Anche nel secondo dibattito fra i candidati Repubblicani ha vinto Trump, che non c’era
I suoi sette avversari alle primarie per la presidenza degli Stati Uniti si sono attaccati tra loro, ma nessuno è riuscito davvero a emergere
Mercoledì sera nella biblioteca presidenziale Ronald Reagan in California si è tenuto il secondo dibattito tra i principali candidati alle primarie Repubblicane per la presidenza. Come in occasione del primo dibattito, anche stavolta non era presente Donald Trump, favorito per la nomination Repubblicana e ampiamente in vantaggio nei sondaggi. I sette Repubblicani presenti al dibattito hanno partecipato a una serata piuttosto caotica, durante la quale hanno cercato di trovare visibilità spesso attaccandosi a vicenda. I media statunitensi sono piuttosto concordi nel dire che nessuno di loro abbia veramente lasciato un’impressione capace di smuovere l’elettorato e che la scelta di Trump di non presentarsi sia stata fin qui azzeccata.
I sette partecipanti sono stati selezionati in base ad alcuni requisiti tra cui il numero di sostenitori e le donazioni ricevute. Erano l’ex governatore del New Jersey Chris Christie, l’ex vicepresidente Mike Pence, il governatore della Florida Ron DeSantis, l’imprenditore Vivek Ramaswamy, l’ex ambasciatrice degli Stati Uniti presso l’ONU Nikki Haley, il senatore Tim Scott e il governatore del North Dakota Doug Burgum. Le primarie dei Repubblicani cominceranno a gennaio, e serviranno a scegliere il candidato del partito alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 5 novembre del 2024 (quelle dei Democratici cominceranno invece a febbraio, ma è praticamente certo che il candidato sarà il presidente Joe Biden).
Particolari attenzioni erano rivolte a Ron DeSantis, che fino a qualche mese fa era considerato l’alternativa più credibile all’ex presidente. Da quando ha annunciato ufficialmente la sua candidatura però non ha saputo essere davvero convincente, e ha visto lo svantaggio rispetto a Trump nei sondaggi amplificarsi, invece che ridursi. Attualmente Trump è indicato intorno al 54 per cento nelle intenzioni di voto, DeSantis è sotto il 14 per cento. La sua campagna fin qui molto deludente ha scoraggiato anche molti dei possibili finanziatori: dopo un iniziale entusiasmo i più importanti sembrano aver bloccato o almeno messo in pausa le donazioni alla sua campagna, in attesa di capire se sia un candidato con reali possibilità.
Anche nel secondo dibattito televisivo DeSantis non è stato particolarmente incisivo e non ha parlato per i primi quindici minuti, considerati fra i più importanti dagli analisti, perché quelli con maggiore audience. In seguito ha infine attaccato in modo diretto Donald Trump, accusato di essere “fra i dispersi” sia per quel che riguarda lo stallo politico sul bilancio dello stato che nel dibattito fra i candidati: «Trump dovrebbe essere qui sul palco per difendere il proprio operato come presidente». L’ex presidente è stato accusato di essere un «codardo» da un altro candidato, l’ex governatore del New Jersey Chris Christie, da sempre fra i maggiori critici di Trump all’interno del partito. DeSantis ha poi chiamato in causa Trump una seconda e ultima volta criticandolo per aver definito «una cosa terribile» la legge che limita l’aborto alle prime sei settimane. È stato anche uno dei pochi riferimenti della serata al diritto all’aborto, un tema che può dividere l’elettorato repubblicano: i conduttori di Fox Business e Univision non hanno fatto domande sul tema.
Due candidati avevano tratto vantaggio nei sondaggi dopo il primo dibattito: il primo era l’imprenditore Vivek Ramaswamy, che aveva presentato proposte ancora più radicali rispetto ai rivali (come quella di abolire la concessione della cittadinanza americana a chiunque sia nato negli Stati Uniti), e che si era dimostrato un oratore molto efficace all’interno di un dibattito a più voci. In questo secondo appuntamento è stato molto attaccato dai rivali, che hanno segnalato le contraddizioni delle sue proposte e hanno provato a “tenergli testa”, anche a costo di alzare la voce e violare le regole che erano state definite per il dibattito (come quella di non interrompere un altro candidato). L’attacco più duro è arrivato dall’altra candidata che aveva tratto profitti dal primo dibattito, l’ex ambasciatrice degli Stati Uniti all’ONU Nikki Haley. Ha detto rivolta a Ramaswamy: «Ogni volta che ti sento parlare mi sento un po’ più stupida. Non ci si può fidare di te».
Haley, in passato anche governatrice del South Carolina, è stata al centro di uno dei momenti più animati della serata, quando il senatore Tim Scott l’ha accusata di aver speso 50mila dollari per delle tende elettriche nella residenza ufficiale dell’ambasciata presso le Nazioni Unite. Haley ha ricordato che l’acquisto era stato effettuato da una precedente amministrazione (quella di Barack Obama) e lo scambio si è trasformato in una surreale lite in cui i due candidati si urlavano a vicenda che si sarebbero dovuti fare carico di restituire le tende in questione.
L’episodio è un esempio di un dibattito in cui quasi tutti i candidati hanno cercato di farsi notare alzando i toni, compresi quelli come Scott che nella prima occasione erano stati più moderati. La maggior parte degli attacchi e delle discussioni è stata a livello personale, nel tentativo di mettere in risalto le debolezze degli altri candidati. Quello che è mancato, però, sono stati grossi attacchi nei confronti di Donald Trump, anche se sarebbe il candidato da battere e contro il quale tutti dovrebbero rimontare, almeno in teoria.
Sono mancate vere prese di posizione su temi di politica interna ed estera: i candidati hanno accusato a lungo il presidente Joe Biden per l’aumento dell’immigrazione dal confine meridionale e per l’appoggio ai sindacati sugli scioperi. Qualche differenza è stata notata nell’approccio al sostegno militare all’Ucraina: Ramaswamy ha sostenuto che continuare a fornirlo avrebbe spinto la «Russia più vicina alla Cina», mentre DeSantis ha detto che non firmerebbe un «assegno in bianco all’Ucraina». I moderatori non hanno invece introdotto il tema dei problemi legali di Donald Trump.
Il prossimo dibattito fra i candidati Repubblicani sarà fra oltre un mese, l’8 novembre a Miami. Allora le regole per parteciparvi saranno ancora più strette: i candidati dovranno avere almeno il 4 per cento dei favori nei sondaggi e dovranno dimostrare di aver raccolto una certa quota di donazioni per la campagna. Il dibattito, a cui non parteciperà comunque Trump, potrebbe quindi essere fra un numero ridotto di candidati.