Animali fantastici e come inventarli
«Sono convinto che l’idea del mio bestiario sia nata nel momento in cui smontavano la biblioteca del mio bisnonno. Per sentire di nuovo il senso di sorpresa radicale che provai da bambino, avevo pensato di fare molti disegni di animali fantastici, circa un migliaio e tutti con la stessa tecnica, in modo da creare il catalogo di un mondo immaginato ma forse possibile»
Ho iniziato a disegnare il De Bestiarum Naturis ventitré anni fa per via di una biblioteca scomparsa. Il bisnonno, già vecchio, decise di abitare in una nuova casa. Se la fece costruire bella grande e con un corridoio molto lungo, così da passeggiare avanti e indietro, pensando ai suoi affari. Ogni andata erano venti passi e ogni ritorno altrettanti ma, con la sua andatura malferma e zigzagante, diventavano trenta o più. Contro una parete di quel lungo “pensatoio”, come lo chiamava, aveva messo la sua biblioteca antica, alta fino al soffitto e scura come una caverna. Le passava vicino ogni giorno, anche se, cieco com’era, non avrebbe più potuto leggere nessuno dei mille e mille libri che vi erano conservati. Forse gli bastava il ricordo o forse l’odore. Fatto sta che fu proprio per quella biblioteca che cominciai a disegnare animali.
A causa della biblioteca, e anche perché non sapevo le lingue. Quando infatti intorno ai dodici anni ebbi finalmente il coraggio di aprire i primi volumi, mi accorsi che erano quasi tutti scritti in latino, francese o inglese. E i pochi in italiano, appartenuti a zie in odore di santità o ad antichi parenti arcivescovi, erano principalmente raccolte di preghiere o vite esemplari di santi. Insomma, per trovare qualcosa di interessante – e in tutta quella montagna di carta non poteva non esserci un tesoro – dovevo per forza guardare dentro i libri scientifici che, anche se incomprensibili, conservavano decine e decine di illustrazioni meravigliose e stranissime.
Da ragazzo ho passato lunghi, affollati e avventurosi pomeriggi su quelle antiche enciclopedie illustrate e su manuali scientifici che, accanto al movimento di un’ala di farfalla, mostravano, per esempio, la forma di un tempio indiano o quella del palco di una specie estinta di alci; oppure, vicino a una tavola di teratologia umana, presentavano lo schema costruttivo di un viadotto sottomarino per diligenze o la geometria balistica dei proiettili sferici prenapoleonici.
Questi continui salti di palo in frasca, questi disegni curati e meravigliosi, questo amore per il dettaglio e per una verità che superava sempre la fantasia, e perfino la serietà drammatica e insieme rivelatrice delle ombreggiature ottocentesche, furono la mia inconsapevole fonte di ispirazione. E lo furono almeno fino a quando la biblioteca, per ragioni sconosciute ma ereditarie, non sparì improvvisamente, portandosi via un intero universo ancora da esplorare. Sono convinto che l’idea del mio bestiario sia nata nell’esatto momento in cui smontavano quella specie di stanza del tesoro, mentre – ancora bambino – cominciavo già a sentirne la mancanza.
Oggi molte cose sono cambiate, se non tutte. Le fonti di ispirazione si sono arricchite e i temi e gli interessi si sono diversificati e ampliati; eppure, a distanza di decenni, sento ancora il bisogno di riprodurre la stessa meraviglia, l’incanto ingenuo e primordiale di chi si affacciava sul mondo e, non sapendone nulla, lo esplorava con gli occhi di un’immaginazione che si faceva via via più precisa.
Per dare un nome o una cornice a questo senso di sorpresa radicale, avevo semplicemente pensato di fare molti disegni di animali fantastici, circa un migliaio e tutti con la stessa tecnica, in modo da creare il catalogo di un mondo immaginato ma forse possibile, verosimile o comunque interessante per qualche verso. Sarebbe stata un’impresa complicata, ma avrebbe dimostrato che le possibili varianti delle forme immaginarie sono praticamente infinite e la loro evoluzione ha delle somiglianze con l’evoluzione naturale e può quindi essere un modello per capire anche il mondo reale. Con il tempo, però, ho scritto anche delle favole, poi dei racconti e, insomma, alla fine mi sono trovato a scrivere delle cose a partire da ogni disegno, o come conseguenza di ciò che avevo disegnato.
