Le piazze di spaccio nel Parco Verde non ci sono più
Dopo lo stupro delle due ragazzine a Caivano il quartiere è militarizzato, ma la camorra e i problemi non se ne sono andati
di Angelo Mastrandrea
Nel Parco Verde di Caivano, il quartiere alla periferia settentrionale dell’area metropolitana di Napoli, i posti di blocco dei carabinieri e della polizia hanno sostituito le vedette della camorra con i passamontagna e i walkie talkie. Gli appartamenti con le porte blindate e i giardini con i cancelli e le inferriate al pianterreno dei palazzi sono chiusi. Non c’è più il via vai di persone che arrivavano da ogni parte della Campania con auto, bus e moto per acquistare una bustina di eroina o per fare una spesa all’ingrosso di droghe da spacciare a loro volta nei luoghi di provenienza. Lungo i viali sono scomparsi pure i venditori di siringhe, cucchiaini, lacci emostatici e fette di limone utilizzate per preparare e assumere l’eroina.
È così dalla fine di agosto, quando il governo ha inviato 400 carabinieri, finanzieri e poliziotti a presidiare il quartiere dopo la denuncia di violenze sessuali su due ragazzine di 11 e 12 anni che si ripetevano da due mesi all’interno del Delphinia, un centro sportivo abbandonato. «È iniziata l’operazione di bonifica», ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni annunciando l’operazione, denominata “alto impatto”. Gli agenti hanno perquisito diverse abitazioni alla ricerca di armi e sostanze stupefacenti e pattugliano le strade giorno e notte, ma finora non hanno ottenuto risultati di rilievo. «Hanno trovato appartamenti vuoti e sequestrato una quantità di denaro che per una piazza di spaccio sono solo pochi spiccioli», ha sintetizzato su Instagram lo scrittore Roberto Saviano.
L’unico effetto concreto è che ora si può passeggiare tra i viali ed entrare nei palazzi senza timore di essere fermati dalle guardie della camorra. Il governo ha inoltre approvato un decreto che prevede ulteriori misure repressive, come l’inasprimento delle pene per il possesso di armi e di droghe e la detenzione fino a due anni per i genitori se i figli minorenni abbandonano la scuola. Ha poi nominato un dirigente della polizia, Fabio Ciciliano, come commissario straordinario per la riqualificazione del Parco Verde. Alla fine di settembre per gli stupri delle bambine sono stati fermati nove ragazzi, sette dei quali minorenni.
Il Parco Verde è un quartiere di poco più di un chilometro quadrato alla periferia di Caivano, una cittadina di 38mila abitanti a nord di Napoli. Si trova vicino allo svincolo dell’Asse mediano, una superstrada che attraversa l’area a nord del capoluogo campano, ed è circondato da un viale a scorrimento veloce che consente di girargli attorno senza attraversarlo. All’interno, lungo la strada principale, ci sono una sede dell’Asl con un servizio veterinario, al pianterreno di un edificio che nel progetto iniziale del quartiere avrebbe dovuto ospitare una biblioteca. C’è poi un istituto comprensivo, una chiesa, una piazza con un bar e alcuni negozi sotto un porticato.
A maggio il Comune ha annunciato di voler chiudere la scuola elementare. Molta gente del quartiere iscrive i figli a Caivano, ma non arrivano bambini da altre zone. Al suo posto, la regione Campania vuole aprire un piccolo ospedale di prossimità con una decina di posti letto. Dopo lo stupro di agosto, però, il presidente della Regione Vincenzo De Luca, del Partito Democratico, ha bloccato il progetto sostenendo che non bisogna chiudere la scuola e che «l’ospedale lo faremo da un’altra parte».
In un’altra zona del quartiere ci sono il centro sportivo abbandonato in cui sono avvenuti gli abusi, che ora il governo ha annunciato di voler recuperare, e un teatro comunale che ha chiuso tre anni fa e non ha più riaperto. Un campo di calcetto, inaugurato nel 2005, è invece tenuto bene. «Prima i ragazzini giocavano per strada e venivano arruolati dalla criminalità, ora facendoli giocare qui riusciamo ad avere un maggiore controllo su di loro» dice Luigi Sirletti, che ha creato una cooperativa sociale «per dare lavoro ai giovani del quartiere». La cooperativa si occupa soprattutto di recuperare e mantenere gli spazi pubblici. Sirletti però lamenta il mancato sostegno delle istituzioni. «Abbiamo ripulito un parco, raccogliendo 634 siringhe, per permettere ai bambini di giocarci, però è ancora senz’acqua e senza illuminazione pubblica», dice.
