Il microscopico ritorno di moda delle musicassette
Se ne vendono pochissime ma più di qualche anno fa, grazie a poche aziende specializzate e al fascino che esercitano su qualcuno
Quando entra nella sala dedicata alla produzione Cristian Urzino, fondatore di Tape It Easy, la più nota azienda italiana che stampa musicassette, dice di sentirsi «dentro una puntata di Stranger Things: fuori è il 2023, ma quando varchiamo questa porta ci ritroviamo nel pieno degli anni Ottanta». Lo straniamento temporale è dovuto alle macchine che vengono utilizzate per stampare le musicassette, piuttosto datate. Ogni giorno per esempio vengono usati tre caricatori di nastro prodotti alla fine degli anni Ottanta da Tapematic, un’azienda italiana che contribuì moltissimo a diffondere questi supporti in Italia e nel mondo. Servono a completare due fasi delicate del processo produttivo, ossia quella del “loading” (il caricamento del nastro all’interno della cassetta) e quella dello “slicing” (la divisione del nastro cassetta per cassetta).
Stampare migliaia di musicassette, dice Urzino, non è un compito facile: servono tempo, esperienza e una certa versatilità, perché si ha a che fare con strumentazioni scomparse dal mercato da tempo. Con il passare degli anni, le apparecchiature che servono per realizzarle sono diventate sempre più difficili da trovare. La loro produzione è stata dismessa una trentina di anni fa, e per procurarsele bisogna riferirsi al mercato dell’usato. «Nel 2014 siamo riusciti a rilevare uno stabilimento a San Marino, che era già dotato di tutti i macchinari di cui avevamo bisogno», racconta Urzino. «È stata una vera fortuna: siamo riusciti a ottenere tutto ciò che occorre per la duplicazione, l’avvolgimento e il confezionamento del prodotto. È stato un investimento fondamentale, dato che è l’equipaggiamento che utilizziamo ancora oggi».
Apparecchi così datati rendono problematico intervenire in caso di guasti: «Cerchiamo di fare manutenzione non appena si presenta un problema, ma bisogna un po’ arrangiarsi: trovare dei pezzi di ricambio è difficile e, anzi, spesso le componenti danneggiate devono essere ricostruite».
In Italia le musicassette hanno avuto di recente un momento di nuova visibilità per via di Mixed by Erry, film di Sydney Sibilia che racconta una storia vera, quella di Enrico Frattasio, detto Erry, un dj napoletano che alla fine degli anni Settanta riuscì ad arricchirsi moltissimo registrando e vendendo cassette contraffatte. Tra le altre cose, il film spiega come questo supporto consentì la nascita del fenomeno della pirateria musicale privata. Le cassette permettevano infatti di creare compilation personali in casa, registrando i flussi radiofonici o duplicando quelle altrui. Il risultato fu che, a un certo punto, registrare delle playlist personalizzate su cassetta con l’obiettivo di venderle, senza preoccuparsi troppo di violare il diritto d’autore, divenne una pratica abbastanza diffusa.
L’invenzione delle musicassette risale al 1962, quando l’ingegnere olandese della Philips Lou Ottens ebbe l’intuizione di adattare la registrazione su nastro magnetico a un formato più piccolo e funzionale. Furono commercializzate con il nome “Compact Cassette” il 30 agosto dell’anno successivo, ad un evento di settore organizzato a Berlino: ottennero qualche apprezzamento, ma nessuno ne parlò come qualcosa di innovativo per la fruizione della musica nel mondo. Le cose cambiarono nel 1979, quando in Giappone venne messo in commercio il Walkman, prodotto dall’azienda di elettronica giapponese Sony, che negli anni successivi dominò il mercato dei lettori portatili di musicassette. Il Walkman allargò enormemente l’abitudine all’ascolto “mobile”, fino ad allora permessa solo da apparecchi portatili ma non di dimensioni così ridotte (mangiadischi, registratori portatili); sarebbe poi diventata prevalente negli anni Duemila con i lettori MP3 e gli smartphone.
