La “diplomazia del panda” sta per finire?
La Cina rivuole indietro tutti quelli che si trovano negli zoo degli Stati Uniti, e le ragioni sembrano soprattutto politiche
A dicembre i tre panda giganti che vivono nello zoo di Washington, negli Stati Uniti, dovranno essere restituiti alla Cina, come prevede l’accordo stipulato dallo zoo con l’agenzia cinese per la fauna selvatica. Nei primi mesi del 2024 potrebbe succedere lo stesso ai quattro che vivono ad Atlanta, dopo che di recente anche gli zoo di San Diego e di Memphis avevano dovuto restituire i loro panda. In questo modo, per la prima volta in più di cinquant’anni, negli zoo degli Stati Uniti non ne rimarrà nemmeno uno.
Questa decisione potrebbe avere implicazioni politiche. Da decenni la Cina ricorre a quella che viene definita “la diplomazia dei panda”: presta gli animali per programmi di conservazione della specie per ingraziarsi i paesi con cui è in buoni rapporti, e al contrario li richiede indietro quando i rapporti peggiorano. E in questo momento i rapporti politici e diplomatici tra Cina e Stati Uniti sono al livello più basso da molti decenni. Entrambi i paesi tuttavia negano che alla base della questione dei panda ci sia la politica, e sostengono che nei prossimi mesi si terranno nuovi negoziati per rinnovare i contratti di cessione dei panda agli zoo americani, o per farne di nuovi.
Il panda gigante (Ailuropoda melanoleuca) è l’animale nazionale della Cina e uno tra gli animali selvatici più conosciuti in tutto il mondo. La maggior parte degli individui esistenti in natura vive nel paese, che da decenni è impegnato in massicci sforzi per la loro preservazione e il loro ripopolamento. Grazie ai programmi per la conservazione degli animali, la popolazione di panda giganti ha ripreso ad aumentare, e secondo il WWF nel giro di dieci anni è cresciuta del 17 per cento, arrivando in totale a 1.864 individui. Dal 2021 secondo il governo cinese i panda giganti non sono più a rischio di estinzione.
Gli zoo che contribuiscono ai programmi di conservazione dei panda nel mondo non ne hanno la piena custodia, bensì li “prendono in prestito” dalla Cina, pagando ogni anno grosse somme, tra 500 mila e un milione di dollari, come previsto da appositi contratti. I contratti prevedono che i panda rimangano proprietà esclusiva della Cina, e lo stesso vale per i cuccioli eventualmente nati all’estero.
La Cina prestò il suo primo panda agli Stati Uniti come simbolo di cooperazione nel 1972, quando l’allora presidente statunitense Richard Nixon normalizzò i rapporti con il paese, e in seguito ne inviò altri in diversi zoo statunitensi, come fece con altri paesi, tra cui Francia, Regno Unito e Finlandia. Di recente però i panda giganti si sono trasformati «nel simbolo delle discordie di oggi», ha detto a Bloomberg Lizzi C. Lee, ricercatrice del programma di economia cinese all’Asia Society Policy Institute. A detta di Lee, i «panda sono diventati un pretesto per una narrazione di sfiducia e rivalità».
Per motivi non noti la Cina non ha rinnovato il contratto per continuare a far rimanere i tre panda allo Smithsonian’s National Zoo di Washington: la femmina Mei Xiang, il maschio Tian Tian e il loro cucciolo di tre anni Xiao Qi Ji. Il contratto scade il prossimo 7 dicembre, e a meno che non venga rinnovato lo zoo li dovrà rimandare in Cina. Entro la fine del 2024 dovrebbero tornare nel paese anche i quattro che vivono nello zoo di Atlanta, in Georgia, che a sua volta per poterli tenere dovrebbe rinnovare i propri accordi. La femmina di panda Ya Ya, che viveva nello zoo di Memphis, è ritornata in Cina lo scorso aprile dopo una serie di accuse di maltrattamenti che avevano creato polemiche tra le persone cinesi. Quelli dello zoo di San Diego invece erano stati restituiti nel 2019 sempre per il mancato rinnovo del contratto, in un altro momento di grande tensione fra i due paesi.
Di recente casi simili si sono verificati nei Paesi Bassi e in Giappone, e a breve sia Regno Unito che Australia potrebbero dover rimandare in Cina i panda che vivono nei loro zoo.
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Una decina di anni fa l’ambasciatore cinese negli Stati Uniti, Cui Tiankai, aveva ammesso esplicitamente che i panda erano uno strumento di diplomazia per il suo paese. In un articolo di opinione pubblicato nel 2013 sul Washington Post e intitolato “Peace through pandas” (La pace attraverso i panda), Cui aveva scritto che a Washington c’erano «due ambasciatori cinesi: lui e il cucciolo di panda allo Zoo Nazionale».
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La decisione di non rinnovare automaticamente il contratto con lo zoo di Washington potrebbe essere una strategia temporanea, per puntare ad avviare negoziazioni di altro tipo. Come ricorda Bloomberg, potrebbe dipendere anche da motivi non politici, come il fatto che certi panda piuttosto anziani dovrebbero comunque essere rimandati in Cina, e che con l’istituzione di nuove aree protette nel territorio cinese verrebbe meno la necessità di sfruttarli per programmi di conservazione all’estero. Entrambi i paesi comunque sembrano essere aperti a possibili trattative, scrive sempre Bloomberg.
Un portavoce dello zoo di Washington si è rifiutato di commentare il caso, mentre il dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha chiarito che gli accordi sui panda non erano stati stipulati tra i due governi, ma tra singoli zoo e l’ente cinese per la conservazione della fauna. Una persona vicina all’amministrazione del presidente statunitense Joe Biden però ha detto che da qui a dicembre i funzionari degli Stati Uniti prevedono di discutere del tema con la Cina. Lo confermerebbe anche quanto detto da Liu Pengyu, portavoce dell’ambasciata cinese a Washington, secondo cui le due parti stanno «comunicando rispetto a future collaborazioni sulla conservazione e sulla ricerca sui panda giganti».
In ogni caso non avere più i panda giganti nelle loro strutture potrebbe essere un problema economico per gli zoo stranieri. Secondo alcune stime citate dal South China Morning Post i panda sono gli animali preferiti di chi visita gli zoo in cui vivono e in questo senso quindi anche la loro principale attrazione. Per fare qualche esempio, nei due anni successivi all’introduzione di due esemplari, nel 2011, lo zoo di Edimburgo disse di aver raddoppiato i visitatori e di aver aumentato i propri incassi annui da circa 10 a quasi 15 milioni di sterline. Il professore di Economia Katsuhiro Miyamoto invece ha stimato che la presenza del panda gigante Xiang Xiang allo zoo di Tokyo abbia contribuito all’economia nazionale con circa 54 miliardi di yen (circa 340 milioni di euro) solo nei primi tre anni e mezzo.