Haftar e la gestione degli aiuti in Libia
Il maresciallo sta provando a mostrarsi come un leader efficiente e risoluto, nonostante sia accusato di essere in parte responsabile del disastro provocato dalle alluvioni
Una settimana fa il maresciallo libico Khalifa Haftar ha visitato brevemente la città di Derna, la più colpita dalle gravi alluvioni che qualche giorno prima avevano provocato più di 11mila morti. Haftar, che ormai da anni governa un’ampia regione nell’est della Libia anche grazie al controllo di alcune milizie armate, ha elogiato i soccorritori e i propri sostenitori impegnati nella gestione dell’emergenza, in quella che secondo Emadeddin Badi, analista del centro studi Atlantic Council, è stata più che altro «un’operazione di pubbliche relazioni» rivolta sia all’interno che all’esterno della Libia.
Attualmente il regime di Haftar sta collaborando nella gestione degli aiuti e dei soccorsi con l’altro governo libico, quello di Tripoli, che si trova a ovest e che è l’unico riconosciuto a livello internazionale. Ma nonostante questo, sia Badi che altri osservatori hanno sostenuto che Haftar veda nell’emergenza un modo per accrescere la propria influenza personale e il proprio potere in Libia, e che per questo avrebbe coinvolto i propri famigliari nelle operazioni di gestione degli aiuti.
Le alluvioni dello scorso 11 settembre nel nord-est della Libia erano state particolarmente disastrose per Derna a causa della rottura di due dighe, che aveva distrutto un quarto degli edifici della città e provocato migliaia di morti. Nelle aree devastate dalle alluvioni stanno proseguendo le operazioni di soccorso seguite in parte da volontari internazionali e in parte dagli operatori di entrambi i governi libici. Tra gli aiuti umanitari arrivati dall’estero e le accuse di impreparazione alle autorità locali, però, sono le forze di Haftar a essersi imposte come organo di controllo delle operazioni di emergenza.
Adesso «tutto è concentrato nelle mani della famiglia di Haftar», ha detto al Guardian Jalel Harchaoui, esperto di Libia del centro di ricerca Royal United Services Institute.
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In questi giorni i sostenitori di Haftar hanno impedito ai giornalisti di entrare nella parte orientale della Libia (la cosiddetta Cirenaica) per documentare il disastro e hanno cominciato a controllare i movimenti di quelli che erano già lì. L’accesso al centro di Derna è bloccato e ci sono checkpoint nelle poche vie di ingresso percorribili. In città mancano l’elettricità e scarseggiano l’acqua potabile e il cibo. Non funzionano né internet né i telefoni.
Le autorità della Libia orientale hanno negato di aver limitato l’accesso alle comunicazioni in seguito alle proteste organizzate contro la gestione della crisi da parte del governo. Anche se per ora le proteste non sono state rivolte esplicitamente ad Haftar, molte persone sembrano considerare le conseguenze dell’alluvione come una dimostrazione del malgoverno, della corruzione e dello scarso interesse per la manutenzione delle infrastrutture.
Negli anni la famiglia di Haftar ha accumulato ricchezze e potere con affari talvolta molto opachi, senza assicurare i servizi minimi e le infrastrutture di base alla popolazione: per esempio non fece grossi investimenti per ricostruire Derna dopo la distruzione provocata dalla guerra combattuta tra il 2016 e il 2018 tra formazioni estremiste islamiche (tra cui l’ISIS) e le sue milizie. Oggi, dopo l’alluvione, Haftar sta cercando di cambiare nuovamente la sua immagine, presentandone una positiva ed efficiente di fronte ai partner internazionali e collaborativa con il governo libico occidentale.
Tarek Megerisi, analista libico del think tank European Council on Foreign Relations, ha detto al New York Times che Haftar sta cercando di mostrarsi come un «salvatore», per esempio ordinando a molti soldati di presidiare Derna per dare ai suoi abitanti una percezione di maggiore sicurezza.
Sta usando gli organi di stampa, controllati dal governo, per fare propaganda e sta collaborando con il figlio minore Saddam, di 32 anni, che è considerato una specie di suo erede politico. Saddam Haftar è il capo di una milizia accusata da Amnesty International di una serie di crimini violenti, tra cui omicidi, torture, stupri e sparizioni forzate (non è l’unica comunque), ed è stato nominato di recente responsabile della commissione incaricata di gestire la crisi umanitaria in Libia, nonostante non abbia alcuna esperienza nella gestione delle emergenze. Nello stesso giorno del disastro invece il figlio maggiore di Haftar, Elsiddiq, ha annunciato l’intenzione di candidarsi alle prossime elezioni presidenziali, rimandate da tempo.
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Secondo Badi, l’analista dell’Atlantic Council, le milizie di Haftar starebbero ostacolando la distribuzione degli aiuti e la gestione dei soccorsi, che continuano a essere portate avanti da volontari, medici e da organizzazioni come la Croce Rossa.
Nel frattempo in Libia è stata aperta un’indagine sul crollo delle due dighe di Derna e sui cospicui investimenti che negli anni avrebbero dovuto essere destinati alla manutenzione delle infrastrutture. In questi giorni il governo libico orientale ha sospeso dal loro incarico il sindaco di Derna, Abdulmenam al Ghaithi, e tutti i membri del consiglio comunale, accusandoli di aver ignorato le segnalazioni dei rischi legati al cattivo stato di manutenzione delle dighe. Secondo Harchaoui, dato il rigido controllo sulla gestione dell’emergenza da parte di Haftar è improbabile che le indagini sul disastro riveleranno un qualche tipo di responsabilità a suo carico.