– Leggi anche: L’uomo che inventò le musicassette
A differenza dei dischi in vinile, considerati qualitativamente migliori ma più ingombranti, le musicassette erano piccole e maneggevoli, perfette per essere ascoltate per strada o negli impianti audio delle automobili, un impiego che avrebbe resistito fino agli anni Novanta inoltrati. Negli anni Ottanta Ottens contribuì a sviluppare altri supporti, i “compact disc” o CD, che sostituirono progressivamente i dischi in vinile per la loro qualità superiore. Alla fine degli anni Novanta comparvero anche i lettori CD portatili, che si affiancarono ai walkman, prima che entrambi i dispositivi fossero rimpiazzati dai lettori MP3 negli anni Duemila.
I materiali di scena utilizzati in Mixed by Erry sono stati realizzati interamente da Tape it Easy. «Abbiamo fornito alla produzione tutto l’occorrente: cassette vergini, J-card [le schede di carta che vengono piegate, fino per l’appunto a ricordare una “J”, e inserite nelle custodie delle musicassette, ndr] e imballaggi. Abbiamo pubblicato anche la musicassetta che contiene la colonna sonora ufficiale», dice Urzino.
Anche grazie al buon successo del film, da qualche tempo si è tornati a parlare di un possibile ritorno di moda delle musicassette, talvolta paragonato a quello dei dischi in vinile, che da alcuni anni sono tornati a interessare le case discografiche e hanno ritrovato una piccola nicchia di mercato, dopo che a lungo se ne erano stampati pochi.
Questa tendenza in realtà è stata osservata anche in altri paesi, dove una crescita della domanda di musicassette è stata effettivamente registrata: ad esempio secondo la British Phonographic Industry, l’associazione che rappresenta le case discografiche nel Regno Unito, nel 2022 le vendite di questo formato sono aumentate per il decimo anno consecutivo, superando le 195mila copie. Una cifra significativa se paragonata alle 3.823 copie vendute nel 2012, ma in realtà molto bassa. Per fare un paragone, nello stesso anno nel Regno Unito sono stati venduti più di 5 milioni di vinili.
Non esiste quindi un vero “ritorno” della musicassetta: quasi nessuno ha in casa un dispositivo per riprodurle, a differenza dei giradischi che sono spesso presenti nelle case degli audiofili, degli appassionati di musica o dei nostalgici. Se in molti amano ascoltare i dischi perché ritengono il loro suono più “caldo” rispetto a quello della musica digitale in streaming, oppure perché amano la gestualità e la ritualità richiesta (estrarre il disco, posizionarlo sul piatto, girarlo quando finisce un lato), o ancora perché li amano fisicamente come oggetti, con le musicassette questo succede molto meno. Anche perché, come supporto, non sono ricordate per la loro qualità, normalmente più bassa rispetto a quella di dischi in vinile e nemmeno paragonabile a quella dei CD.
Ciononostante, le musicassette definirono un’era, gli anni Ottanta, e da un po’ di tempo sono tornate ad affascinare un certo numero di appassionati di musica. Alcuni musicisti ed etichette discografiche quindi stanno provando a sfruttare questo fenomeno, con fini prevalentemente promozionali.
Nell’ultimo anno per esempio ne sono state pubblicate come edizioni speciali da Harry Styles e dagli Arctic Monkeys. Anche l’anniversario dell’uscita di album famosi è un’occasione sfruttata per realizzare ristampe celebrative: ad esempio è accaduto l’anno scorso con la pubblicazione della musicassetta del quarantennale di The Number of the Beast degli Iron Maiden.
Secondo i dati diffusi dalla FIMI, la Federazione Industria Musicale Italiana, in Italia «nei primi sei mesi del 2023 le vendite dei vinili sono cresciute del 14,3%, mentre la categoria “Other physical”, che comprende altri supporti fisici tra cui le musicassette, ha registrato una diminuzione del 68,7%», spiega il consigliere delegato Enzo Mazza. «Questi prodotti, sostanzialmente, non hanno mercato: il ritorno in voga di questo supporto è una suggestione che ogni tanto torna a galla sui giornali, ma i dati in nostro possesso parlano di numeri infinitesimali, soprattutto se comparati a quelli del vinile».
