Il governo indiano blocca Internet come nessun altro al mondo
Il primo ministro Narendra Modi dice di farlo per ragioni di sicurezza, ma la storia recente del paese suggerisce qualcos'altro
Negli ultimi anni in India il governo ha bloccato l’accesso a internet con una frequenza molto elevata, come nessun altro paese al mondo: nel 2022, per esempio, di 187 interruzioni di internet in tutto il mondo 84 si erano verificate in India, secondo un rapporto diffuso a primavera dal gruppo statunitense Access Now.
A detta del governo del primo ministro Narendra Modi, nazionalista e conservatore, i blocchi sarebbero stati decisi per mantenere l’ordine e la sicurezza, soprattutto nelle aree del paese con maggiori tensioni etniche e sociali. Da tempo però in India, lo stato democratico più popoloso al mondo, ci sono numerose limitazioni di molti diritti e libertà, tra cui la libertà di espressione, imposte dal governo per garantirsi il controllo del paese e assicurare una posizione privilegiata degli induisti, gruppo religioso a cui appartiene anche il primo ministro Modi.
I blocchi di internet si sono intensificati soprattutto negli ultimi sei anni, a partire dal 2017, quando Modi, del partito Bharatiya Janata Party (BJP), introdusse diverse regole che gli permisero di ampliare i propri poteri, tra cui decidere di applicare i blocchi con una certa facilità. Da quel momento in India le interruzioni di internet sono diventate quasi una routine.
In teoria la legge prevede comunque delle regole: l’accesso a internet non può essere interrotto per più di 15 giorni consecutivi e ogni interruzione deve essere comunicata pubblicamente. Prateek Waghre, dirigente dell’organizzazione non governativa Internet Freedom Foundation, ha detto che nei fatti però questo non sempre succede, che i blocchi di internet vanno avanti per mesi e che in generale c’è poca trasparenza nell’operato delle istituzioni, sia a livello locale che nazionale.
Una delle parti dell’India in cui l’accesso a internet è stato bloccato più di frequente è il Kashmir, stato indiano a maggioranza musulmana rivendicato dal Pakistan e oggetto di un’antica disputa territoriale. Negli ultimi anni il governo indiano ha ridotto molto l’autonomia di questo stato e i diritti di chi ci vive: tra le altre cose nel 2019 fu abolito lo statuto speciale, che era garantito dalla Costituzione indiana fin dagli anni Cinquanta e che ne faceva una regione autonoma con proprie regole su residenza e proprietà.
Tra agosto del 2019 e febbraio del 2021, in concomitanza con alcuni scontri al confine tra le forze indiane e quelle pakistane, il governo aveva stabilito un blocco di internet di 18 mesi, il più lungo mai imposto in uno stato in cui è in vigore un sistema politico democratico. Allora il ministro dell’Interno indiano, Amit Shah, sostenne che servisse a «evitare spargimenti di sangue» e a «salvare i bambini».
Un altro stato in cui il governo ha imposto spesso blocchi di internet è il Manipur: l’ultima volta lo scorso maggio, con un blocco durato oltre tre mesi e imposto durante alcuni scontri etnici fra la maggioranza Meitei e la comunità Kuki. Gli scontri avevano provocato gravi violenze che il governo di Modi era stato accusato di aver ignorato. Tra le altre cose il blocco di internet aveva rallentato la circolazione di informazioni su quello che stava succedendo, e aveva permesso ad alcuni episodi di violenza contro la minoranza Kuki di restare quasi sconosciuti per mesi: è il caso di due donne costrette a sfilare nude da centinaia di uomini, avvenuto a inizio maggio ma di cui si era saputo solamente a fine luglio.
Le frequenti interruzioni della rete internet da parte del governo hanno avuto conseguenze immediate sull’economia e su molti settori, come la sanità o l’istruzione. Molti servizi bancari o della pubblica amministrazione sono digitalizzati: senza l’accesso a internet diventa impossibile fare bonifici o ricevere sussidi, se previsti. Ci sono poi moltissime persone il cui lavoro dipende totalmente da internet, come per esempio quelle che lavorano con le piattaforme di e-commerce, che ovviamente non possono svolgere la propria attività.
Access Now, organizzazione non profit che ha scritto il rapporto e che si occupa di diritti digitali, ha detto al Guardian che in India i blocchi di internet «sono usati come arma e strumento di controllo politico: al primo segnale di una protesta, di una rivolta, di una qualsiasi forma di dissenso, la prima cosa che fanno è interrompere internet senza doverne praticamente rendere conto».