La crisi d’identità dei Repubblicani americani
Il partito di Donald Trump è sempre più estremista e spinto da ideologie che hanno poco a che fare con il conservatorismo classico: una breve guida per capirci qualcosa
La rimozione di Kevin McCarthy come speaker della Camera degli Stati Uniti è stata un evento per molti versi straordinario. McCarthy era stato eletto in maniera rocambolesca a gennaio dopo 15 votazioni, il numero più alto della storia della Camera, ed è diventato pochi mesi dopo il primo speaker nella storia a essere rimosso. La rimozione di McCarthy è un sintomo delle profonde divisioni nel Partito Repubblicano, che si sono amplificate negli ultimi anni, da quando Donald Trump è diventato la figura più importante del conservatorismo statunitense. Secondo alcuni analisti, queste divisioni sono ormai così forti che si può parlare perfino di una «crisi d’identità».
Lo ha fatto capire lo stesso McCarthy in un breve discorso in cui ha citato gli otto deputati radicali e trumpiani che hanno votato contro di lui sulla mozione di sfiducia che ha determinato la sua rimozione: «Non possono dire di essere conservatori soltanto perché sono arrabbiati e provocano il caos. Non sono conservatori e non hanno il diritto di portare il titolo [di conservatori]». Al tempo stesso la definizione di “Repubblicani” è contestata dalla parte più radicale del partito e dallo stesso Donald Trump, che da tempo per riferirsi ai membri più moderati usa l’acronimo RINO, che significa Republicans In Name Only, Repubblicani solo a parole.
In questo momento il Partito Repubblicano americano è così caotico che anche termini apparentemente chiari, come “conservatore” e “Repubblicano”, sono diventati controversi e oggetto di dibattito.
In effetti ultimamente è estremamente difficile capire le posizioni dei più importanti politici Repubblicani, proprio perché la crisi d’identità interna al partito ha reso obsolete molte categorie tradizionali come quelle di “destra”, di “moderazione” e di “conservatorismo”. Facciamo un esempio: gli otto deputati Repubblicani che hanno votato contro Kevin McCarthy e hanno provocato la sua rimozione, tra cui spicca il deputato Matt Gaetz, sostengono di essere fedeli sostenitori di Donald Trump e di rappresentare i veri valori del movimento conservatore. Ma anche McCarthy dice di essere un trumpiano e un vero conservatore.
Se ragioniamo in termini di moderati contro radicali, tra Matt Gaetz e McCarthy il più radicale è decisamente Gaetz, ma al tempo stesso anche McCarthy è lontanissimo da posizioni moderate. Ma se ragioniamo in termini di destra e sinistra non possiamo dire che l’ala più radicale dei Repubblicani sia necessariamente anche quella più di destra, perché almeno in economia molti dei trumpiani estremisti hanno posizioni spesso eclettiche sull’intervento dello stato e sul welfare, che si incontrano in maniera peculiare con quelle della sinistra.
Come è abbastanza facile immaginare, una parte consistente della crisi di identità che sta attraversando il Partito Repubblicano in questi anni dipende da Donald Trump, che dal 2016, con la sua prima candidatura alle primarie Repubblicane, ha via via preso il controllo del partito e soprattutto del suo elettorato: oggi, secondo i sondaggi, circa l’80 per cento degli elettori Repubblicani ha un’opinione favorevole di Trump, e questo – anche considerata la ben nota suscettibilità dell’ex presidente – significa che oggi è quasi impossibile essere un politico Repubblicano di successo senza essere al tempo stesso un sostenitore di Trump.
Ma la grossa crisi d’identità del Partito Repubblicano, sebbene sia stata accentuata e accelerata dall’arrivo in politica di Trump, esisteva già da prima: da tempo il partito si sta spostando su posizioni sempre più estremiste, a volte in aperta opposizione a quelli che erano i princìpi del movimento conservatore anche soltanto una quindicina di anni fa. Anche qui le categorie sono complicate da definire: il Partito si è spostato verso la destra estrema se si parla di restrizione dei diritti civili e di scetticismo nei confronti del sistema democratico, ma in economia, come dicevamo, ha rinnegato i valori neoliberisti che per decenni hanno caratterizzato il conservatorismo americano.
Questo movimento di estremizzazione è avvenuto parallelamente anche nel Partito Democratico, come mostrano piuttosto bene i sondaggi sull’elettorato e le analisi delle posizioni dei rappresentanti politici, ma con una differenza sostanziale: soltanto le posizioni dei Repubblicani sono diventate in molti casi eversive, e mostrano un disprezzo nei confronti del sistema democratico, dello stato di diritto e delle libertà civili.
I gruppi ufficiali
Almeno formalmente, all’interno del Partito Repubblicano esistono gruppi ufficiali e istituzionalizzati che dovrebbero aiutare a comprendere meglio le posizioni e gli schieramenti all’interno del movimento conservatore. All’interno della Camera, per esempio, esistono cinque gruppi ufficiali, che i giornali definiscono “le cinque famiglie”. Sono: il “Problem Solvers Caucus”, il “Republican Governance Group”, il “Republican Main Street Caucus”, il “Republican Study Committee” e l’“House Freedom Caucus”. Questi gruppi sono entità istituzionalizzate, con una propria struttura e una certa riconoscibilità.