Nel Parco Verde vivono seimila persone. Di questi, «400 sono affiliati alla camorra e altri 600 sono collusi perché così ottengono la spesa, il pacco di Natale e altri favori», dice Bruno Mazza, un ex camorrista che dopo dodici anni di carcere ha fondato un’associazione, “Un’infanzia da vivere”, per aiutare i bambini del quartiere a non finire arruolati dai clan.
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Mazza è uno dei quattromila sfollati del terremoto del 1980 che, sostiene, furono «deportati da Napoli»: è nato al rione Sanità di Napoli e fino al 1985 visse in un container all’interno di un campo per terremotati, finché la sua famiglia ottenne un appartamento al Parco Verde. «Quando sono arrivato qui avevo 7 anni, non c’era nulla, le strade non erano nemmeno asfaltate, sono cresciuto senza una guida e sono finito prima a rubare biciclette e motorini, poi a fare le rapine, anche dodici o tredici al giorno, ad appena 15 anni».
Mazza dice che un giorno il boss del quartiere, Alfredo Russo, chiese alla “paranza” di rapinatori, come vengono definite in gergo le bande di ragazzini, se volevano affiliarsi al “sistema”, cioè alla camorra. La “paranza” di Mazza era composta da 14 persone, tutti maschi e minorenni. Lui divenne in breve tempo il «braccio destro» del boss, che «a 16 anni mi mise a dirigere la piazza di spaccio». Finché un giorno fu arrestato con una pistola in tasca e un giubbotto antiproiettile addosso. Era andato alla ricerca di una persona «da punire, che per fortuna non avevamo trovato». «L’arresto mi ha salvato, poiché ero in carcere sono l’unico del mio gruppo a essere sopravvissuto», dice. Gli altri sono morti «sparati» in conflitti a fuoco con le forze dell’ordine o per overdose. Tra questi, pure suo fratello.
Il Parco Verde fu costruito dopo il terremoto del 1980 con il cosiddetto Piano Napoli, che prevedeva la nascita di 17 nuovi quartieri in altrettanti comuni della provincia per dare una casa agli sfollati, per un totale di 20mila alloggi, che si sarebbero aggiunti ad altri 8mila già disponibili. Arrivarono poco meno di 100mila domande: 24mila di queste da persone che vivevano in «bassi, baracche, scantinati, container, case requisite e alberghi» a Forcella, nei Quartieri Spagnoli e nel rione Sanità a Napoli. In tutto furono trasferite dal centro storico della città 37.500 persone, che ebbero un appartamento nei palazzi del rione Salicelle ad Afragola, del Conocal a Boscoreale e delle Vele di Scampia. Quarant’anni dopo questi quartieri sono diventati le maggiori piazze di spaccio di droghe della Campania.
«Ammassare in un solo posto tutte le famiglie dei quartieri più poveri e degradati di Napoli dopo il terremoto del 1980 e abbandonarli a se stessi è stata una tragedia immane di cui nessuno può lavarsi le mani adesso, né i vecchi politici né coloro che ne sono gli eredi», ha detto durante un’audizione al Senato, il 28 settembre, don Maurizio Patriciello, il prete del Parco Verde da un anno sotto scorta perché minacciato dalla camorra. Al Parco Verde 600 appartamenti furono assegnati a famiglie che provenivano da tre campi dove erano stati sistemati in container provvisori gli sfollati napoletani: quelli chiamati Mianella 1 e Mianella 2 a Miano, e un terzo a San Pietro a Patierno, tutti nella periferia nord della città. Altri 150 alloggi furono concessi a famiglie di Caivano.
«Quando siamo arrivati siamo stati isolati, gli abitanti delle palazzine dell’Iacp (Istituto autonomo case popolari) che si trovano dall’altro lato del viale che costeggia il quartiere hanno costruito un muro con una ringhiera per rimanere separati», dice Alfredo Giraldi, un burattinaio, attore e formatore teatrale che vive in un palazzo del Lotto A.
Una certa diffidenza reciproca rimane tuttora e anche gli abitanti del Parco Verde non vogliono essere accomunati ai loro vicini. Un’abitante del Lotto A ricorda che le uccisioni di Antonio Giglio, un bambino di 4 anni buttato giù da un balcone, e Fortuna Loffredo, morta allo stesso modo per essersi ribellata a una violenza sessuale, sono avvenute nelle vicine palazzine dell’Iacp e non nel Parco Verde. «Noi non c’entriamo niente, non ci piace essere definiti un quartiere di stupratori», conclude.
