I giovani che vanno a vendemmiare in Francia
Molti e molte ventenni lavorano ogni settembre nelle vigne della Borgogna o della valle del Rodano, anche perché poi possono prendere la disoccupazione in Italia
Ogni anno a settembre le forze dell’ordine fanno controlli nelle aziende agricole italiane che hanno iniziato la vendemmia, e non è raro che vengano scoperte irregolarità, come persone senza permesso di soggiorno, che lavorano senza un contratto o violazioni in materia di sicurezza. Di solito i proprietari delle aziende vinicole si lamentano della mancanza di manodopera, sostenendo che gli italiani, specialmente i giovani, non vogliano più lavorare nel settore agricolo. Eppure, sono molti quelli che ogni settembre partecipano alla vendemmia, ma lo fanno in Francia.
Solo nell’ultima settimana in Italia sono state multate per decine di migliaia di euro diverse aziende e cooperative (che forniscono personale per la vendemmia) in provincia di Alessandria, Vicenza, Verona e Treviso. Tutte avevano impiegato delle persone senza far firmare loro un contratto, e alcuni degli alloggi offerti ai lavoratori stagionali non erano a norma. Il problema in Italia però non è soltanto quello del lavoro irregolare, spesso svolto da persone migranti senza permesso di soggiorno. Chi è assunto regolarmente con il contratto nazionale dovrebbe lavorare 39 ore alla settimana (6,5 ore al giorno con un giorno di riposo) per un minimo di 1.266,90 euro lordi al mese, con un massimo di tre ore al giorno di straordinari, retribuiti come tali. Nonostante ci siano aziende che assumono regolarmente e rispettano gli orari di lavoro e molte cerchino di regolarizzare i loro dipendenti senza contratto, le condizioni del lavoro stagionale agricolo sono spesso problematiche.
Nella filiera del vino, così come in altre, gli orari sono più vicini alle dieci ore al giorno, in molte aziende non viene rispettato il giorno di riposo e non ci sono quasi pause. Coldiretti, la principale associazione di categoria degli agricoltori italiani, stima che una persona su sei che lavora in questo settore sia straniera, ma questo calcolo non tiene conto di chi lavora senza contratto e non sembra aderire alla realtà descritta da molti proprietari di aziende agricole di piccola e media grandezza, che ogni anno ripetono che le persone italiane, specialmente i giovani, che un tempo partecipavano alla vendemmia ora non lo vogliono più fare.
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La mancanza di manodopera nel settore agricolo è un tema che viene citato spesso quando si parla del numero insufficiente di contratti per lavoratori stranieri inclusi nei decreti flussi, quelli che stabiliscono quante persone ogni anno possono ottenere un permesso di soggiorno e provenienti da quali paesi. Sempre Coldiretti ad aprile aveva infatti stimato che sarebbero serviti circa 20mila lavoratori in più per la vendemmia del 2023. Questa mancanza ha anche come conseguenza una diminuzione degli ettari di vigne coltivate, dato che i produttori preferiscono avere meno uva piuttosto che vederla marcire per mancanza di personale che la può raccogliere quando è matura.
La situazione sembra essere un po’ diversa in Francia, dove comunque il mercato del vino sta attraversando un momento di crisi. Anche i lavoratori francesi in questo settore sono sempre meno, ma stanno aumentando quelli stranieri, fra cui ci sono molti italiani, greci, portoghesi e spagnoli. Fra gli italiani, una categoria sempre più numerosa è quella degli studenti universitari, o comunque delle persone con meno di 25 anni, che vanno a vendemmiare per una o due settimane, principalmente nelle regioni centrali della Borgogna e della valle del Rodano. Le offerte di lavoro si trovano di solito attraverso passaparola o gruppi Facebook, ma esistono anche diversi siti, fra cui quello del governo, in cui sono elencate.
Le condizioni di lavoro sono spesso migliori di quelle italiane, anche se ci sono delle differenze fra regione e regione e fra le aziende piccole e grandi. Ma soprattutto, alla fine del periodo lavorativo gli italiani possono usufruire dell’indennità di disoccupazione per lavoratori rimpatriati. L’indennità dura sei mesi ed è pari al 30% della retribuzione mensile fissata dal contratto nazionale italiano, cioè, per il settore agricolo, dai 380 ai 700 euro. Nonostante i tempi per riceverla, gestiti dall’INPS, siano di circa sei o sette mesi, la possibilità di richiedere la disoccupazione di rimpatrio è uno dei principali motivi per cui i giovani italiani vanno a vendemmiare in Francia, dato che per richiederla la prima volta non serve un periodo minimo di occupazione. Ha diritto ad averla per sei mesi anche chi ha lavorato solo una settimana. Successivamente, il periodo minimo sale a 7 mesi di lavoro all’estero.
Molte persone si fermano comunque per l’intera stagione della vendemmia. La paga è più alta di quella italiana: il salario minimo è di 11,52 euro lordi all’ora, (circa 10 euro netti), ossia poco meno di 2mila euro lordi al mese, e l’orario lavorativo di otto ore giornaliere è generalmente rispettato. Come hanno raccontato al Post diverse persone che sono appena tornate o sono ancora in Francia a vendemmiare, di solito ci si trova al punto di raccolta alle 6:30 o alle 7 e si viene portati alle vigne su dei furgoni, o sui carretti dove poi verrà caricata l’uva attaccati ai trattori. Si lavora fino alle 10, quando ci si ferma per fare una merenda offerta dal datore di lavoro, e si stacca di nuovo alle 12 per un’ora o un’ora e mezza di pausa pranzo. La giornata finisce fra le 16 e le 17 con una seconda merenda.
