Quella volta che gli Stati Uniti negarono il visto a Napolitano
In quanto comunista, nel 1975 Henry Kissinger gli impedì di partecipare a un ciclo di conferenze: poi i rapporti sono molto cambiati
Giorgio Napolitano, morto venerdì a 98 anni, ebbe durante i suoi due mandati da presidente della Repubblica rapporti frequenti e cordiali con i presidenti americani. Incontrò in varie occasioni George W. Bush e sette volte Barack Obama, con cui la relazione fu di reciproca stima: in generale, negli ultimi decenni Napolitano è stato considerato un affidabile riferimento politico in Italia per le varie amministrazioni statunitensi.
Già nel 1975 alcune delle più note e prestigiose università americane (Yale, Princeton e Harvard) invitarono l’allora dirigente del Partito comunista italiano (PCI) a tenere un ciclo di conferenze negli Stati Uniti. Quel viaggio però non si tenne mai, perché il segretario di stato Henry Kissinger e l’amministrazione del presidente Gerald Ford (subentrato al dimissionario Richard Nixon) negarono a Napolitano il visto per l’ingresso nel paese, in quanto comunista.
Il divieto per Napolitano di entrare negli Stati Uniti, che si basava su una legge del 1952, quando c’era il maccartismo, fu superato solo tre anni più tardi, durante la presidente del Democratico Jimmy Carter. Napolitano allora fu il primo dirigente del Partito comunista italiano a viaggiare negli Stati Uniti. In seguito avrebbe conosciuto proprio Henry Kissinger, instaurando con lui un rapporto durato alcuni decenni.
La vicenda del visto negato a Napolitano nel 1975 tornò d’attualità dieci anni fa, nel 2013, quando il sito Wikileaks raccolse e organizzò una serie di documenti diplomatici americani non segreti definiti “Kissinger cables”: alcune comunicazioni fra il governo statunitense e l’ambasciata a Roma riguardavano proprio quell’invito delle università statunitensi a Napolitano.
L’idea di invitare Napolitano a Yale fu di Joseph La Palombara, politologo e italianista, che fra gli altri lo aveva individuato come uno degli esponenti del Partito comunista più incline a una evoluzione verso forme di socialdemocrazia. In quegli anni la diffidenza americana nei confronti del PCI era nota, anche se meno marcata rispetto all’immediato dopoguerra. Nell’agosto del 1975 l’allora ambasciatore americano in Italia, John Volpe, scriveva: «Nell’aprile scorso abbiamo raccomandato di non rilasciare un visto a Giorgio Napolitano, che voleva recarsi negli Stati Uniti per tenere conferenze in quattro università». Volpe riteneva che concedere il visto sarebbe stata «una sorta di presunta indicazione del fatto che il governo americano ha accettato le credenziali democratiche del PCI». Il segretario di stato Henry Kissinger sposò questa tesi e nonostante le pressioni delle università non concesse alcuna deroga alla legge “Immigration and Nationality Act” del 1952, secondo cui ai membri di tutti i partiti comunisti dovesse essere negato il visto di entrata negli Stati Uniti.
Il viaggio e le conferenze sarebbero state rinviate di tre anni, al periodo dal 4 al 19 aprile del 1978. Circa un mese prima Giulio Andreotti aveva formato il suo quarto governo, con soli ministri della Democrazia Cristiana ma un appoggio «esterno e programmatico», su determinati argomenti, del Partito Comunista. Era la prima volta che accadeva e nel giorno previsto per la fiducia, il 16 marzo, le Brigate Rosse rapirono il segretario della Democrazia Cristiana Aldo Moro.
Anche nel 1978 la concessione del visto a Napolitano non fu automatica, ma necessitò di un’opera diplomatica, nonostante i rapporti fra Stati Uniti e Unione Sovietica avessero imboccato da qualche anno la strada della distensione e del disarmo. Fu lo stesso Andreotti a intercedere con il governo statunitense, come raccontò anni dopo: «Mi diedi da fare anch’io, si trattava infatti di un’occasione importantissima: Napolitano poté spiegare agli americani l’evoluzione del PCI e il senso della politica che il suo partito perseguiva in quegli anni». In una lettera conservata nell’Archivio Andreotti è lo stesso Napolitano, nel 2006, a ricordare quell’episodio e a ringraziare il politico democristiano per il sostegno.
Intanto negli Stati Uniti le resistenze rispetto all’ingresso dei politici comunisti europei si erano ammorbidite. Nel 1976 fu lo stesso Kissinger a scrivere all’ambasciata di Roma che «i comunisti non sono tutti uguali», e distinguere gli intellettuali comunisti che non disprezzavano lo stalinismo da quelli come Napolitano, che «ha confessato le proprie perplessità su come sviluppare il socialismo all’interno di uno stato democratico, tenuto conto della specificità dell’esperimento sovietico».
Napolitano ottenne il visto, viaggiò negli Stati Uniti e tenne le conferenze in cui spiegò le aree di cooperazione del PCI nel governo e il superamento dell’opposizione da parte del partito alla NATO. Al ritorno scrisse sulla rivista del PCI Rinascita un articolo «Il Pci spiegato agli americani: le conferenze a Harvard, Princeton e Yale, le domande degli studenti sulla politica italiana, l’incontro con economisti come Tobin, Modigliani e Samuelson».
Nel 2015 Napolitano ricevette a Berlino il premio Henry Kissinger, che dal 2007 è riservato alla “personalità della politica europea che si è distinta nei rapporti transatlantici”. Fu proprio l’ex segretario di stato a consegnargli il premio.
– Leggi anche: Napolitano e la corrente dei “miglioristi”