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  • Giovedì 28 settembre 2023

Quanto poco sappiamo della Storia che non è la nostra

Ad esempio di quella della Cina, e in particolare del "secolo dell'umiliazione" e della sua influenza sul mondo di oggi

Sulla Grande muraglia cinese, il 29 aprile 2023 (Kevin Frayer/Getty Images)
Sulla Grande muraglia cinese, il 29 aprile 2023 (Kevin Frayer/Getty Images)
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Quando pensiamo alla storia del mondo, la cosiddetta Storia con la S maiuscola, possiamo avere l’impressione che la sua conoscenza sia un sapere oggettivo: nel tal anno è successa la tal cosa, e dopo un secolo quell’altra, e via dicendo. In realtà basta riflettere un po’ su ciò che si ricorda della Storia insegnata a scuola per rendersi conto di quanto il punto di vista nazionale abbia influenzato ciò che ci è stato insegnato e di quanto superficialmente conosciamo certi periodi storici e le vicende di altri paesi.

È uno degli aspetti su cui invita a riflettere Non mi ricordo le date! La linea del tempo e il senso della storia, un agile saggio dello storico e divulgatore Alessandro Vanoli da poco pubblicato da Treccani Libri in una collana, “Tessere”, pensata per fare “ripasso creativo” di ciò che abbiamo studiato da giovani. Ne pubblichiamo un estratto dedicato alla storia di uno dei paesi più influenti sul mondo di oggi: la Cina.

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Se ci pensate, di quanti paesi avete davvero studiato un po’ di storia? Dell’Italia, della Francia, un po’ della Germania, e sempre per evidenti problemi di conflitto o di contiguità politica (in fondo siamo confinanti). Cosa ricordate davvero dell’Inghilterra (a parte un’idea spesso vaga sulle intemperanze sessuali di Enrico VIII o, per i più anziani, una memoria da sceneggiato televisivo sulla guerra delle Due rose)? Cosa sapete della Spagna? Due sole cose, immagino: il fatto che abbia dominato l’Italia meridionale e, in tempi diversi, parte dell’Italia settentrionale; e poi, soprattutto, qualcosa della guerra civile, per ovvie ragioni di contiguità politica. Nulla del suo Medioevo e della cosiddetta Reconquista, e nulla che riguardi il fatto non banale di essere stata, nel Cinquecento, il più grande impero del mondo… Per non parlare della Polonia o della Russia, di cui so benissimo che quasi nessuno ha contezza.

Diciamoci la verità: già così è difficile mettere delle basi serie a qualsiasi idea di Europa che, oltre alla moneta, voglia condividere un po’ di storia comune. Ma ancora più difficile, ovviamente, è pensare di aver qualche possibilità di sentire il ritmo della storia del mondo: la storia dei paesi islamici, ad esempio, o quella dell’India o ancor più della Cina, semplicemente non ci è quasi data. (…)

Una storia da imparare: la Cina
Forse non c’è paese più lontano dalla nostra linea del tempo e che avrebbe più urgenza di entrarvi. Questo almeno per un paio di buoni motivi: perché il suo impero millenario ha avuto un’importanza storica spesso anche superiore a tanti nostri fatti regionali; e perché la Cina è oggi parte della nostra storia, in modo molto più pervasivo di quanto normalmente pensiamo.

Certo, non è facile: tutto questo ci obbliga a guardare il mondo da un altro punto di vista. A cominciare dalla vastità territoriale e da quell’idea di impero che pare durare da sempre. Zhōngguó, “paese di mezzo”, chiamano i cinesi la loro terra. La pensano da sempre come il centro del mondo, un centro che si estende in modo vertiginoso verso la periferia, fino alle civiltà dei barbari. Tutto questo ha segnato la storia della Cina, dalle origini ai giorni nostri: a partire dal rapporto complicato, dialettico se vogliamo, tra l’impero e le popolazioni “barbare” tutte attorno; un rapporto fatto alternativamente di scambi, guerre, invasioni e sottomissioni. Dietro c’è l’idea tutta cinese che la civiltà (cioè la loro civiltà: l’unica pensabile) si irradi dal centro verso le periferie.

