I film che vedono tutti sono sempre più rari
“Barbie” e “Oppenheimer” sono state eccezioni in un’epoca di frammentazione del pubblico in cui produzioni imponenti possono passare del tutto inosservate
Il successo mondiale del film Barbie, uscito a luglio e diretto dalla regista statunitense Greta Gerwig, ha stimolato numerose riflessioni sul presente e sul futuro del cinema, uno dei settori della cultura più a lungo condizionati dagli effetti della pandemia. Alcune osservazioni si sono concentrate sulla trasversalità di quel successo in un periodo storico per il resto caratterizzato da una tendenza diversa: una produzione di film, magari anche di grande successo, ma la cui popolarità tende a rimanere – con poche eccezioni – un fenomeno interno a specifiche nicchie di pubblico e di mercato, più o meno ampie.
Secondo un sondaggio di The Quorum, un sito di informazioni e statistiche sul successo dei film al cinema e in streaming, l’11 per cento delle persone che tra luglio e agosto ha visto Barbie negli Stati Uniti non andava al cinema da prima della pandemia, e un altro 11 per cento non ricordava l’ultima volta che ci era stato. Il totale dei due gruppi corrispondeva, al momento dei calcoli di The Quorum, a circa 9 milioni di statunitensi che avevano quindi rimesso piede in un cinema dopo molto tempo per vedere appositamente un certo film, e che non ci erano tornati nemmeno per Avatar: la via dell’acqua e Top Gun: Maverick, due dei film di maggior successo usciti dopo la pandemia.
Una delle considerazioni circolate riguardo a Barbie, ma anche a Oppenheimer, diretto dall’inglese Christopher Nolan e uscito nella stessa estate, è che per molti aspetti entrambi i film riflettono un’ambizione storica del cinema, soprattutto hollywoodiano, di rivolgersi a un pubblico esteso ed eterogeneo. E in parte è una novità, perché quell’ambizione è stata fortemente rimodulata e ridefinita in anni recenti dalla progressiva introduzione di strumenti di analisi e algoritmi che, come in altri settori della cultura e dello spettacolo, hanno invece favorito una maggiore frammentazione e “profilazione” del pubblico.
Come ha scritto il giornalista e critico di Associated Press Jake Coyle, sia Barbie che Oppenheimer sono inoltre un rarissimo caso di successo cinematografico recente costruito intorno a un soggetto originale e non fondato su un franchising, fattore che potrebbe avere reso il loro successo più trasversale di quanto non lo sia quello di altri film con grandi incassi. «Il più grande zeitgeist di Hollywood degli ultimi anni è stato alimentato da un paio di film senza numeri romani, Jedi o supereroi», ha sintetizzato Coyle.
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Per tutte queste ragioni è molto probabile che anche le persone che non hanno visto né Barbie né Oppenheimer ne abbiano comunque sentito parlare, anche solo vagamente. Mentre è invece sempre più frequente il caso in cui i film – sia quelli molto costosi e ambiziosi, sia quelli destinati a un pubblico molto definito – rimangono completamente sconosciuti a un’ampia parte del pubblico che guarda film, pur riuscendo a ottenere un relativo successo commerciale. Che è un discorso che riguarda il cinema, ma vale in parte negli stessi termini per la musica o i libri, e ha a che fare anche con il funzionamento delle piattaforme e il tema ampiamente dibattuto delle “bolle”.
Il social network per appassionati di cinema Letterboxd, fondato nel 2011 ma diventato molto popolare nei paesi di lingua inglese soprattutto dopo la pandemia, fornisce un sistema di catalogazione dei film e condivisione di recensioni e opinioni. In uno dei più recenti aggiornamenti della sua lista dei 250 migliori film secondo le valutazioni dell’utenza – film con almeno 5mila valutazioni – è stato incluso Bottoms, una commedia adolescenziale del 2023 diretta dalla regista e sceneggiatrice canadese Emma Seligman.
Provando a spiegare la presenza di certi film in una lista fatta in gran parte di film popolarissimi più o meno a chiunque, sia classici che recenti, un utente della piattaforma ha commentato: «Ci sono film che nessuno ha mai visto fuorché tutta l’utenza di Letterboxd con meno di 24 anni. Un intero ecosistema parallelo». E ha poi aggiunto: «A quanto pare al giorno d’oggi una generazione che copre circa 14 anni è troppo lunga per condividere granché in termini di esperienza e gusti».
I'm sorta fascinated by the youth culture on Letterboxd. There are movies absolutely no one has seen except every Letterboxd user under 24. Whole parallel ecosystem https://t.co/o0FtpBUyPQ
— The Raleigh and the Ivy (@PetreRaleigh) September 6, 2023
Mentre Barbie e Oppenheimer occupavano gran parte del dibattito sul cinema nel 2023 – insieme allo sciopero degli sceneggiatori di Hollywood, legato in parte proprio all’influenza delle piattaforme di streaming su tutto il settore – un intero ciclo di film statunitensi «è andato e venuto senza che nessuno se ne accorgesse», ha scritto su The Ringer il giornalista e critico canadese Adam Nayman.
Il film La casa dei fantasmi, commedia horror Disney con Rosario Dawson, Owen Wilson e Danny DeVito, uscito a luglio e basato sullo stesso soggetto dell’omonimo film Disney del 2003 con Eddie Murphy, è costato 150 milioni di dollari e ne ha incassati 112. Nel 2023 è uscito anche 65 – Fuga dalla Terra, un film di fantascienza originale, scritto e diretto da Scott Beck e Bryan Woods (coautori di un horror recente molto apprezzato, A Quiet Place) e interpretato da un attore molto famoso, Adam Driver, nella parte di un pilota intergalattico che lotta contro dinosauri. E sono usciti anche un thriller con Ben Affleck, Hypnotic, e ben due film diretti dal regista inglese Guy Ritchie, Operation Fortune e The Covenant.
