Lech Walesa è un pezzo di storia della Polonia
Il grande dissidente e leader sindacale compie 80 anni: ha fatto più di ogni altro per riportare la democrazia nel suo paese, anche se oggi la sua influenza non è più la stessa
La vita di Lech Walesa, che oggi compie 80 anni, è divisa in due parti. Nella prima fu il più importante leader sindacale della storia della Polonia e la persona che più di ogni altra favorì la fine del regime comunista e la restaurazione della democrazia nel paese. Nella seconda, dopo il 1989, fu il primo presidente democratico della Polonia contemporanea e rimase a lungo la personalità più rilevante e celebre del suo paese, pur senza mantenere l’efficacia e l’influenza che aveva avuto nel periodo della lotta e della dissidenza contro il regime.
Dopo essere stato lungamente celebrato nel suo paese e in tutto il mondo come un eroe nazionale polacco, negli ultimi anni Walesa è stato progressivamente isolato dal governo semiautoritario della Polonia, guidato dal partito di estrema destra Diritto e Giustizia. Negli scorsi anni è stato anche accusato di essere stato, almeno per un periodo, un informatore del regime proprio mentre lo contrastava pubblicamente: queste accuse non sono mai state provate in maniera chiara, anche se sono riemerse periodicamente. Oggi Walesa si oppone duramente al regime al governo in Polonia, ma la sua influenza non è più quella di un tempo.
Lech Walesa nacque a Popowo nel 1943, quando quella parte di Polonia era ancora occupata dalle truppe naziste durante la Seconda guerra mondiale. Suo padre era un carpentiere che fu internato dai nazisti in un campo di lavoro forzato e morì pochi mesi dopo la fine della guerra. Walesa crebbe in un ambiente cattolico, anticomunista e tutto sommato conservatore, ed entrambi questi elementi – soprattutto il cattolicesimo – contribuirono a influenzare la sua vita adulta. Dopo il servizio militare obbligatorio cominciò a lavorare come elettricista nei cantieri navali Lenin a Danzica (Gdańsk in polacco), un gigantesco stabilimento di epoca sovietica dove si costruivano navi civili e soprattutto da guerra.
In quegli anni la Polonia era una dittatura comunista. Era formalmente un paese indipendente, nel senso che non faceva parte dell’Unione Sovietica, ma era un membro del patto di Varsavia, cioè quell’insieme di stati che dipendevano militarmente ed economicamente dall’Unione Sovietica e si opponevano al blocco occidentale durante la Guerra Fredda. Di fatto la Polonia era un “paese satellite” dell’Unione Sovietica. Era dominata dal Partito Comunista (il cui nome formale era Partito Operaio Unificato Polacco) che dipendeva dal Partito Comunista sovietico ed era il detentore unico del potere politico.
Il regime tollerava l’esistenza di altri partiti minori, che però non avevano alcun potere reale e servivano soprattutto a legittimare il Partito Comunista e a mantenere un’illusione di democrazia nel paese (a cui nessuno credeva). Le libertà civili erano represse, così come i diritti dei lavoratori: poteva esistere un solo sindacato, che dipendeva dal Partito Comunista, e la creazione di sindacati indipendenti era vietata.
Walesa cominciò quasi immediatamente a interessarsi all’attività sindacale clandestina. In quel periodo le condizioni dei lavoratori nei grandi stabilimenti industriali di stato come i cantieri Lenin erano terribili, e più in generale la popolazione viveva in condizioni di notevole indigenza: dopo un buon momento di ricostruzione nei due decenni successivi alla guerra, a partire dalla fine degli anni Sessanta l’economia centralizzata polacca fu di fatto stagnante e dipendente dagli aiuti dell’Unione Sovietica e dai prestiti dell’Occidente.
Nel 1970 il governo polacco impose un forte aumento del prezzo dei generi alimentari, e soprattutto nel nord della Polonia, lungo il mar Baltico, ci furono grosse sollevazioni e proteste. La città di Gdańsk, dove si trovavano i cantieri Lenin, fu uno dei centri della rivolta: gli operai dei cantieri entrarono in sciopero sostenuti dagli abitanti della città, e ci furono duri scontri con la polizia. Il regime polacco rispose con la violenza: durante le proteste del 1970 in Polonia furono uccise 44 persone, e più di 1.000 rimasero ferite, anche se al tempo si parlò di stime ben più alte.
Walesa, che aveva 27 anni, non fu tra le figure di maggior rilievo della protesta, ma cominciò a farsi conoscere negli ambienti dei sindacati dissidenti e della lotta contro il regime comunista. Fu anche tra le centinaia di persone che furono arrestate per la loro attività di dissidenza, per un breve periodo.
