Non c’è da disperarsi se il tappo del vino si rompe nella bottiglia
È fastidioso, ma ci sono dei modi per rimediare senza conseguenze, almeno in attesa che i tappi a vite si diffondano
Durante una cena al ristorante in compagnia, assaggiare un vino per dire se sa o meno di tappo è un compito che spaventa di solito chi non se ne intende molto. Il rischio di dire “buonissimo!”, dissimulando la poca fiducia nei propri sensi, e di scoprire poi dai commensali che in effetti sa proprio di tappo, fa sì che molti non ne vogliono mai sapere, e alla richiesta del cameriere sulla persona a cui versare il primo bicchiere si sbraccino supplicando di non essere tirati in mezzo. Aprire una bottiglia in una cena in casa invece è un compito che più o meno tutti ritengono alla propria portata, ma i possibili inconvenienti possono essere anche più imbarazzanti: per incuria o per colpa di un sughero molto vecchio, può capitare che il tappo si spezzi a contatto col cavatappi, rimanendo per metà nel collo della bottiglia.
La giornalista ed esperta di vini Ophélie Neiman ha spiegato in un recente articolo su Le Monde che in questi casi la cosa migliore da fare è infilare nel pezzo del tappo rimasto nella bottiglia il cavatappi in diagonale, senza raggiungere il fondo, e poi tirare molto lentamente con una leggera torsione. L’angolazione però non deve essere eccessiva: se il cavatappi è troppo inclinato il tappo potrebbe spezzarsi in due, se viene inserito verticalmente potrebbe farlo scendere ancora di più. Una cosa da non fare anche quando il tappo è integro, ma soprattutto se è rotto, è bucarlo completamente fino a veder spuntare la vite del cavatappi dall’altra parte, perché questo potrebbe far cadere dei pezzettini di sughero nel vino. Un altro metodo è quello di inserire il cavatappi verticalmente ma al lato del tappo, vicino al collo della bottiglia, e non al centro. In ogni caso, bisogna stare attenti a non esercitare troppa pressione quando si avvita il cavatappi, o il tappo potrebbe cadere.
Se la parte che è rimasta incastrata è molto sottile o il tappo si è sbriciolato quando avete cercato di tirarlo su con il cavatappi, il vino comunque non è da buttare, ma non può essere servito con il tappo all’interno. Va filtrato attraverso un colino da tè dentro un contenitore pulito qualsiasi.
Ma perché i tappi si rompono?
Il primo motivo può essere che la bottiglia è stata conservata a lungo in piedi o in un luogo poco umido, e questo ha fatto seccare troppo il tappo, rendendolo più fragile. Infatti bisognerebbe conservare le bottiglie in posizione orizzontale, affinché il vino bagni sempre il tappo e lo mantenga umido. Un’altra possibilità è che si sia utilizzato un cavatappi sbagliato per il tipo di tappo, o si sia aperto male. Se per la fretta non spingiamo il cavatappi abbastanza in profondità e tiriamo su troppo presto, questo per esempio può far spezzare il tappo. Anche utilizzare un cavatappi troppo corto può avere lo stesso effetto, e succede più spesso con i vini più buoni. Quando un vino è di un tipo che può prevedere lunghi invecchiamenti infatti viene chiuso con un tappo più lungo, che raggiunge anche i 54 millimetri (contro i circa 38 dei vini normali) e che ha per questo una tenuta maggiore (ma è anche più costoso).
Per questo tipo di bottiglie è anche possibile che dopo molti anni il tappo abbia perso elasticità, cosa che lo fa sbriciolare più facilmente quando ci viene infilato il cavatappi. In questi casi sarebbe sempre meglio usare un cavatappi a doppia lama, ossia un cavatappi speciale composto da due lame sottili e parallele, una più corta e una più lunga, che vengono inserite fra il bordo del tappo e il vetro del collo della bottiglia, e poi tirate fuori con un movimento lento e rotatorio. Infine, è anche possibile che il tappo sia semplicemente crepato all’interno, cosa che lo porta a rompersi anche quando vengono utilizzati tutti gli accorgimenti possibili.