È probabile che moltissime persone, ha scritto Nayman, non sappiano assolutamente niente di questi film, nonostante l’ampia distribuzione e il coinvolgimento di attori, attrici, autori e registi anche molto famosi. E se è vero che lo sciopero ha determinato tra le altre cose l’interruzione di molte attività promozionali, che avrebbero probabilmente accresciuto l’attenzione verso questi film, è anche vero che il loro essere passati per le sale senza che gran parte del pubblico nemmeno se ne accorgesse è parte di un fenomeno storico che precede lo sciopero. La crescente indistinguibilità estetica tra film in sala e on demand, secondo Nayman, e la riduzione della finestra di sfruttamento dei film nelle sale «hanno prodotto un panorama cinematografico affollato ma indefinibilmente sterile».
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Nel suo libro del 1983 Adventures in the Screen Trade, per spiegare i casi abbastanza frequenti di grandi società di produzione statunitensi che nella storia del cinema si rifiutarono di realizzare film che si sarebbero poi rivelati grandi successi, il drammaturgo e sceneggiatore statunitense William Goldman scriveva laconicamente che «nessuno sa niente». Con questa frase, diventata poi celebre anche in altri contesti, Goldman intendeva dire non che il successo nel cinema fosse un fenomeno casuale, ha commentato Nayman, ma piuttosto il risultato di logiche contorte e contraddittorie per cui «certi generi e certe star sono una sicurezza finché all’improvviso non lo sono più», e i successi imprevisti ed eccezionali diventano poi punti di riferimento «nella speranza che il fulmine colpisca due volte nello stesso punto».
L’imprevedibilità riguarda anche l’evoluzione di film inizialmente considerati dei flop, che attraverso un lento passaparola riescono poi a ottenere successo (sleeper hit). È il caso del recente film della Pixar Elemental, uscito a giugno e costato 200 milioni di dollari: andò molto male nelle prime due settimane, e Variety scrisse che «non c’era speranza» che la produzione rientrasse nei costi. Alla fine invece ha incassato 489 milioni di dollari.
I social network, che da un lato hanno contribuito in generale all’affermazione delle logiche di profilazione dell’utenza e frammentazione del pubblico, dall’altro hanno introdotto ulteriori elementi di imprevedibilità anche nel settore del cinema. Negli Stati Uniti, per esempio, due horror molto attesi del 2023 e sostenuti da grandi società di produzione, The Boogeyman del duo Beck-Woods e Knock at the Cabin di M. Night Shyamalan, sono andati discretamente bene. Ma è stato più redditizio e in una certa misura più influente il film horror sperimentale a basso budget Skinamarink, girato dal regista esordiente canadese Kyle Edward Ball: costato 15mila dollari ha incassato 1,5 milioni dopo essere circolato moltissimo su TikTok, abbastanza da finire recensito anche sul New York Times.
La generale inclinazione ad assumersi meno rischi ha peraltro portato alcune società di produzione ad assumere registi un tempo promettenti, inclusi quelli di film horror, per dirigere sequel di franchising «pessimi» e perlopiù sconosciuti alla maggior parte del pubblico, ha scritto Slate. Per esempio Shark 2 – L’abisso, un film d’azione uscito ad agosto, in cui il protagonista (interpretato da Jason Statham) è uno che fa a botte con squali preistorici, è diretto dall’inglese Ben Wheatley, in passato regista di apprezzati film di genere come Kill List, Free Fire e Rebecca, remake dell’omonimo film di Alfred Hitchcock. Costato 130 milioni di dollari, Shark 2 – L’abisso ne ha incassato quasi 400.
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In un contesto del genere, ha scritto Nayman, esiste anche il rischio che film invece degni di attenzioni collettive, al netto della soggettività dei giudizi, passino inosservati tra molti altri. E cita come caso di film «più infelicemente trascurato del 2023» la commedia drammatica Are You There, God? It’s Me, Margaret, adattamento dell’omonimo romanzo della scrittrice statunitense Judy Blume, diretto da Kelly Fremon Craig e interpretato da Abby Ryder Fortson e Rachel McAdams. Uscito ad aprile, è costato 30 milioni di dollari e ne ha incassati 21,5.
Riferendosi in parte a queste tendenze attuali del cinema, ma allargando il discorso al mondo della cultura in generale, il regista statunitense Richard Linklater ha parlato in una recente intervista con The Hollywood Reporter di una progressiva scomparsa della cultura condivisa. E ha espresso qualche dubbio riguardo alle attuali capacità di riconoscere e apprezzare il «cinema di qualità» da parte di un pubblico molto esteso.
Linklater ha premesso di non avere strumenti di analisi migliori di quelli di chiunque altro, e che tendenzialmente non esprime opinioni scoraggianti sul presente: «È solo che sento che stiamo tutti a galla e speriamo di non annegare». Ha detto di ritenere improbabile che, con una cultura e una tecnologia in continuo cambiamento, il cinema possa tornare ad assumere la centralità che aveva un tempo. «Penso che avremmo potuto immaginarlo quando hanno cominciato a chiamare i film “contenuto”, ma è quello che succede quando lasci che i tecnici prendano il controllo del tuo settore».