Federico Giraldi, il padre di Alfredo, fu uno dei leader del comitato che si batté prima per far ottenere le case popolari agli sfollati del campo Mianella 1, dove viveva dopo aver dovuto evacuare la sua casa a Porta Capuana, nel centro di Napoli, e poi per portare tutti i servizi nel quartiere. Fu lui a proporre di chiamarlo Parco Verde «non per il colore dei palazzi, che all’epoca non era ancora verde, come molti credono, ma perché all’interno erano previsti molti giardini e parchi», dice il figlio Alfredo mostrando un documento che attesta la decisione. «Qui a Caivano noi del Parco Verde eravamo chiamati i napoletani, dicevano che avevamo portato degrado e delinquenza, anche se in realtà la camorra qui era già molto presente», dice Alberto Giraldi.
Secondo lui, per una decina d’anni, finché sono stati attivi i comitati – tra cui quello in cui militava suo padre – i clan non hanno avuto molto spazio nel quartiere. Poi la camorra si è impossessata di centinaia di abitazioni, che ha consegnato agli affiliati, ai loro familiari o a latitanti in fuga, e si è creata una frattura tra assegnatari e occupanti abusivi. Nel quartiere sono molto diffuse pure le cosiddette «compravendite di necessità», vale a dire l’acquisto, in maniera informale, di un alloggio quando i titolari muoiono o vanno via, anche se nessuno avrebbe titolo a vendere o acquistare. Non esiste un censimento aggiornato delle abitazioni e spesso chi vive negli appartamenti non corrisponde agli assegnatari. Una sentenza della Corte dei Conti, che il 7 agosto ha condannato sei ex funzionari e amministratori del Comune di Caivano a risarcire il Comune per un milione di euro perché per anni non hanno riscosso l’affitto di 422 appartamenti del Parco Verde, fa capire quanto sia vasto il fenomeno.
La relazione del 2021 della Direzione nazionale antimafia (DNA) dà ragione a Gilardi. Dice che la camorra è arrivata nel Parco Verde alla metà degli anni Novanta, con le occupazioni abusive delle case. In quell’epoca si formarono due schieramenti criminali contrapposti: da un lato i cosiddetti paesani, ex affiliati alla Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, dall’altro i napoletani del Parco Verde. La rivalità sfociò in un «cruento scontro armato», i napoletani «ebbero la meglio e assunsero il controllo criminale di Caivano, egemonia che, al netto delle interruzioni dovute ai provvedimenti giudiziari via via succedutisi, perdura a tutt’oggi», scrive la DNA.
Negli ultimi anni il Parco Verde «ha ereditato le piazze di spaccio di Scampia», ha scritto Roberto Saviano sul Corriere della Sera all’indomani dello stupro delle ragazzine. Un’indagine giudiziaria del maggio 2021 ne ha contate quattordici, dove si vendevano sostanze senza interruzione, tutti i giorni e 24 ore su 24. I magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Napoli hanno stimato che quest’attività rendeva 130mila euro al mese. La gran parte degli incassi finivano ai boss che gestivano il traffico, mentre il resto era utilizzato per retribuire chi lavorava nella filiera dello spaccio e perfino per mantenere pulite le strade del quartiere. Nell’ultimo anno i carabinieri hanno arrestato 223 persone, tra le quali «dieci donne a capo delle piazze di spaccio», ma la vendita di droghe non si è mai fermata fino alla fine di agosto. Quando la militarizzazione del quartiere ha costretto la camorra a sospendere lo spaccio e il Comune ha mandato i netturbini a pulire le strade, l’equilibrio economico e sociale sul quale si reggeva una parte del Parco Verde è saltato.
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La sera dell’11 settembre quattro persone a bordo di due moto hanno attraversato un viale sparando in aria 19 colpi di kalashnikov. Gli abitanti del quartiere hanno temuto che fosse l’inizio di una guerra di camorra, provocata proprio dall’instabilità dell’ultimo mese. In gergo queste azioni vengono chiamate “stese” e servono a dimostrare il controllo del territorio o a minacciare un clan rivale. Don Patriciello pensa invece che sia stata una «sfida» dei clan al governo, «un atto di forza che però a ben vedere è una manifestazione di debolezza perché quando la camorra è forte non ha bisogno di sparare». L’opinione più accreditata nel quartiere è però che si sia trattato di un messaggio rivolto a chi ci abita. «Hanno voluto segnalarci che il Parco Verde è ancora sotto il loro controllo», dice Gilardi.