“L’uomo che salvò il mondo”
Nel 1983 Stanislav Petrov ritenne di aspettare ad avvisare i superiori della possibile partenza di alcuni missili nucleari americani: per fortuna
La notte tra il 25 e il 26 settembre del 1983, 40 anni fa, il tenente e ingegnere sovietico 44enne Stanislav Petrov era di servizio in una base militare a sud di Mosca. Il suo compito era sorvegliare l’attività di un sistema di allerta sovietico che doveva rilevare l’eventuale lancio di missili nucleari da parte degli Stati Uniti. A un certo punto, poco dopo mezzanotte, il sistema si mise a suonare: da protocollo, Petrov avrebbe dovuto avvertire immediatamente i superiori, che avrebbero proceduto con il contrattacco.
Dopo quasi un decennio in cui le tensioni tra le due superpotenze erano diminuite, da alcuni anni la Guerra fredda era tornata in una fase di ostilità più aperte. Il livello di allerta quindi era alto, ma Petrov decise di attendere ulteriori conferme anziché trasmettere subito l’allerta ai suoi superiori. Le conferme non arrivarono: nel sistema c’era stato un malfunzionamento, che aveva provocato un falso allarme. Se l’Unione Sovietica avesse contrattaccato la situazione sarebbe degenerata molto rapidamente, probabilmente provocando un conflitto nucleare. L’episodio di quella notte passò alla storia come l’incidente dell’equinozio d’autunno, e Petrov, per via della sua cautela, è ricordato talvolta come “l’uomo che salvò il mondo”, che è anche il titolo di un documentario danese a lui dedicato nel 2015.
Il sistema di allarme al centro dell’incidente si chiamava Oko: fu sviluppato a partire dagli anni Settanta ed era stato pensato come un programma di allerta precoce per rispondere prontamente a eventuali attacchi. Il sistema era composto da alcuni satelliti posizionati in orbita con dei radar, in grado di rilevare lanci di missili da determinati punti sotto osservazione. Il centro di controllo del sistema Oko si trovava vicino a Kurilovo, a sud di Mosca, in un bunker della base militare Serpukhov-15.
Nella notte tra il 25 e il 26 settembre il responsabile era proprio Petrov, che conosceva molto bene il sistema Oko e doveva monitorare i segnali inviati e avvisare la leadership militare di qualsiasi imminente attacco missilistico contro l’Unione Sovietica. In quel momento, nel caso di un attacco, era altamente probabile che l’Unione Sovietica avrebbe contrattaccato in modo immediato: nel 1983 le tensioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica erano particolarmente forti, anche per via di una serie di episodi degli anni precedenti.
Erano gli anni in cui l’Unione Sovietica e la NATO, l’alleanza militare che comprende una parte dei paesi occidentali, erano impegnati nelle difficili trattative che solo nel 1987 portarono al trattato INF (“Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty”), un accordo che prevedeva che nessuno dei due paesi potesse possedere un certo tipo di missili nucleari. Al trattato si arrivò dopo reciproci dispiegamenti, tra il 1977 e il 1983, di armamenti nucleari in diversi punti dell’Europa orientale: proprio nel 1983 l’Unione Sovietica abbandonò le trattative in corso, riprese due anni dopo, in risposta al dispiegamento da parte degli Stati Uniti di una serie di missili.
Il 1983 fu anche l’anno dell’esercitazione Able Archer 83, svolta dalla NATO e scambiata dall’Unione Sovietica per un tentativo di attacco: l’episodio è ricordato come una delle volte in cui si andò più vicini a una guerra nucleare.
Poco dopo mezzanotte nel centro di controllo Oko partirono alcune sirene e su uno degli schermi apparve la scritta “LANCIO”: segnalava la partenza di un missile balistico intercontinentale, e di altri quattro subito dopo, da una base militare di Malmstrom, in Montana. Il personale in servizio nella base russa si allarmò, ma secondo alcune ricostruzioni il segnale fu accolto anche con un certo grado di scetticismo: un po’ perché cinque missili sembravano pochi per avviare uno scontro nucleare tra le due superpotenze, un po’ perché Petrov, che aveva contribuito a sviluppare il software del sistema Oko, sapeva che potevano verificarsi errori e malfunzionamenti.
Trent’anni dopo quell’episodio Petrov raccontò a BBC che per qualche ragione che lì per lì non seppe spiegarsi non si sentì di avvisare subito i suoi superiori. Non c’erano regole formali sui tempi per farlo, ma ovviamente nel caso di un attacco qualsiasi secondo di ritardo poteva avere conseguenze enormi: «Tutto quello che dovevo fare era prendere il telefono per attivare la linea diretta con i nostri comandanti superiori, ma non potevo muovermi. Mi sentivo come se fossi seduto su una padella bollente».
In altre occasioni Petrov ha raccontato del fortissimo stress di quegli istanti, in cui aveva pochi minuti per prendere una decisione dalle conseguenze potenzialmente enormi, mentre lo schermo lampeggiava, le sirene suonavano e gli altri operatori della struttura attendevano indicazioni su come procedere.
Ci sono resoconti diversi su cosa successe esattamente negli istanti successivi all’allarme. Pare che Petrov provò a riavviare il sistema, e che dopo qualche minuto l’allarme si interruppe. Nel frattempo altri radar sovietici, posizionati non in orbita ma a terra, non segnalavano nessun missile. Una ventina di minuti dopo Petrov ebbe la conferma che dagli Stati Uniti non erano stati lanciati missili, e che se avesse trasmesso l’allarme avrebbe attivato una serie di operazioni che avrebbero potuto portare a una guerra nucleare.
Petrov fu inizialmente lodato per come gestì la situazione, ma poco tempo dopo le cose cambiarono: subì approfonditi interrogatori da parte delle autorità sovietiche, la legittimità delle sue decisioni fu messa in discussione e non ottenne mai un riconoscimento per aver di fatto evitato uno scontro nucleare. Sembra che il malfunzionamento di Oko fosse dovuto a un particolare allineamento della luce solare riflessa dalle nuvole e dei satelliti in orbita, che avrebbe fatto scattare l’allarme anche in assenza di missili.
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