Di questi gruppi l’unico con una certa celebrità è il “Freedom Caucus”, che originariamente era il gruppo dei Repubblicani più libertari e favorevoli al libero mercato, ma che oggi raduna buona parte dei trumpiani più radicali. Marjorie Taylor Greene e Lauren Boebert, due deputate supertrumpiane, complottiste ed estremiste, fanno parte del Freedom Caucus.
A parte alcuni elementi generali, però, le “cinque famiglie” dei Repubblicani ormai non sono più un indicatore affidabile delle posizioni politiche dei loro membri. Per esempio il gruppo più numeroso, che è il “Republican Study Committee”, ha al suo interno deputati moderati e altri estremisti ed eversivi.
La nuova destra
Davanti alla difficoltà a usare le categorie e i raggruppamenti tradizionali, alcuni analisti hanno provato a crearne altre che rispecchino meglio la situazione. Alcuni hanno cominciato a parlare di una “nuova destra”, cioè di un nuovo schieramento in cui la distinzione principale non sia più quella tra destra e sinistra, ma tra liberalismo e illiberalismo (“liberalismo” qui è usato in maniera classica, per definire quella teoria politica che sostiene la democrazia e lo stato di diritto: è diverso da “liberal”, che nel gergo politico statunitense significa persona di centrosinistra).
Secondo questa classificazione, c’è un gruppo di Repubblicani che non è più disposto a rispettare le regole tradizionali della convivenza politica, tra cui il rispetto del processo democratico e dello stato di diritto, se questi vanno contro le sue convinzioni e i suoi obiettivi politici.
I Repubblicani che fanno pienamente parte di questo schieramento sono relativamente pochi: tra loro c’è JD Vance, un ex scrittore che è stato appena eletto al Senato grazie a un programma eccezionalmente populista, e Josh Hawley, il deputato diventato famoso perché fece il segno di vittoria ai rivoltosi che stavano per assaltare l’edificio del Congresso il 6 gennaio del 2021. I membri di questa “nuova destra” hanno attitudini e idee anche molto diverse tra loro: ci sono quelli vicini al suprematismo bianco, gli integralisti cattolici e i nazionalisti. Ma tutti sono convinti che la sinistra, e in particolare la sinistra “woke”, stia distruggendo lo stile di vita tradizionale americano, e che sia necessario fare di tutto per fermarla e distruggerla: anche a costo di danneggiare il sistema democratico.
Queste convinzioni ideologiche così forti però riguardano una minoranza di Repubblicani. La maggioranza non può essere definita parte integrante della “nuova destra”, ma si trova un po’ nel mezzo, e spesso ne condivide gli impulsi eversivi più per profitto elettorale che per convinzione. Lo mostra piuttosto bene il fatto che, per paura di inimicarsi Trump, quasi nessun Repubblicano abbia condannato l’assalto al Congresso del 2021. Chi l’ha fatto ha abbandonato la politica poco dopo, è stato espulso dal partito oppure ha perso le elezioni, segno che anche una parte consistente dell’elettorato condivide questi sentimenti.
Questo abbandono del Partito Repubblicano da parte delle figure più moderate è un fenomeno che non riguarda soltanto i rappresentanti eletti: alcuni funzionari, politici locali ed esperti stanno lasciando il partito perché non si riconoscono più nei suoi valori. Jimmy Gurulé, che era stato viceministro del Tesoro ai tempi di George W. Bush, di recente ha abbandonato il partito scrivendo che si è trasformato nel «culto di Trump».
Altre categorie
Nel tentativo di dare una struttura alla confusione del Partito Repubblicano, alcuni analisti hanno provato a creare categorie nuove. Quest’anno il sito FiveThirtyEight ha provato a immaginare le «cinque principali fazioni del Partito Repubblicano alla Camera» dividendole per attitudini politiche e ideologiche (qualche anno fa, nel 2019, aveva fatto lo stesso ma dividendole in base al rapporto che avevano con Trump).
Le fazioni sono: l’“establishment moderato”, cioè i membri più moderati e centristi del partito, che devono mantenere un «equilibrio precario» nel cercare di sostenere posizioni meno estremiste e più bipartisan senza fare arrabbiare troppo Trump e la “nuova destra”. L’“establishment conservatore” è una fazione più di destra ma che si mantiene nell’ambito del rispetto delle regole della democrazia, e che quasi sempre fa da tramite tra i moderati e i trumpiani più ideologici. L’“establishment di estrema destra”, infine, si sposta ancora più a destra.
Poi l’establishment finisce e cominciano i gruppi dei rivoltosi: ci sono i “conservatori del Tea Party”, che sono estremisti e populisti trumpiani ma sono mossi soprattutto dall’ideologia. Sono i Repubblicani ultraliberisti che nel decennio scorso facevano parte del Tea Party (una fazione del movimento conservatore piuttosto estrema che si formò negli anni di Barack Obama e sosteneva una forma populista e radicale del neoliberismo, unita a una buona dose di complottismo) e che oggi si sono riciclati come sostenitori di Trump.
Infine ci sono i “rivoltosi trumpiani”, cioè quelli che si considerano fedelissimi dell’ex presidente, come Matt Gaetz o Marjorie Taylor Greene, e che non sono mossi da particolari ideologie se non dall’odio nei confronti dell’establishment (e ne traggono vantaggio politico nel mentre). Molto spesso questi Repubblicani superano Trump in estremismo.