L’opera ha cominciato a ingrandirsi ulteriormente: quasi ogni animale fantastico del De Bestiarum Naturis porta ad altri disegni derivati, a poesie o racconti, a testi “scientifici”. Non sono sicuro di riuscire a controllare tutto, anzi sono abbastanza certo che il progetto mi stia già sfuggendo dalle mani, che non avrò abbastanza tempo per fare tutto quello che vorrei fare o abbastanza energie anche solo per finire le opere cominciate. Eppure, continuo a disegnare, e continuo – anche adesso che sto scrivendo – a immaginare nuove bestie da inserire nell’opera.
Ho sempre pensato che l’arte, o comunque l’impresa creativa, avesse a che fare con azioni impossibili, donchisciottesche; con imprese che sfiorano il ridicolo e che lo raggiungerebbero per davvero, se – prima o poi – non arrivassero invece in un posto dove riposarsi. Ma dove? Dove arriverà mai il mio bestiario infinito?
Facciamo un esempio, così forse mi spiegherò meglio. Avete presente la ghiaia, vero? Bene, ammettiamo che ogni singolo sassolino sia un animale e che ognuno di essi abbia la possibilità di fare qualcosa, pur restando in tutto un sasso. Per esempio, potrebbe essere disperso dal passaggio di una persona o di un’auto. Come vola un Ghiaia? Come torna a casa? Come comunica o come si sposta?
Studiando questo problema, non ho solamente disegnato il Ghiaia (il numero 284 del De Bestiarum Naturis) ma, per approfondire e spiegare, ho scattato decine di fotografie di campi di ghiaia sulle spiagge sassose, nei vialetti di certe ville storiche o tra i sassi delle strade di campagna, e ho disegnato decine di pagine di schemi e di note. Da lì è nato il quaderno di appunti di uno studioso immaginario, il signor Perrò (da Perrault, autore della fiaba di Pollicino), che ha condotto le ricerche; e poi ho preparato il volume a stampa, con una serie di tavole fuori testo molto ben disegnate e di una precisione scientifica assoluta. Questi studi sugli animali non-immobili, con ipotesi sul loro movimento e le loro disposizioni nello spazio, hanno portato a suggestioni ulteriori che mi hanno incoraggiato a continuare le ricerche sulle aggregazioni animali, grazie a cui ho scoperto vari altri esseri collettivi, cioè che prendono identità dal vivere in gruppo, così come i moscerini e, in buona parte, anche gli umani.
Parlando di animali collettivi, l’aver immaginato una bestia dal nome il Plurale (numero 579) ha comportato alla fine la realizzazione di circa tremila file originali, di un libro e di alcune centinaia di stampe, oltre a un grande quaderno dipinto.
L’Upupa Quadrupede (numero 608) è nata, invece, in un modo più classico, e cioè come animale singolo, portatore di una stranezza unica e sorprendente. Ho subito visto che tale singolarità meritava di essere approfondita in un’opera a parte, che sapesse spiegare – non solo con disegni ma in modo completo – l’anatomia ibrida della bestia (compreso lo scheletro e parte della muscolatura), le sue preferenze alimentari, la forma specialissima della lingua e la sua capacità di mirare alle prede perfino da dietro un ostacolo. Non tutti gli animali immaginari, però, vivono una vicenda così coerente o scientificamente istruttiva. Il ritrovamento di un Quaderno del Guardiano, per esempio, ci fa conoscere tutti i commenti negativi, spesso addirittura aggressivi, che – per via del suo odore insopportabile – il pubblico rivolse al Pochezampe (numero 478) per tutto il tempo in cui questi restò tristemente custodito nello zoo di Lumbard-Truzzen durante i primi anni del secolo scorso.
