I nuovi medici evitano i pronto soccorso
È stato assegnato soltanto un terzo dei posti disponibili nei corsi di specializzazione a causa della mancanza di candidati
Il sindacato dei medici Anaao Assomed ha raccolto e pubblicato i risultati delle assegnazioni dei posti nelle scuole di specializzazione, i corsi che permettono ai laureati in medicina e chirurgia di specializzarsi, un requisito essenziale per essere assunti nel servizio sanitario nazionale. In passato c’erano molti meno posti rispetto ai candidati, quest’anno il problema è opposto: oltre un quarto delle borse di studio per la specializzazione non è stato assegnato per mancanza di candidati. Ci sono stati pochi iscritti a microbiologia, patologia e biochimica clinica, anestesia, rianimazione, terapia del dolore e cure palliative, e genetica medica. Secondo il sindacato, però, il dato più preoccupante riguarda la specializzazione di emergenza-urgenza, che forma medici e mediche dei pronto soccorso, per cui sono state assegnate soltanto 266 borse di studio sulle 855 a disposizione.
Negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, molti medici si sono dimessi o hanno chiesto di essere trasferiti dai pronto soccorso per via di turni estenuanti, stipendi poco competitivi e rischio di aggressioni. La carenza di personale ha spinto il ministero a consentire l’assunzione nei pronto soccorso anche di medici con altre specializzazioni, tuttavia le poche assegnazioni sono il segnale di una sorta di repulsione nei confronti di questa specializzazione che nei prossimi anni avrà conseguenze sull’organizzazione degli ospedali e in definitiva sulla qualità della sanità.
Il corso di laurea in medicina e chirurgia dura sei anni. Dopo la laurea si è medici a tutti gli effetti, ma per esercitare la professione nel servizio sanitario nazionale, quindi negli ospedali, bisogna specializzarsi. I medici che vogliono specializzarsi devono partecipare al concorso nazionale e, se lo vincono, frequentare il corso di specializzazione scelto, la cui durata varia dai due ai cinque anni. Durante il periodo di specializzazione, i medici percepiscono uno stipendio: al netto delle trattenute, il netto è di circa 1.650 euro al mese per i primi due anni e tra i 1.500 e i 1.800 euro al mese per gli anni successivi.
Il numero degli iscritti alla laurea in medicina e il numero di borse di studio messe a disposizione ogni anno determinano quindi la quantità di medici che in futuro lavoreranno negli ospedali. La programmazione, per essere ottimale, dovrebbe tenere conto di diversi indicatori: quanti professionisti sono prossimi alla pensione, quanti e quali servizi servono agli ospedali, quanti medici abbandonano gli studi, quanti decidono di lasciare le strutture pubbliche per passare al privato.
La scarsa capacità di programmare le assunzioni è uno dei problemi più rilevanti del sistema sanitario italiano. Ci sono stati periodi, come all’inizio degli anni Settanta, in cui sono stati formati molti più medici di quanti ne servissero, e altre fasi in cui le borse di studio e in generale le risorse economiche per la sanità sono state ridotte in modo eccessivo, come tra il 2010 e il 2020. Molti governi hanno introdotto accorgimenti o stravolgimenti senza avere la piena consapevolezza del ritardo tra le decisioni e gli effetti delle stesse: qualsiasi intervento fatto oggi infatti avrà effetto tra qualche anno.
Negli ultimi decenni la programmazione approssimativa dei governi ha causato un problema chiamato “imbuto formativo”: la quantità di borse di studio per le specializzazioni non era sufficiente a garantire un posto alle persone appena laureate. Dopo la pandemia, invece, sono state messe a disposizione più borse di studio, e ora il problema è opposto rispetto al passato: i laureati in medicina, circa 13mila all’anno, sono cresciuti meno velocemente rispetto al numero di borse di studio disponibili.
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Secondo i dati dell’Anaao Assomed sono state assegnate 11.688 borse di studio sulle 16.165 a disposizione. Oltre all’emergenza-urgenza, anche in altre specializzazioni la carenza è evidente: è stato assegnato il 15% dei posti a disposizione in microbiologia, il 16% in radioterapia, il 21% in farmacologia e tossicologia clinica, il 40% in medicina e cure palliative, la stessa percentuale in chirurgia toracica e il 42% in medicina nucleare.
Hanno avuto alte percentuali di assegnazione, e in alcuni casi sono stati riempiti tutti i posti, le specializzazioni di allergologia, chirurgia maxillo-facciale, chirurgia pediatrica, chirurgia plastica ed estetica, dermatologia, endocrinologia e malattie del metabolismo, ginecologia, malattie dell’apparato cardiovascolare, dell’apparato digerente, di quello respiratorio, neurologia, neuropsichiatria infantile, oftalmologia, otorinolaringologia, pediatria, radiologia, reumatologia. Quasi tutte consentono di affiancare una redditizia attività privata al lavoro per il servizio sanitario nazionale.
Anaao Assomed ha detto che la programmazione sbagliata e la mancanza di candidati nei corsi di specializzazione di emergenza-urgenza «certifica l’estinzione della figura dello specialista in medicina d’emergenza con l’avanzata della figura del medico gettonista che corrisponde irrimediabilmente a una diminuzione della qualità erogata in un ambito delicato come quello dei pronto soccorso oltre a costi esorbitanti per i contribuenti». I gettonisti sono i medici che lavorano in ospedale a chiamata e sono pagati in base al numero di giorni o di ore in cui prestano servizio, solitamente con un compenso molto più alto rispetto ai professionisti contrattualizzati.
Già nel 2021 il sindacato aveva messo in guardia il ministero dallo squilibrio tra posti disponibili e candidati. «Ancora una volta siamo di fronte alla mancanza di programmazione», aveva detto, sostenendo che la carenza di candidati in settori come la medicina d’urgenza fosse ormai endemica a causa delle condizioni di lavoro non soddisfacenti. Secondo la Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza (Simeu), nei pronto soccorso degli ospedali italiani mancano 5.000 medici.
La soluzione proposta dalla ministra dell’Università Anna Maria Bernini è un aumento dei posti disponibili nelle facoltà di medicina. Molti altri politici in passato hanno chiesto l’abolizione delle iscrizioni a numero chiuso ai corsi di medicina (in realtà si dovrebbe chiamare più correttamente “numero programmato”). Le università e l’ordine dei medici sono contrari all’abolizione del numero chiuso perché l’attuale selezione garantisce l’ingresso a studenti davvero motivati e una preparazione migliore. Aumentare il numero di iscritti, è la tesi sostenuta dai contrari all’abolizione, rischierebbe di ridurre la qualità della formazione medica.
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