Le esperienze più positive sembrano essere quelle in aziende a conduzione famigliare, dove spesso tutti i pasti sono offerti e a volte si dorme anche a casa del proprietario. Più spesso però la cena non è inclusa, così come a volte neanche il pranzo, specialmente nelle aziende più grandi, dove i pasti possono essere chiesti al datore di lavoro in cambio di una detrazione dallo stipendio. Anche per l’alloggio bisogna arrangiarsi. Spesso chi va a lavorare per una o due settimane dorme in camper o in tenda, in un campo vicino alla casa principale o alle vigne.
«Sicuramente ci vuole molto spirito di adattamento» dice Irene Pecci, che in Italia studia medicina e ha lavorato in un’azienda di medie dimensioni vicino Digione. «Dormivamo in tenda in una specie di parcheggio, utilizzavamo i bagni chimici e i fornelli da campeggio, ma a livello umano mi sono trovata molto bene. C’erano vari gruppi con persone molto diverse e di tante nazionalità, ma il mio era composto da 30 persone, di cui una ventina di francesi provenienti dalle zone circostanti e circa dieci italiani, studenti come me».
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Michelangelo Noè Bhattacharya, che ha lavorato in Borgogna, ha dormito con i suoi amici in sacco a pelo dentro a una casa che la sua datrice di lavoro stava ristrutturando e aveva sia il bagno che la cucina all’aperto. Nonostante abbia deciso come molti di andare a vendemmiare in Francia anche per ricevere la disoccupazione di rimpatrio, ha detto di essersi trovato molto bene e di star pensando di tornare anche nei prossimi anni: «il lavoro è molto faticoso e faceva caldissimo ma tutti erano molto attenti, i lavoratori più esperti che finivano prima andavano ad aiutare quelli più lenti. C’era molta solidarietà».
Le 10 persone non italiane che lavoravano con lui si dividevano principalmente fra chi lo faceva per guadagnare dei soldi, e nel resto dell’anno cambiava spesso lavoro, e chi invece lo considerava una tradizione e quasi un piacere: «con me c’era anche un dipendente statale francese che tutti gli anni dedicava una settimana delle sue ferie retribuite alla vendemmia perché diceva che gli piaceva tantissimo, faceva attività fisica e prendeva il sole. Il collega che si era portato dietro però non era contento quanto lui».
Alla fine del periodo lavorativo viene spesso organizzata una cena o una festa che contribuisce a rafforzare l’idea che la vendemmia fatta in questo modo non sia solo un impiego retribuito, ma anche un’esperienza di comunità.
Tuttavia, sembra che la dimensione dell’azienda influisca molto sul tipo di esperienza. Ginevra Mazzoni, che ha lavorato sia in un’azienda piccola che in una più grande con circa 50 dipendenti, conferma che «la cosa migliore era lavorare in un’azienda piccola gestita da una famiglia, dove vendemmiavi anche con i loro amici che venivano ad aiutare ed era un bell’ambiente». Più l’azienda è grande, dice Mazzoni, «meno ti fanno fare le pause e sono più rigidi sul metodo del taglio dell’uva». I suoi secondi datori di lavoro avevano atteggiamenti razzisti verso le persone provenienti per esempio dalla Romania, facevano lavorare i dipendenti senza interruzione per ore su dei terreni molto in salita e una volta, dice, non volevano portare all’ospedale una ragazza che si era ferita mentre lavorava.
Anche Elisabetta Giuliano, che ha lavorato in un’azienda a un’ora e mezza da Lione, non ha avuto un’esperienza positiva. Da lei, più di 50 dipendenti su 60 erano italiani, e i restanti erano prevalentemente greci. I suoi datori di lavoro le facevano spesso saltare la pausa di metà mattina e pretendevano che continuassero a lavorare anche mentre pioveva. «I primi giorni ha diluviato e le tende si sono inzuppate, ma loro se ne sono fregati, ci sono state diverse discussioni riguardo al fatto che noi chiedevamo un posto asciutto in cui dormire, ma questa cosa ci è sempre stata negata. Un giorno un gruppo di persone è arrivato un po’ in ritardo e le hanno licenziate sul posto».
Una regione francese in cui la situazione sembra invece simile a quella italiana è la Champagne, che si trova un centinaio di chilometri a est di Parigi. Questa regione è l’unica al mondo in cui si può fare l’omonimo e pregiato vino spumante, che è prodotto al 75% in uno solo dei cinque dipartimenti: la Marna. Mentre la vendemmia normale ha tempi più dilatati che si basano sulla maturazione dell’uva a seconda della tipologia e della regione geografica in cui si trova, la raccolta dell’uva utilizzata per fare lo Champagne avviene tutta nel giro di tre settimane. Questo attira nella Marna, che è grande quanto l’Umbria e ha una popolazione di circa 500mila persone, più di 80mila lavoratori stagionali in meno di un mese, che si aggiungono ai circa 40mila già presenti.
Nelle prime due settimane di settembre del 2023, nella Champagne sono morte quattro persone per motivi legati alle condizioni di lavoro e alle temperature elevate nelle vigne. A seguito di questi eventi, la prefettura della Marna ha chiuso alcuni alloggi per vendemmiatori a Nesle-le-Repons, a sud di Reims, dove vivevano circa 60 persone provenienti principalmente da paesi dell’Africa occidentale e le cui condizioni di vita erano state giudicate dall’Ispettorato del lavoro francese «insalubri» e «indegne».