Il naufragio che mise i migranti al centro del dibattito italiano
Dieci anni fa 368 persone partite dalla Libia morirono a Lampedusa, in una delle più gravi stragi nella storia del Mediterraneo
Alle 7:01 del 3 ottobre 2013 la capitaneria di porto di Lampedusa ricevette una chiamata via radio sul canale riservato alle emergenze. «Qui è una barca, siamo in mezzo al mare, di fronte alla Tabaccara: ci sono dei clandestini in acqua», disse un uomo con un tono di voce concitato. La barca da cui chiamava era la Gamar ed era ormeggiata vicino a una delle baie più apprezzate dell’isola, per via delle sue acque chiarissime. Le otto persone sulla Gamar erano arrivate lì la sera prima, avevano dormito a bordo e stavano per andare a pesca di tonni.
Nei minuti successivi soccorsero a bordo della Gamar 47 persone migranti, strette in pochi metri quadri. Moltissime altre affogarono davanti ai loro occhi. «Sono tutti in acqua, non c’è una barca», ripetè l’uomo alla capitaneria di porto, alle 7:08. «Uscite veloci, c’è un sacco di gente in acqua, la barca sarà affondata», disse alle 7:09.
Ormai da diversi anni a Lampedusa arrivavano barche dalla Libia o dalla Tunisia, con a bordo decine di migranti che cercavano di raggiungere l’Italia. Anche nella notte fra 2 e il 3 ottobre sull’isola erano arrivati dei barchini di migranti. I numeri dei flussi però rimanevano piuttosto contenuti: in tutto il 2012 erano sbarcati in Italia 13.267 migranti, circa un ottavo di quelli arrivati via mare nel 2022.
Le autorità italiane si resero conto delle dimensioni del naufragio soltanto quando arrivarono sul posto, circa un’ora dopo. Nei giorni successivi in tutto vennero recuperati 368 corpi. Era il più grave naufragio di migranti avvenuto vicino a Lampedusa fino a quel momento. Ancora oggi rimane uno dei più gravi avvenuti nel Mar Mediterraneo negli ultimi decenni.
La notizia del naufragio fu ripresa in tutto il mondo e i giornali italiani ne parlarono per settimane. Anche in seguito a quelle attenzioni, due settimane dopo il naufragio l’allora governo italiano guidato da Enrico Letta avviò una operazione militare per soccorrere i migranti che cercavano di raggiungere l’Italia via mare, chiamata Mare Nostrum. Da allora ogni anno a Lampedusa il 3 ottobre viene ricordato con una cerimonia pubblica. Dal 2016 inoltre una legge italiana prevede che il 3 ottobre si celebri la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione.
Le circostanze del naufragio furono chiare quasi subito, per via delle molte testimonianze delle persone superstiti. L’imbarcazione su cui erano a bordo era un vecchio peschereccio a due piani. Era partito il primo ottobre da Misurata, una importante città costiera nell’ovest della Libia. A bordo c’erano più di 500 persone, in gran parte eritree. Allora come oggi l’Eritrea era un paese poverissimo e a guida autoritaria, da cui ogni anno decine di migliaia di persone cercano di scappare per arrivare in Europa.
L’imbarcazione era riuscita ad arrivare vicino a Lampedusa nella notte fra il 2 e il 3 ottobre. A quel punto la persona che guidava l’imbarcazione aveva cercato di attirare l’attenzione delle persone sull’isola bruciando una maglietta. Le fiamme avevano spaventato i migranti, impauriti e stanchi dopo due giorni di traversata. A causa del movimento improvviso l’imbarcazione si era ribaltata, affondando in pochi minuti.
Moltissime delle persone a bordo erano sistemate nella stiva, come succede spesso negli ex pescherecci usati dai trafficanti di esseri umani: al piano inferiore è più facile ripararsi dal sole e sdraiarsi per riposare. Le persone che in quel momento si trovavano nella stiva morirono quasi subito, annegate. Le altre si buttarono in mare gridando, nel tentativo di attirare l’attenzione di qualcuno. Non è chiaro quanti di loro sapessero nuotare.
I primi a sentirli furono gli uomini a bordo della Gamar. Negli anni successivi Vito Fiorino, il proprietario della barca, ha raccontato spesso cosa successe nelle ore seguenti in libri, interviste e incontri pubblici.
«Sentivamo bracciate e urla. Vedevo la gente affondare e perdere la vita. Non riuscivano a darmi aiuto, erano esausti e scivolavano dalle mie mani perché erano coperti di gasolio», ha raccontato di recente alla Stampa. Le persone da soccorrere erano così tante che Fiorino e gli altri non riuscirono a portare a bordo tutti. A un certo punto, per esempio, videro tre uomini vicino alla Gamar, e due donne più lontano. «Non me la sono sentita di fare una scelta, ma tre erano più di due. E allora abbiamo salvato i tre ragazzi che erano vicini a noi, e le due donne io le ho viste andare a fondo», ha detto.
In quei giorni a Lampedusa una delle persone più impegnate nei soccorsi fu Pietro Bartolo, un ginecologo che dal 1993 era responsabile del piccolo poliambulatorio di Lampedusa. Per via del suo incarico Bartolo è stato per anni una delle prime persone che i migranti sbarcati a Lampedusa incontravano, una volta arrivati nell’unico molo dell’isola: a ogni sbarco il personale medico visita rapidamente tutti i migranti, per individuare eventuali feriti gravi o persone con malattie infettive.
