In Italia va forte l’alluminio
Ogni anno ne vengono prodotte oltre 900mila tonnellate grazie a un sistema di recupero e riciclo molto efficiente
L’Italia è il primo produttore europeo di alluminio riciclato. Nel 2021 ne sono state prodotte 954mila tonnellate, e l’andamento degli ultimi anni suggerisce che la crescita continuerà. Visto che può essere utilizzato all’infinito senza perdere le sue proprietà, l’alluminio viene paragonato da aziende e fonderie italiane a un metallo prezioso. Viene cercato con attenzione nei rifiuti, trattato, fuso e riutilizzato in un ciclo che potenzialmente non si interrompe mai.
Se si restringe il campo solo agli imballaggi, nel 2022 l’Italia è riuscita a riciclare il 73,6 per cento delle 60.200 tonnellate immesse sul mercato, una percentuale che già ora soddisfa gli obiettivi europei fissati per il 2025 (50 per cento) e il 2030 (60 per cento). Il sistema italiano è ancora più efficiente nel recupero delle sole lattine in alluminio per bevande: ne viene riciclato il 91,6 per cento.
L’alluminio viene estratto dalla bauxite, una roccia sedimentaria. Il processo di isolamento non è semplice e si svolge in due fasi principali. La prima è chimica (la bauxite viene frantumata e fatta reagire per eliminare gli ossidi indesiderati e ottenere una polvere bianca chiamata allumina), la seconda è elettrolitica: l’allumina, grazie all’energia elettrica (il cui costo influisce per il 35-40 per cento sul costo di produzione dell’alluminio), viene ridotta a metallo fuso, colato in lingotti o solidificato in prodotti semifiniti. L’alluminio prodotto in questo modo è chiamato “alluminio primario”, diverso da quello secondario che deriva dal riciclaggio di rottami e imballaggi di alluminio.
A parità di volume, l’alluminio pesa circa un terzo del rame e dell’acciaio, per questo buona parte dei mezzi di trasporto di nuova generazione sono costruiti con componenti in alluminio: navi, biciclette, treni ad alta velocità, tram e vagoni delle metropolitane, telai e carrozzerie delle auto. Ma l’alluminio viene utilizzato anche nella meccanica, nell’elettromeccanica e nell’edilizia, oltre ovviamente nel settore alimentare.
Duccio Bianchi, consulente e ricercatore in materia di pianificazione ambientale e di gestione dei rifiuti, stima che entro il 2030 la domanda globale di alluminio aumenterà di quasi il 40 per cento. La crescita sarà favorita soprattutto dalla transizione ecologica nel settore automobilistico e più in generale nei trasporti, perché il processo di elettrificazione comporterà un crescente impiego di componenti in alluminio. A questo si aggiunge lo sviluppo del settore fotovoltaico (i pannelli sono costituiti per l’88 per cento da alluminio).
In passato in Italia c’erano diverse cave di bauxite, ma la maggior parte veniva importata dal Sudamerica, dall’Africa e dall’Australia. Fino a una decina di anni fa l’unico centro di produzione era l’Alcoa di Portovesme, in Sardegna, dove lavoravano circa 800 persone. L’impianto chiuse nel 2012. Dopo diversi tentativi di risolvere la crisi aziendale e occupazionale il centro di produzione è stato ceduto e ora è gestito da un’azienda italiana, la Sider Alloys, che prevede di far ripartire la produzione di alluminio entro il prossimo anno e mezzo.
La produzione di alluminio primario è marginale perché il riciclo è molto più redditizio e rispettoso dell’ambiente. L’alluminio viene recuperato dalle autodemolizioni, da infissi, tapparelle, biciclette oltre che da lattine per bevande, scatolette, vaschette e bombolette. «Ma le “miniere urbane” di alluminio hanno ancora incredibili potenzialità inespresse», dice Stefano Stellini, direttore delle relazioni esterne del CIAL, il Consorzio nazionale imballaggi alluminio. Stellini fa riferimento soprattutto ai rifiuti ingombranti. Nonostante la loro cernita sia più semplice, finora in Italia è stato molto più efficiente il recupero e riciclo di piccoli pezzi di metallo attraverso il sistema di raccolta differenziata.
