«Vogliamo le tasche»
Nell'abbigliamento femminile, quando ci sono e non sono finte, sono spesso inutilmente piccole: è una storia lunga e mai del tutto superata
Nel 2018 il sito The Pudding pubblicò una ricerca in cui mostrava come in media le tasche dei jeans da donna fossero il 48 per cento più corte di quelle dei jeans da uomo, e anche lievemente più strette. A differenza delle tasche maschili, tra le tasche dei vestiti da donna meno del 40 per cento riusciva a contenere per intero uno smartphone e solo la metà era abbastanza grande per un portafogli. Solo una su dieci conteneva una mano femminile di medie dimensioni. Lo studio di The Pudding confermava una cosa che è ampiamente nota alla maggior parte delle donne, e cioè che le tasche dei capi d’abbigliamento femminili – quando ci sono e non sono finte – sono solitamente molto poco utili al loro scopo, e cioè contenere qualcosa.
Sulla diversa funzione che le tasche hanno avuto e hanno ancora oggi per le donne e per gli uomini, e dei risvolti politici di questa differenza, è uscito da poco un libro intitolato Pockets: An Intimate History of How We Keep Things Close (“Tasche: una storia intima di come teniamo le cose vicine”). Secondo l’autrice, l’esperta di design della moda Hannah Carlson, tra i motivi per cui i vestiti da donna sono ancora oggi sprovvisti di tasche capienti c’è che storicamente «più cose le donne potevano portare e maggiore era la libertà che potevano esercitare». Nell’ultimo anno qualche cambiamento di approccio si è visto nella moda, ma quello delle tasche rimane per molte ancora un problema quotidiano.
Da anni la giornalista e attivista britannica Caroline Criado Perez, autrice di Invisibili, un libro del 2019 che esplora le discriminazioni di genere a partire dai dati, porta avanti tra le altre cose la campagna #wewantpockets, «vogliamo le tasche», in cui raccoglie segnalazioni di pantaloni con tasche capienti, ma più spesso di tasche finte o eccessivamente piccole. A luglio del 2022 aveva dedicato un episodio del suo podcast a quello che lei definisce «great gender pocket gap», cioè «il grande divario di genere delle tasche».
Almeno storicamente, i vestiti femminili hanno previsto meno tasche, o nessuna tasca, perché si è supposto che le donne portassero con sé una borsa per contenere gli effetti personali. E allo stesso modo, è probabilmente una impressione comune che le donne in media portino con sé più oggetti rispetto agli uomini, anche se in questi casi è difficile stabilire se quelle che ci sembrano cause non siano almeno in parte conseguenze: e cioè che le donne si siano abituate a portarsi dietro più oggetti perché potevano farli stare nella borsa, e che al contrario gli uomini tengano con sé solo quelli che stanno dentro alle tasche. Ma per fare un esempio di quanto l’idea che le tasche siano una cosa da uomini sia radicata, anche quando non c’è nessun valido motivo perché sia così, Criado Perez aveva raccontato la storia del pigiama del marchio Percy Pig, la cui versione maschile aveva le tasche mentre la versione femminile no. Quando aveva chiesto il motivo alla catena di negozi M&S, che li producevano, non aveva ottenuto una vera spiegazione.
Nel podcast Criado Perez aveva intervistato Ariane Fennetaux, autrice di un altro libro del 2019: The Pocket: A Hidden History of Women’s Lives, 1660–1900 (La tasca: storia nascosta delle vite delle donne tra il 1660 e il 1900). Secondo Fennetaux tutta la questione si spiega col fatto che le tasche «rappresentavano uno spazio sotto il controllo delle donne in un periodo in cui le donne non dovevano avere nessun tipo di proprietà» e che per questo aprivano «una crepa nel sistema patriarcale basato sul controllo delle donne e di quello che le donne possedevano. Una tasca era un vero e proprio posto tutto per loro».
Secondo la ricostruzione di Carlson la storia delle tasche inizia circa cinque secoli fa. Nel Medioevo infatti sia gli uomini che le donne portavano le loro cose in delle specie di borse legate alla vita come marsupi. Queste borse vennero poi nascoste nei vestiti per ragioni di sicurezza e così nelle giacche degli uomini e nelle sottogonne delle donne si iniziarono a cucire fessure per accedere alle prime tasche, che erano simili a piccole borse appese internamente ai vestiti. Fu solo alla fine del Seicento che le tasche cominciarono a essere cucite ai vestiti degli uomini, nei cappotti, nei panciotti e nei pantaloni. Nei vestiti femminili non accadde lo stesso e le donne continuarono a portare sacche rimovibili. Nel suo libro Carlson dice che non è chiaro il motivo per cui in quegli anni le tasche cominciarono a essere cucite solo sui vestiti maschili, anche se una teoria molto popolare è che per gli uomini le tasche furono inizialmente una soluzione per imbottirsi i pantaloni, come andava di moda.