Le poche musicassette che si vendono, dice Mazza, sono quelle prodotte dalle grandi case discografiche per motivi promozionali. Spesso vengono pubblicate in occasione dell’uscita di un nuovo album, come edizioni speciali: ad esempio i Måneskin hanno pubblicato il loro ultimo disco, Rush!, anche in questo formato. Anche in questi casi, però, «le vendite sono abbastanza esigue: parliamo di qualche migliaio di copie in un anno». È altamente probabile che la stragrande maggioranza delle persone le compri semplicemente come oggetti da collezione, senza nessuna intenzione, né possibilità fisica, di riprodurle.
Anche secondo Urzino paragonare le vendite delle musicassette a quelle dei vinili può essere fuorviante: «Negli anni il nostro volume di affari è cresciuto progressivamente, ma l’attenzione delle case discografiche verso le musicassette è ancora troppo bassa: c’è sicuramente una nicchia di appassionati che ci dà grande soddisfazione, ma non abbiamo elementi per parlare di un vero e proprio ritorno della musicassetta». Secondo Urzino, un problema che impedisce di estendere la popolarità della musicassetta è l’inesistenza di una catena distributiva: «A differenza di quanto accade con i vinili, oggi è difficile trovare musicassette nei negozi. Il paradosso è che, per ascoltarle, basterebbe davvero poco: oggi un lettore di cassette può essere acquistato in qualsiasi negozio di elettronica, e a prezzi molto accessibili».
Avendo a disposizione cataloghi sterminati in streaming in qualità molto migliore sugli smartphone, in ogni caso ascoltare un walkman per strada sarebbe al giorno d’oggi essenzialmente un gesto nostalgico, o semmai estetico. Come per molte persone è del resto ascoltare la musica sul giradischi, visto che tra quelli più diffusi ce ne sono molti economici che consentono un’esperienza di ascolto scadente, anche inferiore a quella che si può avere su una qualsiasi cassa bluetooth da poco. La differenza probabilmente sta nel fatto che i giradischi e i vinili sono diventati anche oggetti di arredamento, un processo che è più difficile immaginare possa avvenire per le cassette.
A occuparsi di musicassette è anche Dirt Tapes, azienda fondata nel 2021 da Gian Paolo Cuccuru, batterista del gruppo rock italiano Zen Circus conosciuto con lo pseudonimo Karim Qqru. Quando iniziò ad ascoltare le musicassette, Cuccuru aveva appena 7 anni: «Sono i supporti che mi hanno fatto innamorare della musica: ho iniziato a utilizzarli nel 1989, e da allora non ho più smesso. Non sono mai riuscito a privarmene, neppure quando sembravano scomparsi dalla circolazione».
All’inizio degli anni Duemila la produzione di musicassette crollò per la diffusione dei CD, e Cuccuru iniziò a farsele da solo: «dovevo arrangiarmi come potevo, utilizzando piastre di registrazione e sfruttando il cd o il vinile come sorgenti. Creavo anche delle J-card personalizzate. Erano diventati oggetti di nicchia: si potevano trovare ancora in alcuni circuiti “sotterranei”, come quelli doom e black metal, ma la produzione di massa venne a mancare quasi totalmente».
Una delle poche grandi fabbriche che continuò a produrre massicciamente musicassette fu la National Audio Company (NAC), attiva ancora oggi. Fu fondata nel 1969 a Springfield, in Missouri (Stati Uniti), e per trent’anni è stata una fabbrica di cassette “vergini”, cioè vuote e pronte per essere sovraincise. Durante gli anni Novanta, con l’avvento dei CD masterizzabili, il progressivo abbandono delle audiocassette da parte dei produttori musicali non interessò la NAC, che all’epoca non era ancora entrata nel mercato della musica. Nei primi anni Duemila iniziò la produzione musicale per conto delle case discografiche, comprando le macchine che le altre aziende stavano vendendo a prezzi ridotti e diventando un punto di riferimento per gli amanti di questo supporto.
Al netto di queste eccezioni, però, in quegli anni produrre musicassette divenne un’attività casalinga e non professionale: per realizzare piccole tirature la maggior parte delle persone utilizzava sistemi di duplicazione come il Kaba o registratori dotati di un sistema a “doppia piastra”: una dedicata alla riproduzione della musica, l’altra alla registrazione del nastro.
