Come la Cina ha rubato da Hollywood i segreti per fare i blockbuster
Per anni ha chiamato registi, sceneggiatori e maestranze americane, imparando quello che serve per fare film ad alto budget
di Gabriele Niola
Il cinema cinese oggi è un’industria molto più grande di quella che era quindici anni fa. È capace di produrre film ad alto budget, spettacolari e attraenti per il pubblico cinese tanto quanto lo possono essere gli equivalenti americani. Ad aumentare prima le dimensioni del pubblico e poi la capacità di girare film che possano piacere a un pubblico molto vasto sono stati proprio gli americani, nel corso più o meno di dieci anni.
In quell’arco di tempo la Cina si è aperta sia all’importazione delle più importanti produzioni hollywoodiane, capaci di creare un pubblico per i cinema, riempire le sale se non proprio giustificarne l’apertura di nuove, e poi all’ingresso di maestranze straniere sui loro set per imparare le tecniche e le modalità di lavoro. Il paese si era aperto così tanto e si era rivelato economicamente così importante che Hollywood aveva iniziato a studiare come andare incontro al gusto cinese. Adesso però il cinema cinese è uno dei pochissimi nel mondo che non ha bisogno dei film americani per generare incassi elevati.
Quando nel 2014 il film americano Transformers 4 – L’era dell’estinzione fu l’incasso maggiore della storia della Cina, fu anche la prima volta che un film americano di quelle dimensioni guadagnava in Cina più di quanto avesse incassato negli Stati Uniti (300 milioni di dollari contro 240 milioni). Due anni dopo un clamoroso insuccesso negli Stati Uniti, Warcraft: l’inizio, sembrava non potesse recuperare i soldi del proprio budget e fu invece a sorpresa salvato dal botteghino cinese. Quel film era costato 160 milioni di dollari e ne aveva incassati solo 47 milioni negli Stati Uniti, ma l’uscita cinese gli fece guadagnare altri 220 milioni di dollari portandolo in attivo. Lungo tutti gli anni Dieci del 2000 in Cina sono state costruite nuove sale ed è aumentato il totale delle persone che vanno al cinema. Gli incassi che consentirono a Transformers 4 di essere il film dal guadagno maggiore nella storia del paese furono 2 miliardi di yuan (circa 278 milioni di dollari), nel 2021 il nuovo detentore del titolo ha incassato 5,7 miliardi di yuan, più del doppio.
Ci sono voluti diversi anni perché l’industria cinese capisse come attirare registi, sceneggiatori, attori e maestranze americane per imparare da loro. Ci aveva provato nella prima parte degli anni Dieci senza particolare fortuna. Il risultato di questi primi tentativi fu l’uscita di due film che in modi diversi erano sembrati delle scuse per far lavorare in Cina professionisti di Hollywood. Prima, nel 2015, La battaglia degli imperi – Dragon Blade, un film cinese di “cappa e spada”, cioè di avventure ambientate in epoche passate, con mostri fantastici, una grande star locale (Jackie Chan) e due star di seconda fascia del cinema americano (John Cusack e Adrien Brody). La trama faceva incontrare guerrieri occidentali e imperi cinesi lungo la Via della seta, e oltre ai due attori americani erano state impiegate anche alcune maestranze statunitensi.
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Poi, nel 2016, era uscito un film di genere simile, The Great Wall, ma di produzione molto più prestigiosa e diretto da Zhang Yimou, il regista più importante in quegli anni per il governo cinese, quello dei film come Hero e La foresta dei pugnali volanti. The Great Wall era proprio una co-produzione tra Cina e Stati Uniti con attori come Matt Damon, Pedro Pascal e Willem Dafoe, accanto a star locali come Andy Lau, uno sceneggiatore come Tony Gilroy (che aveva scritto tutta la saga d’azione di Jason Bourne) e tante maestranze miste.
