Il Guinness dei primati ha tolto a Messner un record che non gli interessa
Quello di aver salito per primo senza bombole d'ossigeno le 14 cime di ottomila metri, perché in un caso si è fermato poco prima
Il Guinness dei primati, il libro che raccoglie ogni anno un elenco dei record relativi ai temi più disparati, ha recentemente smesso di attribuire all’alpinista sudtirolese Reinhold Messner la prima salita di tutte e 14 le montagne sopra agli ottomila metri in stile alpino, cioè senza utilizzare bombole d’ossigeno. Dopo che un giornalista tedesco aveva scoperto che molto probabilmente Messner si era fermato pochi metri sotto la cima dell’Annapurna, montagna himalayana alta 8.091 metri, il Guinness dei primati aveva stabilito che la prima persona a salire in cima a quello e a tutti gli altri ottomila fosse stato lo statunitense Edmund Viesturs, che tra il 1989 e il 2005 li salì a sua volta senza ossigeno supplementare.
La decisione del Guinness dei primati si è basata su un tecnicismo e per la maggior parte delle persone che seguono l’alpinismo non ha davvero senso: non ci sono dubbi che sia stato Messner il primo a compiere quell’impresa, nonostante si fosse fermato qualche metro sotto la cima dell’Annapurna per un errore di valutazione. Lo stesso Viesturs gli ha dato ragione: «Sono fermamente convinto che Reinhold Messner sia stato il primo a scalare tutti e 14 gli ottomila e che questo debba essere riconosciuto».
Ma Messner, che da sempre si è espresso contro la concezione dell’alpinismo come una disciplina agonistica e fatta di record, ha detto: «Non volevo avere questo record sul libro del Guinness e anche se adesso me lo restituissero io non lo voglio, perché mi sento offeso dai contorni di questa vicenda».
La questione era stata aperta alcuni anni fa quando Jurgalski, un 68enne tedesco che non ha mai scalato quelle montagne di persona, aveva fatto estese ricerche sui documenti disponibili – fotografie e appunti, principalmente – riguardo alle salite delle montagne himalayane negli scorsi decenni: aveva scoperto che moltissime persone a cui sono riconosciute le scalate si sono fermate in realtà sotto al punto più alto di quelle montagne, per questioni di sicurezza (un’ultima cresta troppo esposta da superare, per esempio), perché in certi casi non è davvero chiaro quale sia, oppure perché alcune di quelle cime sono considerate sacre dalle popolazioni locali. Jurgalski e altri avevano quindi sostenuto che andasse di fatto riscritto un bel pezzo della storia dell’alpinismo himalayano, togliendo queste salite secondo lui incompiute a molti alpinisti.
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Il problema si pone di fatto per sei o sette montagne, tra cui lo Shisha Pangma, la cui cima è separata da un’altra da una cresta pericolosa, o il Dhaulagiri e l’Annapurna, che terminano con lunghe creste quasi pianeggianti, raggiungibili da versanti diversi e in cui è quasi impossibile distinguere il punto più alto, oppure ancora il Kangchenjunga e il Manaslu. La tesi di Jurgalski ha trovato alcuni sostenitori, convinti che sia importante stabilire dei criteri rigidi per certificare o meno se una persona abbia raggiunto la cima di una montagna, visto che gli alpinisti a salire sopra agli ottomila sono sempre di più.
Il punto è che per come intendono molti l’alpinismo, quella sollevata è una questione totalmente irrilevante. Un metro in più o in meno, ma anche venti o cinquanta, non hanno realmente importanza per chi si è formato in un periodo in cui l’attenzione ai primati e alla dimensione competitiva dell’alpinismo era molto inferiore. E anche per chi, pur più giovane, è legato a un approccio più “purista” alla montagna che vede nell’alpinismo una disciplina individuale, di esplorazione del mondo e di se stessi. E quindi crede che un’ascesa sia una questione personale, più che la dimostrazione ad altri delle proprie capacità.
Messner, che è stato il più grande alpinista himalayista della storia, e che tra gli anni Settanta e Ottanta fece in Asia alcune delle più grandi imprese compiute dall’umanità sulle montagne, è tra queste persone.
Quando era emersa la questione, aveva tranquillamente detto che forse su qualcuno degli ottomila non era stato davvero nel punto più alto. Sull’Annapurna, che scalò nel 1986 percorrendo senza bombole di ossigeno l’allora “inviolata” parete nord ovest, quando arrivò sulla cima si vedeva poco per cercare l’esatto punto. «Se dicono che sull’Annapurna sono stato cinque metri sotto la cima, mi va benissimo. Non provo nemmeno a difendermi: se viene qualcuno e mi dice che tutto quello che ho fatto è una stronzata, gli dico di pensare quello che vuole».
Viesturs, a cui il Guinness ha attribuito il nuovo record, ha scritto su Instagram che lui e gli altri alpinisti si ispirarono proprio a Messner quando seguirono il suo esempio scalando gli ottomila in stile alpino. «Credo che Messner e gli altri fecero il possibile per scalare queste vette fino alle loro vere cime, al meglio delle loro abilità, nelle condizioni in cui erano. Non penso che nessuno di questi alpinisti volesse essere disonesto. Scalare le montagne è un viaggio personale, e non dovrebbe riguardare l’essere su una lista o lo stabilire un record».
Il Corriere della Sera riporta la risposta di Messner, che ha ringraziato Viesturs dicendo che «la sua solidarietà mi rende molto contento, è una virtù che caratterizza il mondo degli alpinisti». Ha definito l’intera polemica «una campagna contro di me», aggiungendo: «La maggior parte delle persone non conosce cosa significhi salire in cima ad una montagna da ottomila metri e scalare in cordata su pareti di ghiaccio e roccia alte quattro chilometri. Figuriamoci se alla fine non si percorrono gli ultimi cinque metri per arrivare alla meta».