Gli incidenti in bicicletta a Milano sono aumentati
I dati degli accessi ai pronto soccorso confermano che dopo la pandemia sono aumentati gli incidenti in bici in città
Molte persone che si occupano di mobilità a Milano – amministratori, esponenti di associazioni e attivisti – sostengono che nel dibattito sulla sicurezza di chi va in bici in città ci sia un prima e un dopo. La morte di Luca Marengoni, un ragazzo di 14 anni travolto e ucciso da un tram mentre stava andando a scuola, la mattina dell’8 novembre 2022, ha diffuso una maggiore consapevolezza sui rischi e sui problemi di una città dove la convivenza tra auto, bici e pedoni è complicata.
Il comune e in generale le istituzioni hanno promesso nuovi piani per garantire più sicurezza, ma negli ultimi mesi le cose non sono migliorate. Dall’inizio dell’anno ci sono stati moltissimi altri incidenti gravi che hanno coinvolto i cosiddetti utenti “deboli” della strada, cioè ciclisti e pedoni.
La bicicletta è un mezzo di trasporto ideale per Milano, una città non molto grande e senza salite, a eccezione di qualche ponte. La temperatura e le condizioni meteo sono tutto sommato gradevoli per la maggior parte dell’anno, e spostandosi in bici si evitano gli ingorghi e le difficoltà di trovare parcheggio.
Allo stesso tempo però le strade della città non sono pensate per le biciclette. Le strade sono insidiose, ci sono tratti con il pavé (grossi ciottoli squadrati) soprattutto in centro, e le rotaie del tram in cui possono finire le ruote causando cadute pericolose. Ci sono incroci molto larghi con più intersezioni, ampie rotonde e corsie multiple più o meno strette. E in più sulle strade circolano moltissime auto: i dati dei sensori posizionati ai varchi dell’area C, la zona a traffico limitato che comprende il centro storico della città, rilevano il passaggio di circa 100mila auto al giorno. «Ci sono troppe macchine nelle città, noi a Milano ne abbiamo 49 su 100 abitanti», ha detto il sindaco Beppe Sala. «Io voglio lavorare per arrivare a una quarantina in dieci anni, anche se non sarò più sindaco».
Guia Biscaro è presidente temporanea della consulta della mobilità attiva e dell’accessibilità, un organo che il comune utilizza per confrontarsi con le associazioni. Dice che la situazione attuale è il risultato di 40 anni di mala gestione della mobilità privata: «Milano e chi l’ha governata negli ultimi decenni ha permesso all’automobile di diventare il mezzo preferenziale, da favorire a tutti i costi. Oggi ci ritroviamo non solo con le strade occupate da questo mezzo, ma anche marciapiedi e viali alberati. A ciclisti e pedoni è destinata una quota davvero minoritaria degli spazi».
– Leggi anche: Perché in Italia si muore andando in bici
Negli anni Novanta, mentre altre grandi città europee sviluppavano nuovi piani per rispondere alla crescente richiesta di mobilità leggera, Milano non è cambiata molto. Il centrodestra, che ha governato dal 1993 al 2011, ha costruito poche piste ciclabili assecondando le pretese dei commercianti, da sempre contrari alla limitazione del traffico e dei parcheggi.
Negli ultimi dieci anni le amministrazioni di centrosinistra ne hanno realizzate molte di più rispetto al passato, oggi i tracciati esistenti coprono circa 250 chilometri, quasi il triplo rispetto a 15 anni fa. Tuttavia la costruzione di nuove piste non è riuscita a stare al passo del significativo sviluppo urbanistico della città.
Osservando la mappa delle piste ciclabili attuali si può notare che la crescita è stata poco omogenea: i percorsi sono quasi tutti brevi e con molte interruzioni. Questo obbliga chi va in bicicletta ad alternare percorsi sicuri a tratti senza protezioni. In strade molto trafficate, inoltre, la mancanza di piste ciclabili porta molti ciclisti a passare sui marciapiedi, ostacolando i pedoni. I problemi sono aumentati dalla pandemia, quando molte più persone hanno iniziato a spostarsi in bicicletta, anche per via dei contributi economici introdotti dal governo per l’acquisto di nuove bici.
Con l’aumento dei ciclisti abitudinari, purtroppo non misurabile con precisione se non con qualche dato molto parziale, sono aumentati anche gli incidenti. Paolo Bozzuto, docente di urbanistica del dipartimento di architettura e studi urbani (DASTU) del Politecnico di Milano, ha analizzato insieme ad alcuni colleghi i dati rilevati dall’ISTAT e dall’AREU, l’agenzia regionale di emergenza e urgenza. Il risultato del loro lavoro è stato chiamato “Atlante italiano dei morti (e dei feriti gravi) in bicicletta”, presentato a giugno durante una commissione consiliare del comune. Continuerà a essere aggiornato con i nuovi dati messi a disposizione dagli istituti.
Il grafico qui sotto mostra l’andamento degli incidenti in cui sono stati coinvolti ciclisti. Nel 2022 ne sono stati segnalati 1.467, mentre tra il 2014 e il 2018 erano stati circa mille all’anno. La crescita significativa è avvenuta dal 2020. È aumentata anche l’incidentalità ciclistica, cioè il numero degli incidenti in bicicletta sul totale: nel 2014 gli incidenti in bici a Milano erano l’11,8 per cento del totale, nel 2021 la percentuale è salita al 16,8 per cento. Questo dipende dal fatto che gli incidenti in bici sono cresciuti, mentre gli incidenti totali sono diminuiti dagli 8.959 del 2008 ai 7.465 del 2021.