È frequente che troupe americane girino film in paesi che non sono gli Stati Uniti e che lo facciano con maestranze locali, così da usufruire degli incentivi fiscali dei paesi in cui girano. Esiste quindi a Hollywood una grande abitudine a lavorare con gli stranieri in paesi stranieri, eppure i resoconti che erano arrivati da chi aveva preso parte a quelle produzioni raccontavano di comportamenti inusuali. Le controparti cinesi ogni giorno sul set prendevano più appunti di quello che sembrava necessario e facevano foto di tecnologie, piani di lavorazione o anche proprio di tecniche adottate dagli americani per raggiungere certi obiettivi.
Allo stesso modo poi anche gli sceneggiatori cinesi, dopo la prima stesura, avevano consegnato i copioni agli scrittori americani chiedendo di renderli più hollywoodiani, così da vedere poi cosa era stato modificato. Un elemento molto frequente nei copioni commerciali cinesi dell’epoca per esempio era che l’eroe rimaneva immutato dall’inizio alla fine, perché l’idea tradizionale di un destino ineluttabile regolava la narrazione. Si trovava in diversi film almeno fino al 2010, mentre oggi è più raro e anche nei film cinesi gli eroi hanno archi narrativi che li trasformano lungo la storia, come nei film occidentali. Sono artefici del proprio destino: il povero può diventare ricco, l’emarginata può diventare popolare e via dicendo.
Era anche capitato che alcune produzioni cinesi avessero chiesto a cineasti europei con abilità specifiche di dirigere film per loro, così da imparare come girare film di generi popolari. Lo aveva raccontato Jean-Jacques Annaud, regista francese che a un certo punto della sua carriera si era specializzato in film di successo con animali (il più famoso e radicale fu L’orso nel 1988). Lui, che ebbe anche grandi esperienze hollywoodiane, fu approcciato da produttori cinesi in quegli anni per girare quello che poi è diventato L’ultimo lupo, una produzione franco-cinese. Racconta Annaud che il film si fece nonostante lui avesse inizialmente rifiutato l’incarico, facendo notare ai produttori di essere stato dichiarato persona non gradita in Cina. Il motivo era stato lo stesso per cui poi lo avevano voluto, e cioè il grande successo di un suo famoso film americano, nel quale aveva raccontato la storia del Dalai Lama: Sette anni in Tibet con Brad Pitt. La prospettiva sulla questione tibetana non era piaciuta alla Cina, che però si rese poi conto che Annaud poteva essere utile.
L’ultimo lupo fu un grande successo economico che avrebbe potuto anche concorrere per l’Oscar al miglior film straniero, se non fosse stato bloccato proprio dalla sua natura ibrida, cioè dal fatto che una percentuale troppo alta della troupe non era cinese e quindi (secondo il regolamento degli Oscar) il film non poteva rappresentare quel paese.
Tuttavia il regista da cui i professionisti del cinema cinesi sembrano aver appreso i meccanismi americani con maggiore sistematicità è stato Renny Harlin. Il nome non è molto noto, nonostante qualche film di successo negli anni ’90, come 58 minuti per morire (cioè Die Hard 2, il sequel di Trappola di cristallo con Bruce Willis) nel 1990 e Cliffhanger con Sylvester Stallone nel 1993. Dopo questi film la carriera di Harlin si era fermata per via dello scarso successo del film Corsari nel 1995, che fu anche il motivo per cui sarebbe stato contattato anni dopo da alcuni produttori cinesi.
Corsari è un film di pirati che Harlin girò con sua moglie Geena Davis e Matthew Modine come protagonisti, un film pensato per un larghissimo pubblico che fu invece uno dei più grandi insuccessi degli anni Novanta. Costato 100 milioni di dollari, ne incassò solo 10 milioni, entrando nel Guinness dei primati come il più grande flop di sempre (negli anni è stato superato da altri cinque film e il detentore del titolo oggi è John Carter, con circa 200 milioni di perdite). Da lì in poi Harlin è diventato un regista per produzioni minori e quando occasionalmente ha provato qualcosa di più ambizioso non è andata bene. Accadde quando fu chiamato a sistemare un prequel ufficiale di L’esorcista subentrando a Paul Schrader (L’esorcista – La genesi) o quando nel 2014 tentò un film su Hercules (Hercules – La leggenda ha inizio), oscurato da un altro film sullo stesso soggetto dello stesso anno con una star decisamente maggiore, Dwayne Johnson (Hercules: il guerriero).
