In Italia ci sono 160mila chilometri di sentieri di cui prendersi cura
Se ne occupano principalmente i volontari del CAI con un lavoro continuo, spesso faticoso, raramente retribuito
di Valerio Clari
«Quando d’estate la gente percorre i sentieri per un’escursione tende a darli per scontati. Molti sembrano pensare che si facciano da soli, invece c’è un lavoro enorme dietro» dice Sergio Peduzzi, il presidente della Commissione regionale lombarda sentieri e cartografia del CAI, Club Alpino Italiano. In un venerdì di settembre sta caricando sull’auto di un altro associato gli ultimi strumenti necessari per un giro di manutenzione sopra Luino e Brezzo di Bedero, provincia di Varese. I soci e volontari sono tre, il lavoro è semplice perché il tratto di sentiero è piuttosto vicino a dove si può arrivare in auto.
Nel bagagliaio caricano una motosega, un decespugliatore, guanti, forbici, cesoie, un falcetto, un piccone, una mazza, un badile, un rastrello, un kit per dipingere, un kit di pronto soccorso. La “spedizione” durerà qualche ora e coprirà meno di cinque chilometri di sentiero: i tre sono volontari e – come accade spesso – non hanno a disposizione l’intera giornata.
In Italia ci sono circa 160mila chilometri di sentieri, più della metà del totale è stato tracciato ed è ora curato e mantenuto dal CAI, la principale associazione italiana dedicata all’alpinismo, all’escursionismo e alla montagna. Antonio Montani, presidente del CAI dal 2022, dice che «per dare una dimensione della grandezza della rete dei sentieri, io ricordo sempre che quella autostradale in Italia conta 7.000 chilometri». Dei sentieri si occupano oltre 6mila volontari, che sono formati e coordinati dalle sezioni locali del CAI. Chi ha fatto il lavoro sul campo spiega che in una giornata difficilmente si riescono a sistemare più di 5-8 chilometri di sentiero, a seconda dei lavori necessari. «Quindi i volontari, che sono per lo più pensionati, sono al lavoro quasi tutto l’anno, ci si ferma giusto quando c’è la neve», spiega Montani.
Il CAI è organizzato con sezioni regionali e sottosezioni locali, ciascuna delle quali dovrebbe occuparsi della manutenzione dei sentieri della sua zona. Ma non tutte riescono a organizzare un “gruppo sentieri” e non tutte hanno fra i loro soci le professionalità necessarie. Per una corretta manutenzione può infatti servire avere conoscenze di falegnameria o saper utilizzare i software di cartografia. Le differenze di numeri fra gli associati sono anche molto consistenti, da zona a zona, da regione e regione: in Lombardia gli iscritti sono 90mila, in Puglia 500 (in totale in Italia sono 342mila). In caso di necessità una sezione locale può venire in soccorso a un’altra. Non tutta la manutenzione della rete sentieristica è in carico al CAI: di parti minori si occupano i parchi nazionali, gli alpini dell’ANA, associazioni di volontariato, comuni, comunità montane e in casi limitati ditte private che gestiscono appalti.
La manutenzione dei sentieri comprende tutta una serie di attività diverse: terreno e segnaletica sono esposte a pioggia, intemperie, frane e usura, e la prima cosa da fare è monitorare la rete, con perlustrazioni fatte a questo scopo o raccogliendo le segnalazioni degli escursionisti.
Col passare degli anni cartelli e segnali si sono per lo più uniformati, sulla base di quelli proposti dal CAI. Esiste una segnaletica orizzontale, costituita dai segni di vernice bianca e rossa su pietre e alberi, possibilmente a ogni bivio o ogni 300-500 metri, e una segnaletica verticale, con pali e cartelli, che contengono il numero del sentiero, l’indicazione delle prossime tappe e i tempi di percorrenza. I cartelli vengono forniti dalle sezioni, sulla base di una mappatura a livello regionale, e seguono standard piuttosto rigorosi.
Il calcolo dei tempi di percorrenza – tema molto dibattuto fra gli escursionisti – viene realizzato con il software Luoghi 2.0, che viene utilizzato anche per definire e mappare tutta la rete: inserendo la traccia GPX (ottenuta attraverso rilevatori GPS), il programma calcola i tempi, considerando distanze, quote e dislivelli. In caso di necessità i tempi sono modificabili anche manualmente. I cartelli prodotti attraverso il software vengono posizionati nei luoghi individuati dai volontari.