A rompersi sono più che altro i tappi di sughero, che però in Italia sono ancora quelli più usati. I tappi di sughero vengono ricavati dalla corteccia della quercia da sughero, che cresce principalmente nei paesi che affacciano sul mar Mediterraneo. Hanno una buona elasticità e permettono la micro-ossigenazione, ossia la lenta e costante somministrazione di minuscole quantità di ossigeno che nel corso del tempo migliorano l’odore e il sapore dei vini. L’ossigeno non passa attraverso il sughero, che è impermeabile, ma fra il tappo e la parete di vetro del collo della bottiglia. Una piccola quantità è anche rilasciata dal tappo stesso, i cui micropori contengono dell’aria che si libera nel vino quando il tappo è compresso dentro la bottiglia. Per questo si dice che il tappo di sughero fa “respirare” il vino ed è il migliore per Champagne, spumanti e altri vini pregiati che possono o devono avere lunghi periodi di invecchiamento.
Tuttavia, è anche il tappo che si rompe più facilmente e che soprattutto può far “sapere di tappo” il vino. Questo accade a causa di una molecola chiamata 2,4,6-tricloroanisolo (TCA) che si sintetizza sotto l’azione di muffe in presenza di clorofenolo, un derivato del cloro che può essere presente sulle cortecce di sughero esposte agli insetticidi o che viene semplicemente portato dall’aria. L’odore di questa molecola va a coprire le altre presenti nella bottiglia e dà al vino un odore di muffa che peggiora col passare del tempo, rendendolo cattivo. Trovare un vino che sa di tappo è sempre più raro perché tecniche di pulitura, lavorazione e controllo del sughero sempre più sofisticate hanno permesso di diminuire notevolmente il numero di tappi contaminati.
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Per ovviare a questi due problemi nei vini giovani, ossia quelli che vengono prodotti e consumati nel giro di uno o due anni, si possono usare anche tappi in materiale sintetico, che sono più economici, non sono soggetti a muffe e all’inizio sono più resistenti, ma non permettono la stessa micro-ossigenazione del sughero.
Un tipo di tappo sempre più utilizzato nel mondo, ma che in Italia è ancora poco comune, specialmente nei vini più costosi, è il tappo a vite, ossia un tappo di alluminio analogo a quello utilizzato, per esempio, per l’aceto in vetro. Oggi il 37% dei tappi da vino prodotti nel mondo è a vite, con un aumento del 9% rispetto al 2015, mentre la produzione dei tappi di sughero, che rappresentano il 54% del totale, è scesa nello stesso periodo del 7%. Il tappo a vite è il più economico da produrre e diversi studi hanno provato che la neutralità dell’alluminio permette di conservare molto bene il vino anche a lungo. I tappi a vite più recenti infatti hanno una membrana fra il tappo e il collo della bottiglia, detta liner, che ottiene lo stesso effetto di micro-ossigenazione dei tappi di sughero.
In paesi come l’Australia o gli Stati Uniti il tappo a vite è utilizzato in più del 60% dei vini, ma in Italia in meno del 25%. Questo fenomeno può essere spiegato con una certa diffidenza della clientela italiana verso le novità in un settore, come quello dell’enologia, in cui la tradizione è particolarmente sentita, ma anche con l’attaccamento alla ritualità di aprire il vino con il cavatappi. Più in generale, resiste una forte associazione fra il tappo in sughero e la qualità del vino.
Anche in Francia, un altro paese dove il vino è considerato una parte fondamentale della cultura, uno studio ha rilevato che l’83% degli intervistati preferiva il tappo di sughero, considerato essenziale per una migliore qualità del vino. In un recente articolo di Repubblica sull’industria del tappo a vite, diversi imprenditori e produttori di vino avevano spiegato che nonostante avessero aumentato la produzione di vino imbottigliato con tappi a vite erano costretti a venderlo quasi tutto sul mercato estero, perché gli italiani non volevano comprare vino di un certo livello chiuso con un tappo che ancora ha la fama di essere usato solo per i vini economici.
Infine ci sono i tappi di vetro, che sarebbero i più indicati per conservare il vino, ma costano molto, non permettono micro-ossigenazione e hanno bisogno di una bottiglia con una forma leggermente diversa, cosa che aumenta ulteriormente i costi di produzione. Anche i tappi a corona, come quelli della birra, sono utilizzati, ma quasi solo durante la produzione di Champagne e spumante, e vengono sostituiti alla fine con i tappi di sughero. Negli ultimi anni sono stati anche usati per tappare alcuni “vini naturali”, in particolare frizzanti, ossia prodotti a partire da uve biologiche e mediante una fermentazione spontanea del mosto, con l’obiettivo di svecchiare l’immagine e l’industria del vino.
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