Se questo è già difficile da capire, dobbiamo poi sforzarci di inserire quel mondo nelle nostre coordinate spaziali e temporali. Per esempio, potete cominciare con l’inizio del primo vero impero cinese, quello dell’imperatore Qin Shi Huang-di, che risale al 221 a.C., cioè ai tempi di Annibale e della seconda guerra punica. Il “primo imperatore dei Qin” (questo vuol dire il suo nome in cinese) varò una serie di riforme che avrebbero lasciato un’impronta indelebile nella storia di quella parte del mondo. Mai un territorio così vasto – dalle attuali province del Gansu e del Qinghai a ovest, fino alle regioni verso Hanoi in Vietnam a sud, e oltre il Fiume Giallo e la penisola del Liaodong a nord – si era trovato sotto il controllo di un unico sovrano. Se cercate questi nomi su una carta vedrete che si trattava di una Cina ancora decisamente settentrionale rispetto a quella successiva, ma che era comunque un territorio vastissimo. Fu un’opera di unificazione politica e militare senza precedenti, che coinvolse persino la scrittura, la moneta, le misure di peso, di capacità e di lunghezza. Un’opera che ebbe il suo riflesso in costruzioni che volevano sfidare l’eternità: fu Qin Shi Huang-di che fece sistemare la prima ossatura della Grande Muraglia, e fu sempre lui a farsi seppellire con un esercito di ottomila statue di terracotta. Difficile dire che una simile storia non ci riguardi.

A questo punto dovremmo procedere attraverso una storia scandita dalle dinastie, che fatichiamo a collocare nelle nostre griglie temporali: gli Han, la cui gloria imperiale rivaleggia con quella di Roma, visto che ne è pure contemporanea (con alterne vicende vanno dal III secolo a.C. al III d.C.); e poi i Tang durante il nostro primo Medioevo (618-907). La loro capitale, Chang’an, fu letteralmente il centro del mondo: una città di oltre un milione di abitanti proiettata da una parte verso la Via della seta e dall’altra verso la costa cinese, dove salpavano navi per l’Asia sudorientale, l’India e il mondo arabo, e persino per la costa dell’Africa orientale.

E più su risalendo la storia, fino all’invasione mongola, quando a metà del XIII secolo la linea del tempo cinese si interseca fatalmente con la nostra, visto che quelle orde nomadi attraversarono l’Asia fino a lambire l’Europa. Da quella stagione di distruzioni e conquiste sarebbe nata una nuova dinastia cinese, gli Yuan, appunto di stirpe mongola. Tra di loro, Qūbīlāy fu l’imperatore che più trasformò la corte adattandola alla cultura e alle tradizioni cinesi. Fu anche l’imperatore che collocò la sua capitale estiva nella Mongolia interna, ribattezzandola Shangdu: quel luogo da sogno che avrebbe ospitato Marco Polo e la sua famiglia, e che avrebbe echeggiato per secoli nella memoria europea.

Vale la pena rifletterci un attimo, su questo incontro tra Marco Polo e Qūbīlāy, perché il viaggiatore veneziano è ancora oggi una delle pochissime figure occidentali conosciute in Cina (e dunque uno dei pochi punti in cui le reciproche linee del tempo si avvicinano un po’). L’altra è Matteo Ricci, il missionario marchigiano che alla fine del Cinquecento si recò in Cina, dove per trent’anni avrebbe svolto un ruolo fondamentale nella diffusione non solo del cristianesimo, ma anche della cultura e della scienza europea. Ma quella di Ricci è una storia del Cinquecento, e a quel tempo la dinastia mongola non c’era più da tanto: dopo ribellioni e rivolte, un monaco buddhista di origine contadina aveva sconfitto gli Yuan e nel 1368 aveva proclamato la nuova dinastia dei Ming, che avrebbe governato sulla Cina per secoli, dalla fine del nostro Medioevo alla metà del Seicento.

