Il sistema dei riservisti in Israele, spiegato
L'esercito ha mobilitato in pochi giorni 360mila persone, quasi il 4 per cento della popolazione: è un sistema con pochi corrispettivi nel mondo
Quarantotto ore dopo gli attacchi di Hamas, iniziati sabato e proseguiti nei giorni successivi, l’esercito israeliano aveva già mobilitato 300mila riservisti, cittadini che hanno svolto il servizio militare obbligatorio e che possono essere convocati per tornare temporaneamente nell’esercito per esercitazioni o in caso di crisi. Martedì i riservisti mobilitati erano diventati 360mila: è il numero maggiore dalla guerra dello Yom Kippur del 1973, quando 400mila riservisti furono chiamati per rispondere all’attacco a sorpresa di Egitto e Siria contro Israele. In questi giorni quindi circa il 4 per cento dei 9,8 milioni di abitanti di Israele lascerà le proprie famiglie e i normali lavori per unirsi all’esercito.
Il sistema dei riservisti israeliano ha pochi corrispettivi nel mondo per dimensioni (in rapporto alla popolazione) e per velocità di mobilitazione. Ed è un caso piuttosto unico nel mondo occidentale, dove si sta per lo più superando il sistema basato sulla leva obbligatoria per sostituirlo con eserciti di professionisti dai numeri più ridotti. L’ampia partecipazione di “civili” alla difesa militare del paese è però un tratto distintivo e identitario della storia di Israele, sin dalla sua fondazione. Le mobilitazioni di riservisti ottengono sempre risposte immediate, le richieste di esenzione in momenti di emergenza sono limitate e sono numerose le adesioni volontarie di chi invece sarebbe esentato per ragioni di età o familiari.
Oltre che fondamentali per la difesa dello stato, i sistemi dei riservisti e della leva obbligatoria sono considerati da decenni una componente importante della società israeliana. Le esercitazioni, ricorrenti, vengono svolte sempre con gli stessi gruppi con cui era stato effettuato il servizio militare e vengono descritte come occasioni per unire persone provenienti da classi sociali e ambienti differenti e per rinforzare lo spirito patriottico.
Secondo fonti dell’esercito israeliano, oggi la mobilitazione è stata anche più veloce che in passato, nonostante sia arrivata in un periodo festivo per il calendario ebraico, con molti israeliani in vacanza all’estero. L’emergenza ha anche bloccato (almeno per ora) le proteste degli ultimi mesi, quando la disputa sulla riforma della Corte Suprema israeliana voluta dal governo di Benjamin Netanyahu aveva coinvolto anche i riservisti dell’esercito, che avevano spesso rifiutato le chiamate obbligatorie, in una specie di sciopero che non si era mai visto prima nella storia di Israele.
Israele prevede un servizio militare obbligatorio per tutti i propri cittadini al compimento del 18° anno di età: dura 2 anni e otto mesi per gli uomini e 2 anni per le donne. L’obbligo coinvolge anche i cittadini israeliani all’estero e quelli con doppio passaporto, ma non riguarda i cittadini di etnia araba e prevede esenzioni per motivi fisici, psicologici o religiosi: una delle esenzioni più contestate è quella che riguarda gli ebrei ultraortodossi, che non svolgono il servizio militare in base a una legge del 1999. Al termine di questo periodo uomini e donne possono ottenere l’esenzione definitiva dagli obblighi militari o, più spesso, essere inseriti nelle liste dei “riservisti”.
Questi possono essere richiamati per addestramenti, preparazione e impieghi operativi per un massimo di 36 giorni l’anno (estendibili di una settimana in casi particolari). Oppure possono essere mobilitati in caso di emergenza, come nella situazione attuale: si rimane nelle liste dei riservisti fino a 40 anni, le donne che non fanno parte di forze di “combattimento” sono esentate dopo la nascita del primo figlio, ufficiali e medici possono essere richiamati rispettivamente fino a 45 e 49 anni di età.
Quando non ci si trova in condizioni di emergenza, i riservisti possono posticipare le convocazioni per questioni lavorative o scolastiche. Negli ultimi anni l’esercito israeliano aveva limitato il numero di riservisti coinvolti, preferendo addestrarne in modo più intenso un numero più limitato, anche per limitare le spese. I riservisti vengono considerati “attivi” quando hanno completato almeno 20 giorni di servizio negli ultimi tre anni: nel 2013 erano il 36 per cento del totale, due anni dopo la quota degli attivi era già scesa al 26 per cento, negli ultimi anni era stimata sotto il 10 per cento.
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I riservisti mobilitati in questa occasione appartengono per lo più alle fasce di età più giovani, con riflessi visibili su uno dei settori economici in maggiore espansione negli ultimi anni. Israele ha visto una grande crescita del settore finanziario, ma anche delle aziende e delle startup tecnologiche, in particolare di quelle che si occupano di cyber security, la sicurezza informatica. Alcune aziende di questo settore hanno segnalato che un numero consistente dei propri dipendenti è stato mobilitato nell’esercito. Nel settore le percentuali di lavoratori richiamati variano fra il 10 e il 30 per cento e sono più alte nelle startup, dove anche la dirigenza è spesso più giovane. Le stesse aziende sottolineano che i problemi immediati per la mancanza di personale sono comunque risolvibili con nuovi sistemi di organizzazione del lavoro.
Le compagnie aeree e l’esercito stanno organizzando una risposta a un altro problema nella mobilitazione, quello del rientro in Israele dei molti riservisti che si trovano all’estero in occasione del Sukkot, una delle più importanti festività della religione ebraica, che dura otto giorni. Il ritorno in Israele si sta rivelando complicato, vista la cancellazione di parte dei voli di linea e gli alti prezzi dei biglietti di quelli rimasti. Fra martedì e mercoledì la compagnia di bandiera El Al ha però previsto voli speciali, mentre l’esercito ha organizzato due voli militari per far rientrare riservisti dall’Europa. Lunedì 300 riservisti sono partiti anche dall’Italia, dall’aeroporto di Fiumicino a Roma.