La segnaletica orizzontale viene invece posizionata e rinnovata secondo metodi più empirici, ma comunque codificati, durante le sessioni di intervento dei volontari. Si scelgono punti che siano visibili in entrambi i sensi di marcia, e i segni bianchi e rossi si devono posizionare alternativamente su sassi al livello del terreno (che rischiano però di essere coperti dalla neve in inverno) e sugli alberi, a un’altezza di almeno un metro. Non tutti gli alberi vanno bene, quelli con cortecce più lisce sono preferibili. Se un tempo si potevano trovare semplici pennellate e rettangoli di dimensioni diverse, oggi il CAI suggerisce riquadri di 8 cm per 15, per uniformità e visibilità.
I volontari che se ne occupano portano lungo il percorso vernici ad acqua, pennelli, nastri adesivi per delimitare il riquadro, una lamina in metallo delle giuste dimensioni per definire lo spazio da dipingere. Farne uno può portare via qualche minuto, anche solo per aspettare che la vernice si asciughi. In genere per questo genere di lavoro bisogna tornare sullo stesso tratto di sentiero ogni paio d’anni, perché la segnaletica può durare anche di più, ma molto dipende dai fenomeni atmosferici e da eventi non pronosticabili.
L’altro genere di interventi ricorrenti e necessari è quello legato alla manutenzione del fondo del sentiero, soggetto a smottamenti, piccole frane, semplice usura da passaggi molto frequenti. In certi casi è necessario costruire dei gradini e per farli si utilizzano per lo più tronchi presenti sul posto: li si taglia a metà, li si fissa al terreno con perni metallici o utilizzando altri pezzi di tronchi, si muove la terra per creare il gradino. Per realizzarli in tempi brevi serve sapere usare bene la motosega e una discreta forza fisica per piantare i pali. Altre operazioni sono la creazione di deviatori d’acqua, che convoglino la pioggia ed evitino che il sentiero diventi un letto per piccoli ruscelli, l’eliminazione dei piccoli smottamenti del terreno e delle “scorciatoie” create dal passaggio di numerosi escursionisti. Il taglio delle curve da parte degli escursionisti, che crea sentieri alternativi con i passaggi ripetuti in certi punti, può infatti erodere il terreno causando piccole frane.
Ciclicamente, soprattutto sui sentieri meno battuti e meno larghi e strutturati, bisogna inoltre potare la vegetazione, con un decespugliatore che liberi almeno una larghezza di 60-80 centimetri. Altre volte è sufficiente un soffiatore per liberare il sentiero dalle foglie cadute, se ci si trova in un bosco. Il problema principale di tutte queste operazioni è che servono strumenti piuttosto pesanti e che hanno bisogno di carburante. Sandro Morandi partecipa spesso a questi interventi nella zona di Luino, e racconta: «Quando si fanno in alta montagna, per usare il decespugliatore servono almeno due persone. Uno che lo usa, un altro che porta la tanica con la miscela. Consuma circa un litro l’ora, girare con 30 chili di attrezzatura per una giornata intera non è praticabile». Allo stesso modo nelle zone dove la vegetazione è meno fitta o assente i tronchi necessari per fare gli scalini vanno trasportati sul posto, insieme all’attrezzatura. Questa può diventare spesso la parte più complessa e faticosa dell’operazione.
La manutenzione ordinaria nel complesso finisce qui, a volte i volontari aggiungono piccole opere come dei ponticelli in legno, o ripristinano passaggi di pietre per attraversare i ruscelli, e verificano che quelle già presenti siano sempre in buone condizioni: la cosa è particolarmente importante nei sentieri attrezzati con corde o catene per garantire la sicurezza. Un altro lavoro fondamentale è quello di ispezione e progettazione dei sentieri, che possono essere anche recuperati e attrezzati dopo anni di parziale inutilizzo. In questo caso membri esperti, che di solito fanno riferimento al SOSEC (Struttura operativa sentieri e cartografia) del CAI, realizzano un’opera di rilevazione e in parte di progettazione dei percorsi, che deve rispettare regole e criteri definiti.