Ming: è forse l’unico nome di dinastia cinese che conosciamo un po’ tutti, e in questa nostra memoria c’entrano i crescenti contatti con l’Europa che avvennero durante i secoli in cui essa regnò. La dinastia Ming, infatti, rimase al potere fino alla metà del Seicento, facendo raggiungere risultati incredibili al commercio e all’attività artigianale. Forse la ricordiamo proprio per quello: per tutte le porcellane e le giade che in quel periodo giunsero sui banchi dei mercanti olandesi e portoghesi. Ma quegli oggetti erano solo la punta visibile in Occidente di un impero che era davvero il centro del mondo. Giusto per dare un’idea, a quel tempo, tra il XVI e il XVII secolo, la Cina e l’impero Moghul contribuivano al prodotto lordo globale rispettivamente per il 29 e per il 22 per cento, a fronte, ad esempio, dell’1,8 per cento della Gran Bretagna e del 2,9 per cento del Giappone. Numeri che fanno impressione. E l’eco di quella gloria la si può vedere anche nelle vestigia storiche: la Città proibita a Pechino o la Grande muraglia, che nella forma in cui la ammiriamo oggi è appunto il risultato degli ampliamenti e delle ristrutturazioni di epoca Ming.

Da quel momento le reciproche linee del tempo si fanno sempre più vicine: è a partire dall’epoca Ming, infatti, che gli europei cominciarono a inserirsi con sempre maggior forza e violenza nell’economia cinese. Una lunga storia di commerci e, soprattutto, di aggressioni coloniali proseguita attorno alla metà del Seicento sotto la dinastia Qing e terminata solo con la rivoluzione del 1911. La Cina reagì, naturalmente: ad esempio, vietò le attività delle missioni cristiane e cercò di chiudere le frontiere, mentre nel paese montava sempre di più un forte odio per gli stranieri occidentali. Ma chiudere davvero le frontiere si dimostrò impossibile. A metà Ottocento gli inglesi finirono per imporre il commercio dell’oppio all’interno della Cina, nonostante i duri divieti imperiali. Ne venne un conflitto tragicamente famoso, la prima guerra dell’oppio appunto (1839-1842), che si concluse con il trattato di Nanchino e la cessione di Hong Kong agli inglesi. Poi nel 1860 il trattato di Pechino, che sancì con riluttanza la legittimità dell’apertura di ambascerie europee. Quindi altri scontri, la rivolta dei Boxers scoppiata nel 1900, e l’avvio di una “politica della porta aperta”, una sorta di mercato comune per le esportazioni.

Bainián Guóchi, “secolo dell’umiliazione”, chiamano ancora oggi in Cina i cent’anni che vanno dalla prima guerra dell’oppio al 1949. Un altro tipo di periodizzazione, di linea del tempo: un lungo periodo in cui le potenze imperialistiche occidentali sottomisero, non solo economicamente, la Cina; il tempo dei trattati ineguali, delle sconfitte militari, della caduta dell’impero nel 1911, dopo più di duemila anni di storia. Il loro rapporto con il nostro Occidente, i cinesi lo misurano ancora da lì. Il resto è storia recente: la Repubblica Popolare, proclamata nel 1949 da Mao Zedong; le grandi trasformazioni degli ultimi decenni del Novecento; l’impressionante rinascita economica del nuovo millennio e il lungo governo di Xi Jinping, che si comprende per davvero, forse, se si guarda a quell’idea politica millenaria che non ha mai veramente abbandonato la Cina.

Tratto da Non mi ricordo le date! di Alessandro Vanoli,
Istituto della Enciclopedia Italiana, 2023
Per gentile concessione dell’editore

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