Un anno di alti tassi di interesse
Le decisioni della BCE hanno cambiato profondamente l'economia italiana, con enormi effetti a cascata: il rischio finale è un aumento delle disuguaglianze
A settembre dello scorso anno la Banca Centrale Europea annunciò un aumento dei tassi di interesse di riferimento di 0,75 punti percentuali: fu il più grande rialzo dei tassi nella storia dell’euro e della BCE. Il percorso di aumento era iniziato qualche mese prima, a luglio: dopo 11 anni in cui i tassi di interesse erano rimasti a livelli bassissimi – vicini allo zero e in alcuni casi negativi – la presidente della BCE Christine Lagarde annunciò un rialzo dei tassi di 0,25 punti percentuali. Queste decisioni sono state prese in linea con quello che stanno facendo praticamente tutte le banche centrali dei paesi occidentali per combattere l’inflazione, ossia l’aumento dei prezzi innescato da alcune conseguenze economiche della pandemia e dalla crisi energetica legata alla guerra in Ucraina.
Da allora i tassi sono stati aumentati dieci volte (l’ultima proprio giovedì), per un ammontare di oltre 4 punti percentuali. Nel frattempo, e a causa di questo, l’economia europea e italiana sono notevolmente cambiate: i prezzi stanno aumentando in modo meno intenso, che era l’obiettivo del rialzo dei tassi, ma per alcune categorie gli aumenti sono ancora sostanziosi; il Prodotto Interno Lordo non cresce in modo significativo; e c’è un notevole rischio che tra inflazione e aumento dei tassi di interesse le disuguaglianze crescano. Queste tendenze sono innescate da alcune conseguenze molto concrete per le persone: fare benzina e la spesa costa di più, un mutuo costa di più, così come comprare un’auto a rate o finanziare la propria impresa.
Quando si parla di inflazione e di aumento dei tassi di interesse di riferimento da parte di questa o quella banca centrale, spesso si tende a tralasciare gli effetti pratici di queste misure. Sono aumentati i tassi dei prestiti che le banche commerciali fanno ai loro clienti, da quelli più banali per gli acquisti a rate (come quelli che si fanno per le auto o gli elettrodomestici) a quelli più sostanziosi, come i mutui alle famiglie e i prestiti alle imprese. Questi aumenti producono effetti a cascata, che sono poi il principale canale di trasmissione della politica di rialzo dei tassi di interesse.
Partiamo dai mutui per le famiglie. Per chi ha già un mutuo, gli aumenti si fanno sentire se questo è a tasso variabile, e in Italia sono moltissimi. Secondo le stime della FABI, la Federazione Autonoma Bancari Italiani, le rate dei mutui a tasso variabile sono aumentate fino al 75 per cento: per esempio chi pagava una rata da 500 euro al mese ora ne paga fino a 875. Questo sta avendo effetti enormi sui bilanci delle famiglie, soprattutto per quelle a reddito più basso, dove un aumento di questa scala è molto destabilizzante.
– Leggi anche: Ci sono soluzioni per chi ha un mutuo a tasso variabile e paga rate sempre più alte?
Sono aumentati anche i tassi sui nuovi mutui, ossia quelli per chi vuole comprare ora una casa: secondo i dati di Banca d’Italia, rispetto a un anno fa contrarre un mutuo costa il doppio in termini di interessi, a prescindere che si scelga un tasso fisso o uno variabile. Secondo la FABI, i nuovi mutui a tasso fisso sono passati da un interesse medio di circa 1,8 per cento anche fino al 6 per cento, con rate mensili che sono molto più alte più un tempo. Ovviamente i tassi applicati cambiano a seconda delle offerte delle banche, ma la FABI calcola che per esempio nel caso di un prestito da 150 mila euro della durata di 20 anni la rata mensile potrà essere fino a 1.180 euro, ben 515 euro in più rispetto a quella che si sarebbe ottenuta due anni fa, ossia 665 euro.
Con tassi più alti, che comportano rate più alte, diminuisce anche il prestito che la banca sarà disposta a concedere per comprare una casa. L’importo massimo viene calcolato infatti in modo che la rata mensile sia sostenibile nel tempo, in base al reddito di chi chiede il mutuo: le banche tenderanno a concedere mutui di importo minore o con periodi di restituzione più lunghi, con un effetto generale al ribasso sul budget di chi deve scegliere la casa da comprare.
Il risultato è che nel primo semestre del 2023 le richieste di mutui si sono contratte del 22,4 per cento rispetto a un anno prima, secondo i dati CRIF (l’ente italiano che fornisce informazioni su quanto una persona in passato è stata diligente nel restituire i prestiti). Con un effetto a catena anche sul mercato immobiliare: nel primo trimestre dell’anno le transazioni immobiliari si sono ridotte dell’8,3 per cento.
– Leggi anche: Da dove vengono i problemi con i mutui a tasso variabile
L’effetto dei mutui è esattamente lo stesso anche per il credito al consumo, ossia i prestiti che fanno le società finanziarie per acquistare beni o servizi, come elettrodomestici, auto, abbonamenti in palestra e così via.
Secondo i calcoli della FABI con gli attuali livelli dei tassi di interesse della BCE quelli sul credito al consumo potrebbero arrivare fino al 14,25 per cento (contro l’8,1 di fine 2021). Questo vuol dire che per esempio per acquistare un’automobile da 25 mila euro interamente a rate, con un finanziamento da 10 anni, il costo totale passa da 37.426 euro a 48.396 euro, con una differenza complessiva di 10.971 euro rispetto ai tassi di fine 2021. Oppure per acquistare una lavatrice da 750 euro interamente a rate, con un finanziamento da 5 anni, il costo totale passa da 942 euro a 1.098 euro, con una differenza complessiva di 157 euro.
