Approvare aiuti all’Ucraina diventerà sempre più complicato
Lo mostrano gli ultimi dibattiti sul budget americano e la vittoria del filorusso Robert Fico in Slovacchia
Nell’ultima legge approvata sabato dal Congresso statunitense per finanziare le attività dello stato fino a metà novembre, per la prima volta in vari mesi non è presente una voce di spesa che riguardi l’Ucraina: non sono presenti nuovi fondi per inviare armi e mezzi a sostegno della resistenza ucraina.
Questa legge è il risultato di condizioni peculiari: è un compromesso raggiunto all’ultimo minuto tra Repubblicani e Democratici per evitare lo shutdown, cioè la chiusura parziale delle attività del governo federale, e per questo non è ritenuta indicativa di un grosso cambiamento politico: gli Stati Uniti rimangono determinati a sostenere l’Ucraina, ma il fatto che i fondi siano stati oggetto di un grosso dibattito politico in questi giorni mostra che nella politica americana è ormai venuta meno l’unanimità sulla questione, e che approvare nuovi finanziamenti di armi potrebbe diventare via via più complicato.
Alle divisioni negli Stati Uniti si aggiungono quelle nell’Unione Europea, dove nel fine settimana ha vinto le elezioni in Slovacchia il partito di Robert Fico, un populista filorusso che in campagna elettorale aveva annunciato la sua intenzione di non inviare «nemmeno un proiettile» in Ucraina. Se riuscirà a formare un governo, cosa molto probabile, Fico unirà probabilmente le forze con Viktor Orbán, populista filorusso che governa l’Ungheria, per cercare di rendere più complicato l’invio di aiuti da parte dell’Europa.
Né i tentennamenti legislativi americani né le vittorie di leader filorussi in Europa indicano che sia in corso un cambiamento delle politiche che finora hanno sostenuto la resistenza ucraina. Ma sono il sintomo di due fenomeni che alla lunga potrebbero diventare preoccupanti per il governo ucraino: anzitutto, il fatto che parte dell’opinione pubblica occidentale cominci a mostrare stanchezza davanti all’idea di sostenere l’Ucraina in una guerra che probabilmente si prolungherà ancora nel tempo. Questo benché in realtà sia negli Stati Uniti sia in Europa i sondaggi continuino a mostrare che la maggioranza della popolazione rimane favorevole a sostenere l’Ucraina (l’Italia è un’eccezione negativa).
In secondo luogo, le divisioni degli ultimi giorni mostrano come il sostegno all’Ucraina sia ormai diventato una questione di dibattito politico. Soprattutto negli Stati Uniti, fino a poco tempo fa l’invio di armi all’Ucraina aveva una specie di status speciale: era ritenuto una priorità sia dai Democratici sia dai Repubblicani, che approvavano i nuovi finanziamenti praticamente all’unanimità. Adesso invece una parte dei Repubblicani ha capito che può approfittare della stanchezza nei confronti della guerra per trarne vantaggi a livello politico, e per questo ha cominciato a mettere in discussione nuovi fondi: non significa che impediranno l’invio di altre armi all’Ucraina, ma che la questione ha perso il suo status speciale, e che da ora in poi sarà oggetto di trattative e negoziati.
La legge approvata sabato al Congresso, quella che esclude temporaneamente nuovi aiuti all’Ucraina, è un buon esempio di quello che sta succedendo. È il risultato di condizioni molto specifiche.
Nel sistema americano, semplificando molto, spetta al Congresso approvare le spese del governo: questo riguarda sia le spese correnti, come per esempio gli stipendi dei dipendenti pubblici, sia le spese militari, che devono essere autorizzate di volta in volta. Se periodicamente il Congresso non autorizza il budget federale, le attività del governo vanno in shutdown, cioè si bloccano parzialmente: gli stipendi pubblici non vengono più pagati, molte attività chiudono e così via.
Come succede ormai piuttosto di frequente, parte dei Repubblicani più radicali ha deciso di usare questo sistema per ricattare il governo e minacciare lo shutdown se non fossero state esaudite le richieste, che prevedevano tra le altre cose grossi tagli alla spesa pubblica e un’interruzione degli aiuti all’Ucraina. Ne sono seguite trattative piuttosto frenetiche, che si sono concluse a poche ore dal momento in cui sarebbe dovuto scattare lo shutdown.
Il Congresso è riuscito a far passare una legge provvisoria che finanzia le attività federali fino a metà novembre (quando il problema si ripresenterà), ma ha deciso di escludere fino ad allora nuovi finanziamenti a sostegno dell’Ucraina: non perché non ci sarebbe la maggioranza per approvarli, ma perché lo speaker Repubblicano della Camera Kevin McCarthy ha deciso che, almeno su questo punto, avrebbe accontentato i Repubblicani più radicali che minacciavano di bloccare tutto.
Come ha scritto il Financial Times, il governo americano ha a disposizione ancora circa cinque miliardi di dollari già approvati dal Congresso in sessioni precedenti per inviare aiuti all’Ucraina. Considerando che finora gli Stati Uniti hanno inviato all’Ucraina circa 2,7 miliardi di dollari al mese, significa che possono continuare a sostenere il paese per poco meno di due mesi. Dopo sarà necessario ottenere una nuova autorizzazione dal Congresso.
Non dovrebbe essere difficile farlo, perché al Congresso c’è ancora un’ampia maggioranza a favore del sostegno all’Ucraina, sia tra i Democratici sia tra i Repubblicani. In teoria, spetterebbe allo speaker della Camera McCarthy mettere ai voti una proposta per rifinanziare gli aiuti all’Ucraina. Ma in questo momento McCarthy è al centro di un grosso scontro con l’ala più radicale dei Repubblicani, che rischia di rallentare o rendere più complicato il voto.
La maggior parte degli esperti ritiene che in un modo o nell’altro gli Stati Uniti continueranno a inviare aiuti militari all’Ucraina, anche se il dibattito e gli scontri al Congresso diventeranno sempre più duri e complicati.
Le cose potrebbero cambiare se alle elezioni dell’anno prossimo dovesse essere eletto Donald Trump, che quasi certamente sarà il candidato del Partito Repubblicano e che è notoriamente scettico nei confronti dell’Ucraina. Ma se anche dovesse vincere le elezioni, Trump non entrerà in carica prima di gennaio 2025.
Lo stesso vale per l’Europa, dove il consenso generale è ancora ampiamente a favore del sostegno all’Ucraina, ma dove alcuni paesi cominciano a mostrare una certa stanchezza. Oltre all’elezione di Fico in Slovacchia e alla nota avversità di Orbán in Ungheria, il 20 settembre anche la Polonia, che fino a quel momento era stata un alleato fedele, ha detto che smetterà di inviare alcune armi all’Ucraina (anche se poi il presidente ha smentito il primo annuncio, e non è chiaro come cambieranno le politiche polacche adottate fin qui sul tema).