Potrei continuare per chissà quanto tempo a raccontare di altre bestie dalla gestazione altrettanto complessa o di quelle che improvvisamente si realizzano in pochi minuti e solo a distanza di anni iniziano a generare varianti, conseguenze, approfondimenti, come è accaduto per le Lumache di Monsieur Poux (876), che in un secondo momento hanno avuto assoluto bisogno di un romantico epistolario d’amore tra il Poux (generale a riposo in lotta contro le lumache del suo orto) e la signora Vidanque (dama di campagna, infermiera volontaria e attratta in generale dagli eroici combattenti). Come una collezione che si alimenti di se stessa, insomma, il bestiario continua a crescere sulle proprie idee e mi costringe a immaginare improbabili vicende che, per quanto radicate nella fantasia dei secoli passati, sono sempre riferite e centrate sul mondo in cui vivo adesso.
Il disegno della bestia 972 ne è un preciso esempio: è ispirata a un’incisione cinquecentesca di Edward Topsell in cui tra gli animali presenti nell’Inghilterra di allora compare un “Getuliano”, cioè un cane proveniente più o meno dal Marocco del Sud. Non è stato difficile immaginare il tipo di viaggio per mare che il Getuliano poteva aver compiuto, magari accompagnando un umano, dal sud al nord del mondo, dal deserto all’acqua, dalla povertà a una nuova vita. Seguendo questa tragica analogia, ho scritto un intero poema tragicomico in ottave, che poi ho editato nel primo libro della casa editrice del De Bestiarum Naturis: la Trilogia di Crollando. A partire da questo testo, ho poi disegnato una ventina di illustrazioni, le Tavole del Crollando, che costituiscono, per ora, l’ultima espansione di questo animale.
Il Getuliano non è l’unico essere immaginario ad aver avuto bisogno di una divagazione poetica che ne ampliasse il senso. Il Bellodentro (numero 19) è citato per la prima e, forse, unica volta in un sonetto della fine del XVI secolo (Sporse la barba guancia in su la sponda), che compare in una silloge immaginaria e rarissima, nota come il Canzoniere del Santo Raglio, che comprende 29 sonetti, 1 canzone, 3 trastulli e 1 Predica alle Giovani (forse un po’ troppo osé, quest’ultima, anche per il pubblico avvertito di oggi).
Una fatica trascurabile in confronto a quella imposta alla Formica che, in analogia con la processione lineare della frase, ha portato alla stesura di una raccolta di poesie, dal titolo Morphicidae; la raccolta è preceduta da un quaderno di bozzetti e appunti poetici, e seguita dal disegno gigantesco di una singola testa di formica, dal titolo – appunto – di Ritratto di una parola.
Insomma, come si è capito, ogni animale, prima o poi, diventa davvero una storia e, a sua volta, ogni storia porta inevitabilmente ad altri disegni, ad altre opere. Ma a che punto sono, oggi? Davvero voglio arrivare a 1000 animali immaginari, pur accettando tutte le divagazioni che ne nasceranno? Non mi bastano le 489 bestie che ho già terminato e che sono testimoniate sul sito? Perché non ho ancora la forza di fermarmi? Continuo a chiedermelo, e me lo chiedo ancora di più scrivendo queste poche righe, difficili e tormentate.
Ho quasi concluso metà del viaggio, lasciandomi alle spalle migliaia di idee troppo complicate, sfuggite per un soffio o che avrei dovuto realizzare con l’aiuto di troppe altre persone. Ora, probabilmente, è arrivato il momento tanto temuto, quello in cui concentrarmi sul lungo finale e portare a termine il progetto il prima possibile, ammesso che sia possibile. So di doverlo fare, anche se mi piacerebbe continuare a gironzolare tra le idee e le immagini, inseguendole come bolle di sapone in aria o briciole sparse per terra. Devo farlo, altrimenti tutte le bestie, i miei disegni e le opere da loro derivate perderanno gran parte del loro senso. Sta a me, dunque, e al tempo che mi resta, fare in modo che tutto questo lavoro trovi la strada, per quanto ardua o poco visibile, che lo porti finalmente a riposarsi da qualche parte, senza sembrare più così strano o ridicolo.