione delle violenze e per la liberazione di vari ostaggi.
Ci sono però altri due elementi da considerare. Anzitutto, come ha detto McCaul, bisogna vedere «a che livello» è arrivato l’eventuale avvertimento. Bisogna capire cioè se l’intelligence egiziana abbia davvero avvertito i gradi più alti della leadership israeliana (come per esempio Netanyahu in persona, oppure i comandi dell’intelligence o dell’esercito) oppure se quell’avvertimento sia stato trattato come una comunicazione più di routine: se le intelligence dei due paesi collaborano tra loro è probabile che le comunicazioni siano frequenti e numerose, e che anche i comunicati generici di avvertimento o di allarme non siano poi così rari.
Il secondo elemento da capire è quanto fosse specifico l’eventuale avvertimento egiziano. Tutte le persone che hanno parlato con i media degli avvertimenti egiziani hanno usato termini molto generici: «qualcosa di grosso», «un’operazione terribile». Altri funzionari d’intelligence che hanno parlato in forma anonima con il Financial Times hanno confermato che l’Egitto avrebbe dato a Israele soltanto «avvertimenti generici».
C’è anche da considerare che le informazioni che l’intelligence israeliana stava raccogliendo in autonomia sembravano confermare una situazione tranquilla: negli ultimi anni i servizi israeliani si erano convinti – grazie a un piano di depistaggio di Hamas estremamente efficace – che Hamas fosse più impegnata a governare la Striscia di Gaza e avesse perso interesse per grosse e distruttive operazioni militari. Gli avvertimenti dell’Egitto, in questo senso, sono soltanto un pezzo del più grande e catastrofico fallimento dell’intelligence israeliana.