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A seguito di quell’Hercules sfortunato, Harlin fu avvicinato dai produttori cinesi della società di produzione Wanda, che gli chiesero di realizzare un film con attori cinesi e americani come già era successo con La battaglia degli imperi e The Great Wall. Ne uscì nel 2016 Skiptrace con Jackie Chan, Johnny Knoxville (famoso per la trasmissione tv e poi i film Jackass) e Fan Bingbing (qualche anno dopo al centro di un caso di sparizione). Il film fu un successo. A differenza dei casi precedenti però Wanda aveva anche l’obiettivo di trovare un regista che potesse rimanere in Cina per istruire le maestranze, gli sceneggiatori e tutti i comparti a fare film come gli americani. Skiptrace fu il primo esperimento e, andato bene quello, Harlin si trasferì a vivere a Pechino. Come lui stesso spiegò poi al South China Morning Post, proprio il suo profilo di regista esperto dei meccanismi dell’industria americana ma anche dalla carriera sfortunata, gli aveva consentito di poter tentare questa avventura, perché aveva poco da perdere negli Stati Uniti.
Negli anni successivi Harlin girò in Cina Legend of the Ancient Sword e Bodies at Rest, due film interamente cinesi senza star americane. Il primo era un classico cinese in costume pieno di effetti speciali, il secondo viene descritto dallo stesso Harlin come «Trappola di cristallo in un obitorio». Gli incassi non furono come quelli di Skiptrace (nel caso di Legend of the Ancient Sword furono proprio disastrosi), ma l’impiego di Harlin fu funzionale a un’operazione più grande.
Il problema della Cina è infatti che raramente i grandissimi film hollywoodiani vengono girati sul suo territorio, come invece capita spesso in Italia, e quindi raramente i professionisti cinesi del cinema hanno un contatto con quel modo di lavorare. Harlin, nonostante non parlasse cinese e dovesse sempre avere un interprete sul set, poteva influire direttamente, cambiare le attrezzature dei singoli comparti, spiegare come si organizza un flusso di lavoro per arrivare a risultati elevati senza impiegare troppo tempo, e aveva trovato una maniera per mettere insieme gli elementi di successo delle storie come le racconta Hollywood con le particolarità culturali cinesi.
Tutti questi sforzi insieme (quelli di Harlin, ma anche le co-produzioni e gli esperimenti più diversi) hanno fatto in modo che negli anni i film cinesi raggiungessero capacità di ritmo, dialogo e gestione dei registri (come quando si contamina un po’ di commedia con un po’ di dramma, o una storia cupa con qualcosa di tenero) molto vicine agli standard di Hollywood. Per esempio la sceneggiatura di Bodies at Rest (il terzo film cinese di Harlin) era stata adattata da un copione americano mai realizzato, con un’operazione non solo di traduzione ma anche di adattamento a quello che il pubblico cinese si aspetta da un film.
Lavorando a quell’adattamento Harlin aveva notato uno dei molti problemi che avevano impedito fino a quel momento all’industria cinese di raggiungere standard americani: la mancanza di professionisti che parlassero fluentemente sia inglese che cinese e che avessero anche una formazione da sceneggiatori. I remake di film americani in Cina non avevano mai funzionato perché chi traduceva le sceneggiature non era in grado di adattarle se non pedissequamente. Serviva invece qualcuno che sapesse maneggiare la scansione di una storia, i ritmi, gli archi dei personaggi e i generi in modo che i cambiamenti da apportare non ne stravolgessero il senso o i punti di forza.