Dopo le proteste del 1970 Edward Gierek divenne segretario del Partito Comunista (quindi di fatto leader del paese) e cercò di applicare riforme che migliorassero la vita della popolazione civile. Fece aumentare i salari del 40 per cento e adottò un’ampia politica per calmierare i prezzi dei generi alimentari. Per sostenere tutti questi sussidi, però, chiese in prestito enormi quantità di denaro dall’estero, che alla lunga provocarono distorsioni: all’inizio degli anni Ottanta lo stato pagava agli agricoltori 10 zloty (la moneta polacca) per un litro di latte, e poi lo rivendeva nei negozi a 4 zloty.
Nel 1976 Walesa fu licenziato dai cantieri Lenin per attività sindacale clandestina e si mantenne facendo lavoretti, mentre continuava a organizzare sindacati e altre associazioni parallele a quelle statali.
In quel periodo, a Cracovia, cominciò a emergere anche la figura del cardinale cattolico della città, Karol Wojtyla, un convinto anticomunista che per anni usò la propria influenza per criticare il regime e sostenere la causa dei diritti umani (la Polonia era già un paese profondamente cattolico e la Chiesa era tollerata, sebbene a malapena, dallo stato). Nel 1978 Wojtyla fu eletto papa, e questo provocò al tempo stesso un enorme senso di orgoglio nella popolazione polacca (Wojtyla fu il primo papa polacco di sempre e il primo non italiano in 455 anni) e diede nuove energie al movimento anticomunista, che trovò un alleato enormemente influente, sia tra la popolazione locale sia all’estero.
Nel 1979 Wojtyla fece la sua prima visita in Polonia come papa Giovanni Paolo II. Non poté criticare esplicitamente il governo polacco, ma il significato e l’importanza della sua visita furono chiari a tutti. Quegli eventi prepararono il terreno alle sollevazioni degli anni successivi.
Nel 1980 il governo, a causa delle condizioni disastrose dell’economia, eliminò alcuni sussidi ed emise un decreto che provocò un forte aumento del prezzo della carne. I lavoratori in tutto il paese cominciarono a protestare duramente, e questa volta (al contrario di quello che era successo nel 1970, quando le proteste erano concentrate nelle strade) occuparono le fabbriche. I cantieri Lenin furono il centro della protesta, con migliaia di lavoratori che presero parte all’occupazione. Walesa divenne rapidamente il leader dei manifestanti. Per entrare nei cantieri e unirsi allo sciopero scavalcò le palizzate di metallo che circondavano l’area industriale e fu accolto trionfalmente dai lavoratori.
Nel giro di pochi giorni il governo polacco fu costretto a cedere alle richieste dei lavoratori, che a quel punto fecero anche alcune rivendicazioni politiche: chiesero e ottennero il diritto di poter scioperare liberamente e soprattutto quello di potersi organizzare in sindacati indipendenti.
Milioni di lavoratori polacchi cominciarono a unirsi ai nuovi sindacati, che erano visti come uno strumento non soltanto per difendere i diritti dei lavoratori, ma anche per contrastare il monopolio del Partito Comunista sul potere politico. Walesa, che nel frattempo era diventato leader di un grosso comitato sindacale, fondò assieme a un gruppo di collaboratori il sindacato Solidarnosc, che significa Solidarietà. In breve tempo, 10 milioni di polacchi (su una popolazione di meno di 40 milioni) si iscrissero ai nuovi sindacati, e Solidarnosc divenne di gran lunga il più popolare. Al contrario gli iscritti al Partito Comunista crollarono a meno di 2,5 milioni.
Questo successo dei lavoratori fu però di breve durata. Nel 1981 il Partito Comunista, con la benedizione dell’Unione Sovietica, nominò a capo del partito il generale Wojciech Jaruzelski, che usò le forze armate per riprendere il controllo del paese. Approfittando di una provocazione di alcuni elementi più radicali di Solidarnosc, Jaruzelski impose la legge marziale, fece chiudere tutti i nuovi sindacati che erano nati nell’anno precedente e ne mise in prigione tutti i principali leader, compreso Walesa.
Ma il leader di Solidarnosc era ormai famoso in tutto il mondo, anche grazie al sostegno offerto da papa Giovanni Paolo II. Walesa fu rilasciato nel 1982 ma continuò a essere sorvegliato e periodicamente arrestato o perquisito dalla polizia. Nonostante questo, rimase il leader di Solidarnosc, anche se in clandestinità. Nel 1983 ottenne il Premio Nobel per la Pace ma mandò sua moglie a ritirarlo: temeva che, se fosse uscito dalla Polonia, il regime non l’avrebbe più fatto rientrare.