Quando invece la manutenzione dei sentieri presupporrebbe interventi con mezzi meccanici, l’opera dei volontari si ferma e si limita alla segnalazione agli enti locali competenti, come comuni, comunità montane, province e regioni. È quello che è successo ad esempio dopo l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna a maggio. Maurizio Giulimondi, della sezione CAI di Bologna, dice: «Quello che stiamo facendo con le sezioni locali è, oltre alla manutenzione ordinaria, una rilevazione delle criticità. Se si tratta di piccoli smottamenti possiamo realizzare delle varianti, ma se mancano 70-80 metri di terreno, come è successo sulle colline, mettiamo insieme la segnalazione più dettagliata possibile e la presentiamo alle autorità, sapendo che ci metteremo in coda e che le priorità nella zona sono altre».
Tutta l’opera di manutenzione si basa principalmente sul lavoro volontario ma presuppone delle spese, che sono rimborsate solo in parte attraverso bandi specifici a cui le sezioni locali del CAI possono partecipare. Nel 2023 il bando, che comprende anche l’acquisto di materiali e che presuppone contributi commisurati al lavoro svolto (una quota variabile al chilometro, che può arrivare a 200 euro), aveva fondi per 300mila euro. Il lavoro dei “sentieristi” resta quasi sempre un’opera di volontariato totale, e questi si fanno spesso carico in prima persona anche delle piccole spese. Il CAI è un ente pubblico senza fini di lucro, in parte finanziato dal ministero del Turismo e dagli enti locali, ma principalmente dalle quote associative.
L’associazione sta inoltre procedendo alla creazione di un catasto nazionale dei sentieri, una mappatura digitale che prevede un codice univoco per ogni settore di sentiero da bivio a bivio, o quando questo cambia forma, diventando per esempio una mulattiera. Al momento sono stati “schedati” in questo modo 110mila chilometri di sentieri italiani, e un progetto ulteriore prevede anche la mappatura di tutte le sorgenti e fonti d’acqua. L’operazione di digitalizzazione è particolarmente complessa, come racconta Peduzzi: «Abbiamo verificato che per un lavoro di rilevazione sul campo di 4 ore ci vuole un lavoro al computer di 24 ore per inserire i dati raccolti».
I sentieri inoltre sono di competenza amministrativa regionale e quindi la legislazione può essere differente. In particolare solo alcune regioni li hanno inseriti nella cartografia ufficiale, rendendoli parte della rete di strade e percorsi pubblici. Nelle regioni in cui non è avvenuto può capitare che alcuni sentieri che passano in terreni di proprietà private (è il caso più comune) vengano chiusi dai proprietari. Questi ultimi sono quasi sempre legalmente tutelati, per cui è necessario aggiornare i percorsi con delle varianti.
Esistono anche organizzazioni internazionali che si occupano di alpinismo, escursionismo e sentieri: la più importante è l’Unione internazionale associazioni alpinistiche, che ha membri da oltre 100 paesi. Il CAI è tornato a farne parte dal gennaio del 2023, ne era uscito nel 2019 in polemica con alcune decisioni dell’organizzazione ritenute troppo attente alla volontà degli sponsor. Dice il presidente Montani: «Nell’UIAA esiste anche una commissione sentieri e una delle ipotesi di lavoro è estendere il nostro standard anche a livello internazionale. È un modello creato con una lunga esperienza che stiamo iniziando ad esportare. Ad esempio tre province della Cina hanno richiesto i nostri manuali di sentieristica».
A fare da contraltare a questi riconoscimenti internazionali c’è la percebile invidia con cui i volontari della zona di Varese parlano dell’organizzazione e dei mezzi della vicina Svizzera, dove la manutenzione dei sentieri è affidata ai cantoni, con fondi statali molto più consistenti. Dice Morandi, nel frattempo impegnato a piantare un palo con ripetuti colpi di mazza: «Organizzano delle giornate di manutenzione, e ho partecipato a qualcuna. Ti portano su in quota con l’elicottero, in squadre di otto. Devi solo lavorare e poi scendere. Così è decisamente più comodo».
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