Nel 2021 Cuccuru riuscì ad acquistare le macchine adatte e a dedicarsi «a 360 gradi al mondo della musicassetta, dalla registrazione al confezionamento». A differenza di Tape it Easy, Dirt Tapes non si occupa di stampare musicassette per altre aziende: «Acquistiamo le licenze e pubblichiamo in musicassetta i nostri album preferiti, in un modo che prova a rispecchiare il più possibile i gusti delle persone coinvolte in questa avventura». Come Urzino, anche Cuccuru deve fare i conti ogni giorno con macchine datate e non sempre affidabili. Per mantenere i ritmi di produzione servono attenzione e manutenzione costante: «Le persone capaci di maneggiare questi apparecchi, ormai, sono pochissime: per intervenire bisogna avere dimestichezza, altrimenti si rischia di fare un casino».
Dirt Tapes presta un’attenzione particolare anche all’esperienza di fruizione: «Nella maggior parte delle cassette in commercio è stato riversato un master [cioè la registrazione “madre”, quella con la qualità sonora migliore disponibile, usata per produrre e stampare tutte le altre, ndr] pensato per i cd. Noi preferiamo agire diversamente: realizziamo un remaster apposito per nastro, che può richiedere diversi giorni di lavoro e vari test per raggiungere un buon risultato, questo a seconda del tipo di master originario. Senza un lavoro del genere, però, difficilmente una cassetta suonerà come si deve».
Oltre a produrre pezzi propri, Dirt Tapes ha creato una sezione “bazar” per la vendita di cassette usate, soprattutto prime stampe. «Qui si apre un altro mondo», dice Cuccuru. Quando si trattano cassette di seconda mano, spiega, uno dei fenomeni a cui bisogna prestare attenzione è quello della speculazione: «Una prima stampa dei Pink Floyd fino a pochi anni fa costava in media 5 euro, oggi in alcuni casi ne costa 35. Noi cerchiamo di prevenire questo fenomeno adottando un approccio lento: aggiorniamo il bazar ogni sette giorni, perché vogliamo prenderci il giusto tempo per testare le cassette che acquistiamo».
I problemi riguardano soprattutto i nastri, che possono essere danneggiati o presentare vari problemi, come la cosiddetta “sticky–shed syndrome”, un fenomeno causato dal deterioramento dei leganti del nastro, che lo fa risultare “appicicoso”. «Quando si compra un lotto di cassette usate bisogna ascoltarle per intero, possibilmente più volte: non è raro trovare sorprese sgradite».
I costi di produzione di una musicassetta possono oscillare: «Si va da un minimo di 3 a un massimo di 5 euro per i lavori più stratificati». Le cifre sono influenzate da molti fattori: «Le variabili sono tante, dal colore della cassetta alla lunghezza del disco e, quindi, alla quantità di nastro usato. Incidono anche il tipo di nastro, il tipo di stampa che viene praticata sulla cassetta e il numero di pannelli presenti nelle J-card. Sicuramente il numero di copie conta moltissimo, perché il costo delle “C-0” (le cassette vuote, senza nastro), dei norelco (le custodie) e del nastro varia in modo netto a seconda delle quantità da acquistare come stock».
Pur essendo ottimista verso il futuro, anche secondo Cuccuru parlare di un ritorno della musicassetta può creare confusione: «C’è sicuramente una piccola rinascita, ma si fa presto a parlare di boom. Le cassette, poi, devi anche saperle vendere». In fondo, la capacità di adattarsi è sempre stata una specie di salvezza per questo mercato di nicchia: «Devi poter contare su un pubblico affezionato e disposto ad acquistare, altrimenti il rischio è produrre tirature troppo alte che rimangono invendute». Dirt Tapes produce anche un suo mangianastri portatile, il Tape-Roller, arrivato alla sua terza edizione e apprezzato anche fuori dall’Italia: «È il nostro prodotto di punta: ce lo richiedono soprattutto all’estero, in paesi come Canada e Germania».
Anche persone giovanissime hanno iniziato ad appassionarsi a questi prodotti: «Loro sono i clienti più particolari», dice Cuccuru. «Rimangono affascinati dalla bellezza di un supporto che non hanno neppure conosciuto durante l’infanzia».