La scomparsa dei crateri
I segni dei grandi impatti con i meteoriti possono insegnarci molte cose sulla storia del nostro pianeta, ma quelli antichi sono sempre meno distinguibili e più difficili da trovare
Flagstaff è una città al centro dell’Arizona (Stati Uniti), ci vivono circa 66mila persone e non ha particolari attrattive se non quella di essere una delle vie di accesso per raggiungere il Grand Canyon, a un’ora di auto più a nord. L’enorme gola è la principale attrazione turistica nella zona, una delle migliori e più evidenti testimonianze dei lenti processi geologici che in milioni di anni plasmano la Terra. Ma c’è un’altra attrazione meno nota una sessantina di chilometri a est di Flagstaff che mostra invece come una grande area del nostro pianeta possa cambiare in pochi istanti. È il Meteor Crater, un grande cratere largo 1,2 chilometri e profondo 170 metri che si formò in seguito all’impatto di un meteorite circa 50mila anni fa.
Il cratere si formò quando l’altopiano del Colorado aveva un clima più fresco e umido dell’attuale: era un ampio pianoro erboso popolato da molti animali compresi i mammut. Un giorno in cielo apparve una grande meteora, probabilmente con un diametro di una cinquantina di metri, che iniziò a sgretolarsi nell’atmosfera prima di raggiungere il suolo ad alta velocità. L’energia liberata al momento dell’impatto fu enorme (10 megatoni), produsse un’ampia depressione con un margine alto una sessantina di metri, un effetto che ricorda quello che si osserva nell’acqua nei primi istanti dopo aver lanciato un sasso in una pozzanghera.
Complice la sua giovane età, il Meteor Crater è considerato uno dei crateri meglio conservati della Terra, anche se i processi di erosione hanno fatto sì che le creste lungo la sua circonferenza perdessero una ventina di metri di altezza. Lentamente, ma inesorabilmente, il cratere continuerà a modificarsi fino a diventare sempre meno visibile. Accadrà in tempi lunghissimi per noi umani, ma relativamente brevi per i processi geologici che in milioni di anni cambiano il nostro pianeta. E sono proprio questi fenomeni a rendere difficile lo studio degli impatti con meteoriti che hanno riguardato la Terra e che potrebbero aiutarci a comprendere molte cose del suo passato.
Uno studio da poco pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Geophysical Research: Planets ha segnalato che le tracce dei crateri più antichi, dunque molto più vecchi rispetto al Meteor Crater, stanno scomparendo e sono ormai difficili da studiare. Secondo l’analisi, i crateri più vecchi di due miliardi di anni sono probabilmente ormai indistinguibili dalle altre formazioni rocciose, soprattutto a causa dei fenomeni di erosione naturale. Due miliardi di anni sono una dimensione temporale difficile da immaginare per i nostri tempi umani, ma non sono moltissimi per un pianeta come il nostro che ha circa 4 miliardi e mezzo di anni.
La ricerca cita in particolare il caso del cratere Vredefort, il più grande cratere meteoritico conosciuto della Terra, che si trova in Sudafrica. Quando si formò a causa del grande impatto, la struttura aveva un diametro massimo stimato tra i 180 e i 300 chilometri. Si formò poco più di due miliardi di anni fa nel Paleoproterozoico, la prima delle tre ere geologiche del Proterozoico, in cui i continenti iniziarono a stabilizzarsi e iniziarono a emergere i primi lontani parenti degli eucarioti, che avrebbero poi portato a buona parte delle forme di vita che conosciamo oggi.
Secondo i calcoli dello studio se il cratere si fosse formato 200 milioni di anni prima, oggi non sarebbero più visibili le sue tracce, già ampiamente ridotte rispetto a quanto poteva essere osservato nei milioni di anni dopo l’impatto. Il fatto che i crateri scompaiano non è certo una novità, ma soffermarsi sulle implicazioni del fenomeno può aiutare a mettere nella giusta prospettiva un pezzo importante della storia del pianeta.
I dati satellitari, le ricognizioni aeree e lo studio dei minerali hanno permesso di identificare con certezza circa 200 crateri dovuti a un impatto con un meteorite. I più antichi hanno intorno ai 2 miliardi di anni, proprio come nel caso del cratere Vredefort, ma secondo gli autori dello studio è probabile che i crateri siano molti di più. Non sappiamo di preciso dove avvennero alcuni degli impatti più importanti, ma sappiamo che si sono verificati perché ancora oggi possiamo riscontrarne gli effetti per lo meno indiretti.
Per capire quando l’erosione fa sì che un cratere non possa essere più definito tale, semplicemente perché sono scomparse le sue strutture più rilevanti e si sono modificate le caratteristiche geologiche del territorio interessato, il gruppo di ricerca ha studiato il cratere Vredefort, concentrandosi sui minerali che si trovano nella zona dell’impatto. I ricercatori hanno raccolto campioni per 20 chilometri, mettendo a confronto le caratteristiche fisiche delle rocce presenti nel cratere con quelle che non avevano invece subito gli effetti dell’impatto, con la produzione di alte temperature che modificano la struttura dei minerali.
Dal confronto è emerso che ormai le rocce legate all’impatto sono indistinguibili da quelle che non erano state coinvolte dall’arrivo del meteorite. Nel corso di miliardi di anni di piogge, vento, altri processi di erosione e geologici le differenze sono scomparse. «A un certo punto, perdiamo tutte le caratteristiche che rendono un cratere un cratere» ha spiegato uno degli autori della ricerca.
Su una scala ancora più grande del cratere Vredefort, la ricerca segnala che probabilmente una parte rilevante della storia geologica del nostro pianeta è persa per sempre. La riduzione delle differenze tra aree di impatto e non, fino al loro azzeramento, è la causa principale della grande difficoltà nell’identificare zone di impatto molto antiche che potrebbero aiutare i gruppi di ricerca a comprendere altri processi. Gli impatti non solo determinarono il repentino cambiamento di ampie aree, ma ebbero probabilmente un influsso sulla formazione dei primi esseri viventi, senza contare eventi più catastrofici come quello legato all’estinzione dei dinosauri, forse il caso di impatto meteoritico più conosciuto e ancora oggi molto discusso.
È probabile che crateri molto antichi siano sommersi nelle profondità oceaniche, dove la raccolta dei minerali per compiere analisi e fare confronti è più difficoltosa e richiede importanti investimenti economici. I sistemi per rilevare a distanza le caratteristiche dei fondali, nell’ambito dei progetti per mapparli, offrono talvolta indizi sulla presenza di siti anticamente interessati da un impatto meteoritico. Come mostra il caso di Vredefort, comunque, più si va indietro nel tempo più diventa difficile distinguere quelle zone.
Per trovare nuovi spunti di ricerca e comprendere meglio le caratteristiche dei crateri alcuni gruppi di ricerca preferiscono guardare verso l’alto, spingendosi oltre l’atmosfera terrestre. La Luna, il nostro satellite naturale, è famosa per avere una grande quantità di crateri che si sono formati in seguito a impatti con meteoriti di varie dimensioni. A differenza della Terra, la Luna ha un’atmosfera del tutto trascurabile ed è quindi meno interessata dai processi di erosione, circostanza che porta i suoi crateri a non modificarsi più di tanto nel corso del tempo.