Il 36,6 per cento degli incidenti riguarda scontri frontali o laterali, il 13,9 per cento avviene con veicoli che si stanno fermando e l’11,5 per cento a causa di uscite di strada o sbandamenti. Nel report si legge che «solo il 24,9 per cento degli incidenti ciclistici può essere ricondotto, in modo esclusivo, a imperizia nella guida della bicicletta o a comportamenti scorretti da parte del ciclista».
Negli ultimi mesi associazioni e gruppi spontanei hanno organizzato manifestazioni per chiedere più attenzione e provvedimenti concreti all’amministrazione comunale, soprattutto dopo incidenti molto gravi: dall’inizio dell’anno a Milano sono morte 5 persone investite in bicicletta, nel 2022 erano state 3. «Gli incidenti mortali sono chiaramente una tragedia per famigliari e amici delle vittime, e sono anche una tragedia collettiva», dice Bozzuto, il docente del Politecnico di Milano. «Ma va detto che i dati relativi ai feriti sono più affidabili per studiare politiche e misure relative alla sicurezza».
La mappa seguente mostra i dati degli accessi al pronto soccorso in seguito a incidenti in bicicletta. Sono messi a disposizione dall’AREU, l’agenzia regionale di emergenza e urgenza, e permettono di capire quali sono le strade e gli incroci più pericolosi per chi va in bici.
Secondo Bozzuto molti incidenti dipendono dal fatto che spesso gli automobilisti guidano senza essere consapevoli delle conseguenze di un impatto tra un’auto e una bicicletta. Uno scontro a bassa velocità con un’altra auto causa danni lievi, mentre uno scontro con un ciclista o un pedone ha quasi sempre conseguenze molto gravi. «L’attenzione dovrebbe crescere tanto è più potente e pesante il mezzo che si guida», spiega. «C’è poi un problema di aggressività alla guida, aumentata negli ultimi anni».
Bozzuto è convinto che serva una campagna di comunicazione per difendere i diritti degli utenti deboli come ciclisti e pedoni e per ribadire a chi si sposta con mezzi motorizzati che non è l’unico a utilizzare la strada. «I progetti di lungo periodo vanno bene», dice. «Ma la sicurezza delle strade di Milano è un problema urgente».
Alla fine di agosto il sindaco di Milano Beppe Sala ha detto che l’amministrazione studierà un nuovo “piano bici” in linea con le grandi città europee, senza però approfondire quali siano gli obiettivi e i tempi per realizzarli. A metà luglio il comune ha introdotto un divieto di transito nell’area B ai veicoli destinati al trasporto di merci con massa a partire da 3,5 tonnellate se non hanno i sensori che servono ad accorgersi di pedoni o ciclisti negli angoli ciechi, cioè quei punti che lo sguardo dell’autista non riesce a raggiungere con gli specchietti. Questo provvedimento è arrivato in seguito ad alcuni incidenti mortali causati da mezzi pesanti che hanno travolto e ucciso ciclisti. Di fatto, però, le regole prevedono anche diverse deroghe che le rendono poco efficaci: chi ha un mezzo di massa tra 3,5 e 12 tonnellate, per esempio, deve dimostrare entro il 31 ottobre 2024 di aver acquistato i sensori e ha tempo fino al 31 dicembre 2025 per montarli.
– Leggi anche: Cosa si può fare per rendere meno pericoloso andare in bici per strada in Italia
L’inerzia e i ritardi rischiano di avere effetti sulla mobilità della città. Secondo un’indagine realizzata da Mario Abis, docente di ricerche psicosociali e statistica dell’università IULM, nell’ultimo anno le persone che si spostano in bici sono diminuite del 20 per cento: «Le persone stanno tornando ad utilizzare altri mezzi, in particolare bus, metro e auto, perché la bicicletta fa paura. Si tratta soprattutto di persone che avevano cominciato a usarla quotidianamente per spostamenti di lavoro, dunque rapidi, e ragazzi che la sceglievano per andare a scuola, ma adesso sono dissuasi anche dai genitori».
Marco Mazzei, consigliere comunale eletto con la lista civica di Sala e da anni punto di riferimento per la comunità dei ciclisti, dice che l’abbandono delle bici è tra i dati più preoccupanti perché lo spostamento di utenti ha conseguenze per tutta la mobilità: circolano più automobili e i mezzi pubblici sono più affollati nelle ore di punta.
Anche secondo Mazzei dopo la maggiore attenzione segnalata durante la pandemia c’è stata una fase di rallentamento. «Non siamo riusciti a stare al passo con il numero crescente di persone che ha iniziato a utilizzare la bici», dice. «A Milano hanno aperto molti cantieri pubblici e privati e molti altri ne apriranno nei prossimi anni. Circoleranno sempre più mezzi pesanti».
Un’altra questione su cui Mazzei insiste da tempo riguarda la regolamentazione dei mezzi della logistica, furgoni piccoli e grandi che parcheggiano dove trovano posto, sulle piste ciclabili e sui marciapiedi. Tra le proposte fatte c’è la creazione di specifiche aree di carico e scarico, una per quartiere, da cui poi gli autisti possano spostarsi soltanto con carrelli o piccoli mezzi elettrici, una soluzione già adottata in diverse città europee.
– Leggi anche: La rivoluzione urbanistica di Barcellona