La Sicilia studia un piano contro gli incendi, a ottobre
Alla fine dell'estate i rischi si riducono e si dovrebbe pensare alla prevenzione, ma prima la Regione deve affrontare altri problemi
Martedì 3 ottobre il presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, ha incontrato i dirigenti del Corpo forestale regionale e della Protezione civile per studiare un piano contro gli incendi. Durante l’incontro si è discusso del bando per comprare nuovi mezzi, in particolare elicotteri e autobotti.
In autunno il rischio incendi è decisamente più basso rispetto all’estate, e per questo si potrebbe pensare che l’incontro sia stato organizzato in vista del prossimo anno. In realtà il presidente, gli assessori e i dirigenti hanno discusso soprattutto di problemi non risolti negli ultimi mesi e dei ritardi che hanno limitato l’attività di vigili del fuoco e forestali. “Schifani vara il piano antincendio, ma ormai è autunno”, ha titolato mercoledì Repubblica Palermo.
Secondo i dati dell’European forest fire information system (Effis), durante l’estate in Sicilia sono bruciati 62.561 ettari, uno dei dati peggiori degli ultimi anni. Soltanto nel comune di Palermo sono bruciati 4.314 ettari, il dato più alto da quando sono iniziati i rilevamenti, cioè dal 2008: sono quasi il 3 per cento del territorio comunale. In provincia di Palermo sono morte 5 persone e le fiamme hanno ucciso animali, distrutto fienili, stalle, case, auto, linee elettriche e telefoniche oltre a boschi, prati e campi coltivati.
Tutte le indagini fatte negli ultimi anni hanno spiegato che la maggior parte degli incendi ha origini dolose: la prima causa è l’eliminazione di erbe infestanti dai pascoli attraverso il fuoco e l’incendio come mezzo per eliminare alberi e arbusti su terreni da recuperare e poi coltivare. Un’altra causa è l’estorsione: gli incendi vengono appiccati per obbligare a pagare forme non richieste di protezione, il cosiddetto pizzo, oppure per lucrare sulle assicurazioni. Anche se molti politici hanno chiesto misure più severe contro i piromani, in realtà tutti gli studi e le indagini commissionate sul fenomeno degli incendi nelle regioni del sud hanno chiarito che l’impatto della piromania è trascurabile.
Un aspetto di cui la politica siciliana si occupa poco sono i cambiamenti climatici. In Sicilia, così come in molte altre regioni del Mediterraneo, è aumentata la frequenza di condizioni meteorologiche che favoriscono gli incendi. L’aumento delle temperature medie annuali e dei picchi di caldo, l’alterazione delle precipitazioni e l’aumento degli eventi estremi come ondate di calore e siccità favoriscono lo stress idrico della vegetazione rendendola molto infiammabile. Tutte queste condizioni, che fanno sì che gli incendi siano più difficili da spegnere e si diffondano su superfici più ampie, sono legate al cambiamento climatico dovuto alle attività umane.
Di tutto questo, tuttavia, non si è discusso durante l’incontro organizzato dalla Regione perché il sistema antincendio siciliano ha altri problemi persino più urgenti. Uno dei più concreti riguarda gli antiquati mezzi antincendio: i più recenti in dotazione ai forestali sono stati immatricolati 15 anni fa.
Nel 2021 l’allora presidente Nello Musumeci, oggi ministro della Protezione civile, aveva predisposto una gara di appalto per acquistare 126 nuove autobotti. Come rivelato da diversi giornali siciliani, ne sono arrivate soltanto 18. Uno dei mezzi antincendio con capacità di 10mila litri di acqua è ancora fermo in un parcheggio della comando forestale a Palermo e nei magazzini ci sono circa 490 kit con dispositivi di protezione individuali per i forestali acquistati a giugno.
Secondo la ricostruzione fatta da Repubblica Palermo, l’azienda che deve fornire i pick up e le autobotti ha chiesto più tempo per la consegna a causa dei ritardi dovuti alle conseguenze della guerra in Ucraina sulle importazioni e sui costi dei materiali. Il presidente Schifani ha discusso di un possibile nuovo bando per l’acquisto di ulteriori nuovi mezzi e anche di due elicotteri all’avanguardia, con una maggiore capacità di carico di liquido antincendio. In Italia soltanto la Sardegna è dotata di un mezzo simile, chiamato Super Puma, che costa oltre 25 milioni di euro.
L’unico vero intervento di prevenzione riguarda il richiamo ai comuni che non controllano il loro territorio. La scarsa pulizia di terreni e la rimozione di plastica e copertoni, peraltro obbligatoria secondo un’ordinanza della stessa Regione, è uno dei motivi per cui gli incendi sono stati così vasti. Oggi sono pochi i comuni che impongono ai privati la pulizia di campi e boschi con qualche severità.
Da anni associazioni, sindaci e gli stessi operatori forestali chiedono alla Regione di finanziare opere di prevenzione nei mesi invernali per farsi trovare pronti in estate. Uno degli interventi più lungimiranti sarebbe la sistemazione delle strade sterrate e la rimozione dei muretti crollati che spesso impediscono ai vigili del fuoco di raggiungere agevolmente la zona in cui si è sviluppato l’incendio. A causa di questo problema ogni anno moltissimi incendi devono essere spenti a secco, cioè senza autobotti, ma con pala e vanga, a mano.
Anche le regole del catasto incendi non vengono rispettate. Il catasto incendi ha una serie di divieti, prescrizioni e sanzioni per chi costruisce o comunque interviene su aree incendiate. Per esempio, i boschi e i pascoli incendiati non possono avere una destinazione diversa da quella precedente all’incendio per almeno quindici anni: questa legge è stata pensata per evitare che venissero appiccati incendi con l’obiettivo di sfruttare i terreni e costruirci sopra. Il censimento dovrebbe essere fatto dai comuni, ma 127 non l’hanno mai fatto negli ultimi anni e per questo la regione ha deciso di inviare commissari chiamati ad aggiornare il catasto delle aree incendiate al posto delle amministrazioni.
Secondo diverse associazioni ambientaliste, negli ultimi anni tutte le amministrazioni locali coinvolte nella prevenzione non hanno fatto abbastanza e per questo motivo l’emergenza si è ormai cronicizzata. Legambiente ha chiesto provvedimenti più concreti, come il divieto permanente di bruciare le stoppie (i residui di una coltivazione o della mietitura) e di estendere il divieto di pascolo e di caccia per dieci anni su tutte le aree in cui è divampato un incendio. L’associazione ha chiesto alla Regione di iniziare una nuova campagna di sensibilizzazione sugli incendi, così da favorire un controllo del territorio maggiore. La Regione ha detto di voler ampliare la durata della campagna antincendio facendola partire in anticipo, una promessa che in realtà è stata ereditata negli ultimi anni e a cui non sono mai seguiti provvedimenti concreti.