Benché il costo di questi finanziamenti sia aumentato parecchio, i dati mostrano che l’accesso al credito al consumo non è diminuito, anzi. Secondo dati CRIF sono aumentate dell’11,8 per cento le persone che hanno fatto acquisti a rate. Un motivo è che comunque, a differenza dei mutui, sono finanziamenti di breve durata e di importo talvolta più ridotto, quindi è probabile che per il momento l’effetto dei tassi sia stato in alcuni casi ignorato.
L’aumento dei tassi di interesse ha effetti notevoli anche per i prestiti delle imprese. Secondo i dati dell’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, i tassi medi di interesse applicati sul credito alle imprese sono passati dall’1,44 per cento di giugno del 2022 al 4,86 di giugno del 2023. Sono più che triplicati in un anno.
A differenza dei mutui, per questo tipo di prestiti la richiesta non si è ridotta molto: secondo i dati CRIF nel primo semestre del 2023 le richieste di prestiti da parte delle imprese sono calate del 4,2 per cento rispetto a un anno prima.
Questo perché le imprese non possono scegliere se contrarre o meno dei prestiti, come per esempio possono fare le famiglie che a fronte dell’aumento dei tassi di interesse decidono di rimandare l’acquisto della casa: il credito bancario è essenziale per il funzionamento delle aziende, perché non serve solo a fare grandi investimenti ma spesso anche a finanziare le operazioni più banali, come il pagamento dei fornitori o quello dei dipendenti.
Le richieste potranno non essere diminuite così tanto, ma con tassi più alti è diventato sempre più difficile accedere ai prestiti. È probabile che presto l’operatività delle imprese sarà un po’ limitata, così come la loro capacità di investire e crescere. Già negli ultimi mesi, complice anche la crisi energetica, la produzione industriale è diminuita.
Questi tre esempi mostrano come l’aumento dei tassi di interesse abbia condizionato la vita di famiglie e imprese in Italia (attraverso mutui, credito al consumo e prestiti alle imprese) e spiegano in parte come funziona la strategia della BCE per ridurre l’inflazione. Semplificando molto, con tassi più alti fare investimenti e consumi diventa meno conveniente: si compra meno, si investe meno, e i prezzi si abbassano.
Ed è questa la dinamica che si è vista negli ultimi mesi in Italia. Dopo due anni di crescita sostenuta – in gran parte legata alla fine della pandemia – l’economia italiana ha iniziato a rallentare e nel secondo trimestre di quest’anno il PIL si è ridotto dello 0,3 per cento, risentendo a sua volta del rallentamento nei consumi e degli investimenti. Per ora l’economia ha tutto sommato tenuto e non è entrata in recessione. Non è detto che non succeda, ma al momento tutte le previsioni vedono ancora l’Italia in crescita sia quest’anno che l’anno prossimo.
Questa dinamica ha effetti tangibili sulla società. Come l’inflazione, anche l’aumento dei tassi di interesse può avere un effetto negativo sulle disuguaglianze.
Massimo Baldini, docente di Economia all’Università di Modena e Reggio Emilia e uno dei più autorevoli esperti di povertà in Italia, spiega che in ultima istanza il rallentamento dell’attività economica ha generalmente effetti sulle disuguaglianze. Per esempio i primi che ne fanno le spese sono le professioni più modeste e i lavoratori più deboli, che se un’azienda va in crisi rischiano di più di perdere il lavoro rispetto a un dirigente o un amministratore delegato.
Per ora il mercato del lavoro ha retto, anzi sta andando bene come non si vedeva da tempo: nel 2023 l’occupazione in Italia ha vissuto un picco storico, con il numero di persone occupate che ha raggiunto i 23,6 milioni a giugno; così come il tasso di disoccupazione, che è pari al 7,6 per cento, più basso anche dei livelli prima della pandemia quando era poco sotto al 10. La maggior parte degli analisti è comunque concorde nel dire che è probabile che nel medio periodo l’andamento del mercato del lavoro peggiorerà: solitamente reagisce con un po’ di ritardo rispetto all’andamento generale dell’economia.
Che l’economia europea e italiana sarebbero uscite molto cambiate da questo percorso era noto e ampiamente previsto. L’aumento dei tassi di interesse è una politica considerata molto potente nel fermare l’aumento dei prezzi, ma anche estremamente impattante sull’economia nel suo complesso. Per questo viene spesso criticata per tutta quella serie di effetti collaterali che comporta.
Resta il fatto che da quando la BCE ha iniziato ad aumentare i tassi di interesse l’inflazione nell’Eurozona e in Italia è scesa: nell’Eurozona a luglio del 2022 era all’8,9 per cento, mentre ad agosto di quest’anno era al 5,3 per cento; in Italia nello stesso periodo è scesa dal 7,9 al 5,5 per cento. Questo significa che i prezzi continuano ad aumentare, visto che l’inflazione è positiva, ma in modo meno intenso.
Non è possibile al momento sapere quanto la discesa dell’inflazione dipenda effettivamente dal rialzo dei tassi. Anche perché nel frattempo sono scesi anche i prezzi generali dell’energia, che sono stati una delle cause che hanno scatenato l’inflazione. Questo si vede dal fatto che l’inflazione generale, dopo una “bolla” in corrispondenza dello scorso inverno, è tornata vicina all’inflazione di fondo, che invece non considera i prezzi dei beni più volatili, come il cibo e appunto l’energia.