Nel corso degli anni Ottanta le condizioni economiche della Polonia divennero sempre più disperate, e il regime di Jaruzelski sempre più impopolare. Nel 1988 una nuova ondata di grandi proteste costrinse il regime polacco ad avviare negoziati con Solidarnosc e le altre organizzazioni civili, che in questo modo ottennero che fosse ripristinato il loro riconoscimento legale. Solidarnosc ottenne anche che si tenessero in Polonia le prime elezioni libere, anche se soltanto il 35 per cento dei seggi in parlamento era deciso tramite il voto. Le elezioni si tennero l’anno successivo e Solidarnosc, che nel frattempo si era trasformato in un movimento politico, vinse tutti i seggi che erano soggetti al voto libero. Questa vittoria eccezionale convinse il Partito Comunista che non c’era più modo di mantenere il potere senza ricorrere alla violenza: e ormai l’Unione Sovietica, guidata da Mikhail Gorbaciov, non era più quella di qualche decennio prima, pronta a mandare i carri armati nei “paesi satelliti” che si ribellavano.
Tadeusz Mazowiecki, uno dei leader di Solidarnosc assieme a Walesa, divenne il primo primo ministro non comunista dal 1946. L’anno successivo si tennero le prime vere elezioni libere e Walesa fu eletto presidente del paese con una maggioranza schiacciante. Il regime comunista in Polonia era caduto, praticamente senza violenze.
Dopo la fine del regime
Per giudizio praticamente unanime, l’eccezionale talento di Walesa come leader sindacale e dissidente antiregime non si tradusse efficacemente nel suo nuovo ruolo di presidente. Parte dei problemi arrivarono dal contesto economico: come altri paesi dell’Europa dell’est dopo il crollo dell’Unione Sovietica, anche la Polonia si sottopose a quella che fu definita “terapia d’urto”, cioè un passaggio praticamente improvviso da un’economia pianificata comunista a un’economia di mercato, con privatizzazioni, liberalizzazioni e così via.
Dal punto di vista macroeconomico (cioè dell’andamento dei grossi dati dell’economia, come il PIL) la “terapia d’urto” in Polonia fu un successo notevole: dopo un paio d’anni di crollo, l’economia polacca cominciò a crescere a ritmi sostenuti, e nel 1995 il PIL cresceva già di quasi il 7 per cento. Ma la popolazione, soprattutto nei primi anni, soffrì moltissimo per questo cambiamento improvviso di modello economico: aumentarono la disoccupazione e le diseguaglianze.
Walesa inoltre si dimostrò un politico poco carismatico: i suoi discorsi estremamente semplici e a volte sgrammaticati andavano bene per le manifestazioni sindacali, ma non per la presidenza di un paese con una democrazia elettiva. Fu anche estremamente conservatore su questioni che erano importanti per la popolazione polacca: per esempio, da cattolico molto credente, divenne noto per il suo rifiuto categorico di liberalizzare in qualunque maniera l’aborto e concedere altri diritti civili.
Nel 1995 Walesa si ripresentò per un secondo mandato, ma perse di poco contro Aleksander Kwaśniewski, il cui partito era l’erede politico del Partito Comunista. Da quel momento la sua popolarità crollò notevolmente. Si ripresentò ancora una volta alle elezioni del 2000 ma ottenne appena l’1,1 per cento dei voti. Rimase comunque estremamente celebre anche all’estero, e per un paio di decenni ha continuato a fare conferenze in tutto il mondo.
A metà degli anni Duemila divenne un duro avversario del partito Diritto e Giustizia fondato dai gemelli Lech e Jaroslaw Kaczyński. I due negli anni Ottanta erano dirigenti di medio livello di Solidarnosc, ma nel corso del tempo svilupparono idee sempre più radicali fino a posizionarsi nell’estrema destra. Con varie vicissitudini (tra cui la morte di Lech Kaczyński nel 2010 in un disastro aereo), Diritto e Giustizia è al potere ancora oggi e ha trasformato la Polonia in un paese semiautoritario.
Negli ultimi anni sono emerse anche accuse contro Walesa, che secondo alcuni storici polacchi tra il 1970 e il 1976 avrebbe lavorato come informatore dei servizi segreti del regime, usando il nome in codice di Bolek. Nel corso degli anni sono effettivamente emersi documenti che mostrano quanto meno che vi furono contatti tra Walesa e i servizi, anche se non è ancora del tutto chiaro quale fosse il suo ruolo. La situazione è resa più complicata dal fatto che il regime attuale di Diritto e Giustizia è noto per la manipolazione dei media e della storia, e Walesa è ancora uno dei suoi più noti oppositori, almeno all’estero.