La mattina del 3 ottobre Bartolo si trovava già al molo, perché nella notte c’erano stati alcuni sbarchi. Fu lui a visitare le persone soccorse da Fiorino e dalle altre persone sulla Gamar. Poco dopo arrivò al molo un pescatore lampedusano, che aveva soccorso 17 persone e recuperato alcuni corpi. Bartolo esaminò i superstiti e si accertò che i corpi, sistemati dai vigili del fuoco in alcuni sacchi, appartenessero davvero a persone morte. Aprendo il sacco che conteneva una ragazza, Bartolo si accorse che era ancora viva: fu portata in poliambulatorio e rianimata, e sopravvisse. Si chiama Kebrat, oggi vive in Svezia.
Poco dopo averla rianimata, Bartolo tornò al molo. Anche lui si accorse in quel momento, ore dopo il naufragio, di quante persone fossero effettivamente morte. «La capitaneria mi aveva avvertito, ma io non pensavo che ci sarebbero stati tanti morti», raccontò al Manifesto. «Quando sono tornato sulla banchina ho trovato 111 sacchi. Stavo così male che ho vomitato, ho pianto. Dovevo fare le ispezioni cadaveriche, quindi dovevo aprire i sacchi e avevo paura di cosa avrei trovato dentro: un bambino, una donna. Una cosa che mi ha impressionato è che dentro quei sacchi c’erano tanti bambini vestiti a festa. Le mamme li avevano preparati perché erano arrivati in Europa».
La commozione pubblica per il naufragio di Lampedusa fu enorme. Il presidente del Consiglio Enrico Letta volò a Lampedusa, e per giorni si parlò della possibilità di tenere un funerale di Stato per le persone morte. Papa Francesco, che pochi mesi prima aveva fatto la prima visita ufficiale del suo papato a Lampedusa, definì il naufragio «una vergogna». Anche le prime pagine dei quotidiani italiani usarono espressioni simili, nei giorni successivi al naufragio.
I politici e i giornali di destra, già allora con posizioni ostili all’immigrazione, usarono invece toni diversi.
Il Giornale titolò “Trecento morti di buonismo”, usando un’espressione allora molto diffusa per descrivere un approccio favorevole all’accoglienza dei migranti. Matteo Salvini, che pochi mesi dopo sarebbe diventato segretario della Lega, intervistato da Porta a Porta disse che «non possiamo pensare di risolvere i problemi dell’Africa importando un miliardo di schiavi», e auspicò «leggi più severe» per scoraggiare l’immigrazione. Giorgia Meloni chiese al governo di «rafforzare il coordinamento UE del pattugliamento delle frontiere esterne e potenziare gli accordi con i paesi terzi sulla riammissione dei migranti extracomunitari respinti», due misure che sostiene ancora oggi, da presidente del Consiglio, e che in parte sta cercando di applicare con le misure prese dal suo governo sull’immigrazione.
In quel momento però il governo Letta era sostenuto dal centrosinistra e da Forza Italia, e a fronte del progressivo aumento di migranti che cercavano di raggiungere l’Italia via mare prese una decisione molto diversa. Il 14 ottobre approvò una missione navale che aveva come obiettivo «il salvataggio di più vite umane possibile», come ricordò lo stesso Letta l’anno successivo in un articolo ospitato da Avvenire. L’operazione si chiamava Mare Nostrum e nell’anno in cui rimase attiva soccorse 100.250 persone, secondo i numeri forniti nell’ottobre del 2014 dal ministro dell’Interno Angelino Alfano.
In pochi mesi però il clima politico sull’immigrazione cambiò. I partiti di destra accusarono Mare Nostrum di alimentare le partenze di migranti dal Nord Africa (senza fornire prove concrete). Anche all’interno del Partito Democratico, di cui faceva parte Letta, aumentarono le voci critiche. «Si temeva di perdere voti, con quella missione», disse Letta anni dopo. Nel febbraio del 2014 il PD spinse Letta alle dimissioni e lo sostituì con l’allora segretario del partito Matteo Renzi.
Pochi mesi dopo Renzi fece chiudere Mare Nostrum e la sostituì con Triton: un’operazione molto più piccola e che non aveva l’obiettivo di soccorrere i migranti, ma di presidiare i confini marittimi dell’Unione Europea grazie al coinvolgimento della neonata agenzia Frontex.
Da allora i governi italiani non hanno più avviato operazioni di soccorso simili a Mare Nostrum, e l’approccio dei governi che si sono succeduti (di tutti gli orientamenti) e dell’Unione Europea ha previsto soprattutto accordi con i paesi di partenza dei migranti perché li blocchino con la forza. Un approccio che ha ridotto gli arrivi via mare in Europa ma ha aumentato le sofferenze dei migranti nei paesi di partenza e le morti in mare, per via della progressiva sparizione delle navi militari e civili attive nella ricerca e soccorso.
Il progetto Missing Migrants dell’agenzia ONU per i migranti stima che la rotta migratoria dal Nord Africa verso l’Italia sia la più pericolosa al mondo: dal 2014 ad oggi sono morte in mare almeno 22mila persone che l’hanno percorsa.
Vicino a Lampedusa ci sono stati altri naufragi: ad agosto per esempio almeno 40 persone sono morte nel naufragio di un barchino. Ma è sempre più raro che grosse imbarcazioni di migranti riescano a raggiungerla: sia perché spesso vengono intercettate dalla cosiddetta Guardia costiera libica, sia perché negli anni la qualità delle imbarcazioni utilizzate dai trafficanti è progressivamente diminuita.