Harlin propose quindi di scrivere lui la sceneggiatura di Bodies at Rest, da zero, avendo letto quella americana e avendo capito dalla versione cinese cosa era necessario cambiare. Per esempio il fatto che, a differenza di quel che si vede nei film americani, in quelli cinesi non ci può essere un eroe che da solo sconfigge i cattivi: serve invece che alla fine il protagonista sia aiutato dall’arrivo della polizia o degli organi ufficiali, che con la loro efficienza lo salvano e arrestano (o uccidono, a seconda dei casi) i cattivi. Un altro esempio fatto da Harlin riguarda l’umorismo: il sarcasmo che spesso si trova nei film a cui aveva lavorato non funziona bene in Cina, dove invece sono preferite le gag fisiche, specie se ben ritmate.
Negli anni successivi il cinema cinese è riuscito a far uscire con sempre maggiore regolarità film dall’incasso elevato. Usciti dal loro paese questi film però non trovano lo stesso successo, sebbene alcuni, spinti dalla loro eccezionalità, siano stati distribuiti in Italia. È stato il caso nel 2020 di 800 eroi, in cui si vede molto bene come standard hollywoodiani di gestione dello spettacolo si siano fusi con particolarità cinesi (è un film militare in cui non c’è l’eccezionalismo individuale ma un “eroe massa”, cioè gli 800 soldati del titolo). In particolare poi ha fatto parlare di sé The Battle at Lake Changjin, un film di guerra che nel 2021 è diventato il film di maggiore incasso di sempre nella storia della Cina, nonostante i cinema cinesi fossero ancora in difficoltà per le restrizioni dovute alla pandemia.
Il caso che racconta meglio come mezzi e strategie siano cambiate in poco tempo però è forse quello di Wolf Warrior e del suo sequel. Il primo film nel 2015 aveva realizzato un buon incasso (l’equivalente di 80 milioni di dollari), ed era una produzione cinese di guerra con un attore americano d’azione, il marzialista Scott Adkins. Il suo sequel, uscito solo due anni dopo, di nuovo con attori americani come Frank Grillo ma con ambizioni e budget superiori, incassò 800 milioni ed è il secondo film più visto di sempre in Cina. Non è un caso che siano tutte produzioni di guerra, il genere più importante al momento, estremamente patriottico e di propaganda. Wolf Warrior 2 racconta di un gruppo di militari d’élite e le missioni in cui sono coinvolti spesso spalleggiano decisioni e questioni in cui è coinvolta effettivamente la Cina, come quelle nei paesi africani. Non è diverso da come negli anni ’80 Hollywood raccontava e cercava di far accettare agli statunitensi la politica estera del loro paese attraverso film di guerra che la esaltassero.
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Oggi, anche per via dei mutati rapporti politici tra Cina e Stati Uniti, i film americani non vengono più distribuiti nelle sale cinesi come prima, almeno non sempre e non con la continuità che aveva giustificato lungo gli anni Dieci un cambio di mentalità a Hollywood e una rincorsa dei gusti del pubblico cinese. Al momento la Cina non sembra avere più bisogno di importare così tanti blockbuster dal resto del mondo, e se lo fa spesso non sono distribuiti in tante sale. Nonostante le chiusure dovute alla pandemia rendano difficile paragonare gli incassi degli ultimi anni con quelli del passato, l’impressione è che l’industria oggi sia in grado di reggersi da sola senza appoggiarsi a film stranieri e che il periodo di apprendimento sia in un certo senso terminato.
Renny Harlin dopo Bodies at Rest aveva detto di volersi dedicare a Operation Somalia, un film di guerra che sarebbe entrato nella scia di Operation Red Sea (un grande successo del 2018) e Operation Mekong (del 2016). Poi era sembrato dovesse girarne uno diverso intitolato Operation Wild e i giornali di settore americani avevano anche annunciato la produzione di The Successor, una serie tv coprodotta tra Stati Uniti e Cina. Dopo diversi annunci di questi progetti non si è più saputo nulla e Harlin non ha più lavorato in Cina. Le sue produzioni successive sono stati film finlandesi (paese di cui è originario) o co-produzioni tra Stati Uniti e altre nazioni europee.