Diamo un’altra possibilità al cricket
Nei giorni della Coppa del Mondo in India dovrebbe essere annunciato il suo ritorno tra le discipline olimpiche: l’occasione buona per provare a capirci qualcosa
di Pietro Cabrio
Fra pochi giorni il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) comunicherà quali nuove discipline sportive verranno introdotte, o re-introdotte, ai Giochi di Los Angeles del 2028. In considerazione ci sono cricket, baseball, squash, lacrosse e flag football (una specie di football americano senza contatto): tra queste cinque discipline, la presenza del cricket a Los Angeles sembra quella più certa. Non a caso si tratta di una delle discipline più seguite al mondo, la seconda per diffusione dopo il calcio. Si stima che abbia 2 miliardi di mezzo di appassionati, e in questo influisce particolarmente la grande popolarità che ha in India.
Il cricket è anche uno degli sport di squadra più antichi ancora in uso: nacque in Inghilterra in piena età imperiale e la prima testimonianza scritta del gioco risale al 1597. Fu sport olimpico per una sola edizione dei Giochi, la seconda dell’era moderna ospitata a Parigi nel 1900, e ora l’annuncio del suo ritorno alle Olimpiadi potrebbero coincidere con i Mondiali in corso in India.
Considerando tutto questo, gran parte del mondo deve ancora capire una cosa del cricket: come funziona esattamente? Non esiste un altro sport di squadra così diffuso eppure così complesso, e probabilmente questo è il motivo per cui è così popolare in certi paesi con una storia in comune (l’aver fatto parte dell’Impero britannico) e pressoché sconosciuto nel resto del mondo. La sua complessità è anche il motivo per cui esistono tre formati principali dello stesso gioco, due dei quali sono stati sviluppati negli ultimi decenni partendo dal cricket tradizionale, il cosiddetto “test cricket”.
Il test cricket fu codificato a Londra nell’Ottocento e si gioca in ambito internazionale ininterrottamente dal 1877. Una partita si disputa in un tempo massimo di cinque giorni che prevede anche pause per il pranzo e per il tè. È proprio la durata che lo rende il formato tradizionale, perché il cricket fu ideato proprio per essere un gioco soggetto ai cambiamenti, anche climatici, che mettesse alla prova le squadre non solo nel confronto diretto, ma anche per un periodo di gioco così esteso.
In un “test match” di cricket una squadra gioca con undici giocatori e si alterna tra turni di battuta e turni di lancio e ricezione. Quella che inizia al turno di battuta va in campo con due battitori che si posizionano uno di fronte all’altro nel segmento centrale di campo le cui estremità sono delimitante da due “wicket”, ossia tre paletti di legno verticali e due più piccoli orizzontali che insieme formano un specie di lettera “m”.
Uno dopo l’altro, i due battitori in campo dotati della caratteristica mazza da cricket devono evitare che i lanciatori avversari colpiscano con una pallina il wicket alle loro spalle, in modo da non essere eliminati. Devono quindi proteggere il wicket e cercare di colpire la pallina lanciata verso di loro. Se riescono a colpirla si scambiano di posto e così facendo realizzano una “corsa” (o “run”), che equivale a un punto ed è lo scopo del gioco. A seconda di come colpiscono la pallina, tuttavia, possono ottenere altre “corse” evitando di scambiarsi di posto: se la pallina raggiunge il bordo che delimita il circostante campo ovale si ottengono quattro corse, un fuoricampo invece ne vale sei. I battitori possono anche decidere di non battere o di non colpire deliberatamente la pallina lanciata pur muovendo la mazza: in questi casi, se non viene colpito il wicket, il loro turno alla battuta può proseguire.
La squadra che non batte circonda il segmento centrale del campo con tutti i suoi giocatori, i quali possono eliminare i battitori avversari prendendo le palline battute al volo, o colpendo i wicket prima che lo scambio di posizione tra battitori (la corsa) sia avvenuto. Ai giocatori spetta un turno di lancio composto da sei lanci: questi turni si chiamano “over”. Al decimo battitore avversario eliminato si vince un “innings”: nel cricket tradizionale ogni squadra ha disposizione due innings, mentre gli over sono illimitati.
Queste sono le regole basilari per iniziare a capire il gioco, che stando al gergo del cricket non ha regole ma «leggi»: una di queste prevede per esempio che un innings si possa concludere su richiesta del capitano della squadra in battuta a cui la situazione maturata fin lì sembra sufficientemente favorevole. Queste leggi sono inoltre precedute da un preambolo che fa intuire la complessità della disciplina: «Il cricket deve molto della sua unicità al fatto che dovrebbe essere giocato non soltanto secondo le proprie regole, ma anche secondo lo spirito del gioco. Qualsiasi azione che sia vista come contraria a questo spirito causa un danno al gioco stesso».
A questo punto potrebbe essere di aiuto una rappresentazione visiva di tutto questo:
Negli anni Settanta il cricket si allineò alle tendenze dello sport internazionale facendo evolvere il gioco come non succedeva da secoli. Fino ad allora esisteva soltanto il test cricket, formato che prendeva il nome dai “test match”, ossia le partite in cui i paesi delle ex colonie britanniche venivano messi alla prova (quindi “testati”) contro i maestri inglesi. In quel decennio del Novecento, tuttavia, il cricket istituì una sua Coppa del Mondo e per l’impossibilità di organizzare un torneo con partite di cinque giorni nacque il One Day International, ossia il formato in cui le partite si concludono in un giorno, dato che ciascuna squadra ha a disposizione 50 over.
Il One Day fu introdotto negli anni Settanta e mette d’accordo gli appassionati per come unisce una durata di gioco ragionevole con l’idea tradizionale del cricket. La Coppa del Mondo disputata con questo formato è la Coppa del Mondo di cricket per eccellenza: si gioca ogni quattro anni fin dal 1975 e la tredicesima edizione è in corso in questo giorni, per la prima volta organizzata interamente in India.
Per avere anche dei veri e propri campionati nazionali di cricket partecipati dal pubblico e appetibili per sponsor e televisioni, tuttavia, fu necessario sviluppare un terzo formato di gioco, ancora più breve del One Day. Fu così che nei primi anni Duemila, dopo studi e ricerche affidati ad esperti, furono introdotte le partite da un inning e venti over per squadra, il cosiddetto Twenty20 (T20). Negli ultimi due decenni il T20 ha spopolato ed è quindi riuscito nel suo obiettivo di prolungare la vita di uno sport che si regge ancora su regole inventate secoli fa da una stretta cerchia di nobili inglesi. È per esempio il formato della Indian Premier League, il campionato di cricket più seguito e ricco al mondo, tanto da attirare per ogni sua edizione i migliori giocatori provenienti dal resto del mondo, Inghilterra e Australia comprese.
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