La raccolta differenziata è molto diffusa grazie agli accordi che i comuni hanno fatto con il CONAI, il Consorzio per il recupero degli imballaggi nato nel 1997 proprio per coordinare il lavoro di raccolta differenziata in Italia. Al consorzio, privato, aderiscono circa 760mila imprese produttrici di imballaggi. Negli ultimi 25 anni il CIAL, che si occupa dell’alluminio per il CONAI, ha iniziato a collaborare con 5.547 comuni, il 70 per cento del totale, per incentivare la raccolta differenziata e quindi il riciclo dei rifiuti. Secondo i dati più recenti, nel 2020 la raccolta differenziata in Italia ha riguardato il 63 per cento delle 29 milioni di tonnellate di rifiuti urbani prodotti.
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Il recupero dell’alluminio è favorito anche dal modello di consumo delle famiglie italiane. La grandissima parte del consumo di bibite in lattina, per esempio, avviene in casa o in bar, ristoranti e strutture ricettive. In entrambi i casi le lattine finiscono nella raccolta differenziata dove l’alluminio viene recuperato.
In molti altri paesi europei il sistema di recupero è diverso e si basa sul deposito cauzionale: i consumatori pagano una piccola cauzione in aggiunta al prezzo di vendita di un prodotto. Questa cauzione, o deposito, viene rimborsata interamente al momento della restituzione dell’imballaggio vuoto in un punto vendita. Quindi il consumatore acquista il contenuto, ma prende in prestito l’imballaggio tramite una cauzione. In passato questo sistema veniva utilizzato in Italia soprattutto per le bottiglie del latte o dell’acqua. Sono 12 attualmente i paesi europei che hanno sistemi di deposito cauzionale: Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Norvegia, Lituania, Slovacchia, Lettonia e Malta recuperano bottiglie di plastica, lattine di alluminio, bottiglie di vetro, nei Paesi Bassi e in Svezia solo bottiglie di plastica e lattine di alluminio.
Lo scorso 30 novembre il vicepresidente della Commissione Europea, Frans Timmermans, ha presentato la proposta per il nuovo regolamento imballaggi (Packaging and packaging waste regulation) che vuole limitare la produzione di questi rifiuti e promuovere alternative più ecologiche. Tra le altre cose, il regolamento prevede l’introduzione del sistema di deposito cauzionale obbligatorio per le bottiglie di plastica e le lattine di alluminio in tutti i paesi dell’Unione Europea entro il 2029.
Secondo Giusi Carnimeo, direttrice generale del CIAL, la proposta del regolamento non tiene conto delle strategie già adottate dai singoli paesi. Nel caso dell’Italia il sistema che coinvolge imprese e amministrazioni ha consentito di superare gli obiettivi europei con largo anticipo anche senza il deposito cauzionale. «Riteniamo che l’approccio più equilibrato sia quello di consentire agli Stati di bilanciare caso per caso la scelta della migliore soluzione tra il riutilizzo e il riciclo preservando la vocazione anche infrastrutturale del singolo Stato», dice. «Gli obiettivi del piano sono ovviamente condivisibili. Non è però una questione di finalità, ma di metodo». Il consorzio teme che l’introduzione del deposito cauzionale comprometta l’organizzazione della raccolta differenziata con un impatto negativo per la filiera industriale.
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Uno studio della società di consulenza Eunomia, realizzato per l’Associazione nazionale dei comuni virtuosi, ha stimato che per l’Italia un sistema di deposito cauzionale avrebbe effetti soprattutto sulla raccolta dei contenitori di plastica: il riciclo passerebbe dall’attuale 61,5 per cento al 94,4 per cento. Ci sarebbero benefici anche per la raccolta del vetro, mentre per l’alluminio l’aumento sarebbe minimo perché già oggi le percentuali di raccolta superano il 90 per cento. Secondo lo studio introdurre questo sistema costerebbe circa 614 milioni di euro all’anno recuperabili in parte dai depositi cauzionali non riscattati, circa il 10 per cento del totale.