Dopo la Rivoluzione Francese, alla fine del Settecento, lo stile degli abiti femminili cambiò, le gonne diventarono più aderenti al corpo e fu alzata la linea della vita: si passò al cosiddetto “stile impero” in cui non c’era più spazio per le tasche femminili com’erano state fino a quel momento. Tuttavia le donne avevano ancora bisogno di un modo per portare i propri oggetti personali e così cominciarono a usare delle borsette, più simili a sacchetti che alle borse contemporanee, di stoffa e molto decorate. Gli unici abiti femminili ottocenteschi che avevano tasche nascoste nelle gonne erano quelli delle bambine, delle donne anziane e delle donne della classe operaia. Un’altra eccezione, scrive Carlson, è quella della poeta Emily Dickinson, che riuscì a convincere il proprio sarto a farsi cucire una tasca per portare con sé carta e matita.
Secondo Paul Johnson, uno storico e giornalista inglese, i pantaloni e le tasche crearono un nuovo tipo di disuguaglianza tra uomini e donne, dato che le borsette, che in qualche modo occupano le mani o le braccia, limitavano il movimento delle donne e rendevano più complicato cercare gli oggetti. In un articolo del 2011 sul quotidiano Spectator, Johnson raccontò che nel 1954 lo stilista francese Christian Dior gli disse: «Gli uomini hanno le tasche per tenerci le cose, le donne per decorazione».
Le tasche divennero per la prima volta una questione femminista attorno al 1910, quando la American Ladies Tailors’ Association creò il “completo da suffragette”, che come scriveva il New York Times era «pieno di tasche». Nel 1915 la suffragista e scrittrice statunitense Alice Duer Miller affrontò il problema in un poema della raccolta satirica Are Women People? (“Le donne sono persone?”) che venne pubblicato sul New York Tribune.
Perché ci opponiamo alle tasche per le donne
1. Perché le tasche non sono un diritto naturale.
2. Perché la gran parte delle donne non vuole le tasche. Se le avessero volute le avrebbero.
3. Perché ogni volta che le donne hanno avuto le tasche non le hanno usate.
4. Perché alle donne è richiesto di portare abbastanza cose già così, senza bisogno del peso aggiuntivo delle tasche.
5. Perché creerebbe tensione tra marito e moglie sulle tasche di chi dei due riempire.
6. Perché distruggerebbe la cavalleria maschile non poter portare tutte le cose nelle proprie tasche.
7. Perché gli uomini sono uomini e le donne sono donne. Non dobbiamo sfidare la natura.
8. Perché le tasche sono state usate dagli uomini per portare tabacco, pipe, fiaschette di whisky, gomme da masticare e lettere compromettenti. Non abbiamo ragione di credere che verranno usate più saggiamente dalle donne.
Con l’inizio della prima guerra mondiale le donne cominciarono a indossare sempre più capi d’abbigliamento pratici, con pantaloni e tasche. Allo stesso tempo però Carlson racconta che alle migliaia di donne che fecero le volontarie per il Women’s Army Auxiliary Corps, il ramo femminile dell’esercito statunitense, vennero date uniformi che a differenza di quelle degli uomini non le avevano.
Con la diffusione dei pantaloni e con la più recente tendenza della moda a superare la rigida divisione tra maschile e femminile, il problema delle tasche si è ridotto ma non è scomparso. Per via di tutta la loro storia le tasche hanno accumulato una serie di significati che si addicono poco all’idea tradizionale di femminilità. Come spiega Carlson, per un periodo le tasche furono abbinate alle armi da fuoco, che cominciarono per questo a essere prodotte di dimensioni sempre più ridotte, e alla classe lavoratrice. Più in generale il gesto di stare con le mani in tasca ebbe da subito una connotazione volgare e considerata accettabile solo dai bambini, perché avvicinava le mani al pube.
Un altro motivo per cui la moda femminile non ha davvero mai rivalutato l’utilità delle tasche è che il mercato delle borse è diventato talmente grosso, soprattutto per i marchi di lusso, da disincentivare qualsiasi tipo di possibile alternativa. Nel suo libro Carlson racconta che quando Diana Vreeland, storica redattrice di moda della rivista Harper’s Bazaar, divenne direttrice di Vogue America, propose di dedicare un numero alle tasche e al superamento delle borse, che secondo lei erano «una noia», ma non le fu permesso proprio perché avrebbe significato dover rinunciare a troppi inserzionisti.
Intervistata dal Guardian però Carlson ha detto che secondo lei «la vera “età delle tasche” potrebbe essere arrivata, perché tutto il necessario per la nostra vita quotidiana è diventato molto poco ingombrante. Usiamo poco i contanti e indirizzari, agende e mappe sono scomparse».
Nell’ultimo anno, tra le sfilate delle settimane della moda e i grandi eventi del mondo dello spettacolo, di tasche si è cominciate a vederne parecchie, anche ingombranti e vistose, sia sugli uomini che sulle donne. Ne ha scritto tra gli altri Kristen Bateman su Elle: «le tasche sono rapidamente diventate il principale ornamento di questa stagione, spuntando in massa sulle minigonne di Miu Miu, sui corsetti di Dion Lee, sui miniabiti di Blumarine, sui pantaloncini di Isabel Marant e sugli stivali di The Attico, tra le altre cose». C’entra in parte il ritorno della moda dei pantaloni cargo, larghi e pieni di tasche, tipici dei primi anni Duemila, ma non è da escludere che l’alta moda abbia in qualche modo recepito il dibattito femminista attorno alle tasche e a quello che significano.